La casa low-cost non è più un’utopia. Basta debiti che ci strozzano per una vita intera, la casa pret-à-porter è possibile. Lo ha dimostrato un ex insegnante d’arte inglese, il sessantenne Michael Buck, che ha costruito con le sue mani un intero edificio spendendo solo 150 sterline (circa 180 euro).
Ed ha anche sforato dal suo budget iniziale!
Si chiama Cob-house (dalle pannocchie, cob, impiegate per realizzare il tetto) ed è stata costruita tutta con materiale rimediato nella spazzatura.
Le tecniche del signor Buck
Il signor Buck Ci ha messo due anni per costruirla. L’ha tirata su all’interno di un terreno di sua proprietà, immersa nella vegetazione. È stato sicuramente un lavoro certosino soprattutto per quanto riguarda la ricerca del materiale da riciclare che è andato a raccattare ovunque industriandosi per ridargli una nuova vita ed una nuova funzione.
In alcuni casi ha attinto alla tradizione arcaica dei nostri antenati realizzando per esempio il tetto con le foglie delle pannocchie oppure i muri con paglia, fango e sterco. In altri casi invece ha dato libero sfogo alla sua creatività reimpiegando, per esempio, i parabrezza di vecchi autocarri rottamati per la realizzazione dei vetri delle finestre oppure le assi di un vecchio pavimento per costruire mobili, soppalchi e scale.
La casa è venuta così bene (sembra una di quelle case che si trovano in Kenya con i tetti giganteschi fatti di foglie di palma) che stata anche affittata ad un operaio di una fattoria vicina il quale paga il canone con il latte prodotto.
L’acqua arriva in casa grazie ad un sistema di canalizzazioni che la collegano ad una sorgente vicina mentre per il riscaldamento Buck ha realizzato una stufa a legna che provvede anche a riscaldare l’acqua per la doccia e la cucina.
Non manca un tocco di poesia dal momento che tutti i nomi delle persone che lo hanno aiutato a costruirla sono stati incisi sul muro così come i nomi delle tre mucche, Marigold, Crystal e Mist, che hanno fornito lo sterco per erigere le pareti.
«Tutto di questa casa – assicura Mr Buck – è biodegradabile eccetto i lunotti degli autocarri. Se venisse abbandonata non resterebbe in piedi come una cattedrale nel deserto ma sarebbe lentamente riassorbita dal paesaggio e si trasformerebbe in un cumulo di terra.
Le possibilità in Italia
Ma in Italia sarebbe possibile realizzare una struttura del genere e quindi avere una casa a costo praticamente pari a zero?
Siamo andati a chiederlo a Lucia Bogoni, la responsabile dei progetti educativi dell’associazione “Panta Rei” attiva a Passignano sul Trasimeno, in Umbria. In questa località in provincia di Perugia, l’associazione ha realizzato – a partire dal 1998- una specie di villaggio, o meglio un centro, fatto con edifici realizzati in paglia e fango e rigorosamente solo materiali riciclati.
«In Italia i costi lievitano a causa delle norme del settore – ammette la Bogoni – tuttavia riamo riusciti a realizzare le abitazioni a costi nettamente inferiori a quelli di mercato, a partire da 20mila euro per edificio. La nostra, non è l’unica esperienza italiana ma è certamente l’unica in cui sono stati realizzati tante case vicine che ci permettono di ospitare scuole e gruppi che vogliono provare a vivere a impatto zero. In o».
Gli edifici, che da anni accolgono intere scolaresche in gita (con una capienza di 48 posti letto) hanno anche dimostrato di essere, non solo carine e accoglienti, ma anche resistenti.
Il centro è dotato di tre strutture principali per complessivi 1000 mq in cui sono distribuiti cucina, sala da pranzo, palestra, dormitori e laboratori) e di tre edifici più piccoli ossia una casa sull’albero, una palafitta realizzata su un terreno scosceso e una casa in paglia e fango abitata dal custode.
Due modelli a confronto
«Quest’ultima – continua la Bogoni –, di circa 100 mq, è quella che è costata meno ossia circa 20mila euro. La differenza rispetto alle 180 euro spese dal signor Bik in Inghilterra dipende dalla normativa che vige in Italia e che impone che la parte portante debba essere scaricata su una struttura che in questo caso abbiamo realizzato con dei pali di castagno che abbiamo dovuto comprare. Nell’edificio più grande invece sono i ruderi di una vecchia stalla. Hanno inciso sul costo, inoltre, gli oneri di urbanizzazione, i permessi per costruire e l’obbligo di avere a monte il progetto di un ingegnere che ne garantisca la stabilità».
Il centro ha imbastito anche un sistema in grado di riciclare l’acqua. Quella piovana per esempio viene incanalata dai tetti, con delle grondaie, per essere impiegata nelle docce. Quella potabile viene prelevata da una sorgente naturale mentre quelle nere, attraverso un sistema di depurazione, vengono reimpiegate negli sciacquoni dei bagni.
Il riscaldamento degli edifici e dell’acqua viene garantito innanzitutto dalle proprietà isolanti della paglia (usata per le pareti e per il tetto) e delle cannucce di palude (usate per i pavimenti) e poi anche da una caldaia alimentata con la legna raccolta nel terreno adiacente.
Finestre e vecchie damigiane
«Queste iniziative – spiega l’architetto perugino Maria Carmela Frate, esperta in restauro e recupero degli edifici – intercettano il desiderio della società di oggi di sottrarsi alle regole del sistema della finanza. Basta guardarsi intorno e avere un poco di fantasia per accorgersi che tutto quello di cui abbiamo bisogno già c’è. La tecnica per creare case in questo modo è molto antica e si chiama Adobe che significa terra cruda. Esistono molte soluzioni di questo tipo nelle costruzioni. Si tratta di una tecnica antica e anche un po’ esotica oggi tornata in auge».
Quanto a fantasia neanche l’associazione Panta rei ha scherzato grazie anche alla creatività dell’architetto nippo-tedesco Rainer Winter Toshikazu che ha progettato gli edifici del centro perugino “Panta Rei” insieme al gruppo francese “Atelier di architettura ambulante”.
«Le finestre – ci spiega la Bogoni – sono bombate perché abbiamo usato delle vecchie damigiane. Una vetrata, invece, è stata realizzata con un mosaico di vetri di bottiglie vecchie, in tutte le tonalità del verde».