Dieci anni e sentirli tutti. All’edizione della X romana, “Più libri più liberi”, la Fiera nazionale della piccola e media editoria, ha accusato un duro stop alla sua impetuosa crescita. Inutile aspettare i dati sulle affluenze: i visitatori sono stati sensibilmente inferiori, a occhio, sia numericamente sia qualitativamente rispetto alle edizioni precedenti. Roma, da sempre fiera degli acquisti natalizi e dei record, s’è trasformata – seguendo il drammatico andazzo di Torino, l’unico salone internazionale italiano, per quanto su codesta presunta “internazionalità” vi sarebbe molto da eccepire negli ultimi anni… – in fiera paesana da struscio, in Ikea degli pseudo bibliofili, in Standa di quelli che in quei giorni di ponte “nun sapevano che ffa”.
Le cause di questo tracollo? Bah, possono essere ipotizzate: crisi economica, paura per il futuro prossimo, panico da default. Sì, senz’altro tutto questo, ma probabilmente anche assuefazione: dopo dieci anni la mancanza di novità, di nuove formule, di soluzioni più accattivanti, e il prolungamento – inutile e per il secondo anno consecutivo – a cinque giorni della kermesse si sono fatti e si fanno sentire. Come, del resto, il fatto che sebbene sia obbligatorio all’atto dell’iscrizione, molti editori facciano i “furbetti” e neghino lo sconto del 20 per cento dovuto ai lettori. La gente queste cose le sa, è ora di sfatare il mito dell’italiano bue, finalmente. Come hanno capito, i lettori, che esistono editori a pagamento che vendono a quattro soldi libri di serie b e che costoro, oltre a inflazionare il mercato con quantità abnormi di testi illeggibili e assemblati a basso costo, abbassano la qualità complessiva dell’offerta a scapito di tutto il movimento. Ancora: l’incapacità non solo degli organizzatori ma anche degli editori di rinnovarsi, di scoprire nuove strade. Questo purtroppo è solo uno dei talloni d’achille minori dei piccoli e medi editori italiani. Il peggiore è quel senso manifesto e antipatico di superiorità, quel sentirsi eletti dagli dei che impedisce a molti di guardare oltre le miserie del loro orticello, non riuscendo così a capire che solo nell’unione può esserci la forza, sia nel confronto sul mercato coi giganti che nell’innovazione. E per contrastare un gigante non bastano né micro consorzi snob e auto referenziali né pseudo consorzi la cui principale preoccupazione sia vendere penne, buste e gadget col marchio consorziale ai facenti parte. In questo caso – e purtroppo non è un’invenzione di chi scrive – siamo alla fiera paesana, alla vendita del pollame.
Ecco, l’edizione del 2011 della la Fiera nazionale della piccola e media editoria italiana ha portato al pettine tutti questi nodi ormai antichi, e la totale mancanza di volontà nell’affrontarli, nel prenderli di petto e risolverli. Certamente non aiuta la filiera il costringere il visitatore a pagare ben sei euro di biglietto d’ingresso in un momento come questo, con gli editori che sborsano – tra iscrizione, stand e allestimento – circa 1.200 euro più Iva per otto metri quadrati e quattro luci accecanti. Moltiplicato per oltre 400 espositori, alcuni dei quali di dimensioni anche quattro volte superiori al “taglio” minimo, fa un sacco di soldi, cui si uniscono quelli stanziati da comune di Roma (quest’anno però negati, almeno che si sappia), provincia di Roma e regione Lazio. In tempi di crisi forse varrebbe la pena non tanto ridurre l’appetibilità dell’offerta di una fiera ormai storica, ma i margini di guadagno degli organizzatori, per salvare l’intera filiera. E la faccia.
La prossima fiera del libro di Roma di farà? Lo sapremo solo tra sei mesi, probabilmente. O poco prima, comunque difficilmente prima di maggio, appuntamento tradizionale con il Lingotto torinese. Nel frattempo cominciano le operazioni per il Salone di Torino del maggio 2012. Molti editori piccoli e medi hanno annunciato che non ci saranno. Lo scorsa edizione fu un massacro, con il Salone trasformato in qualcosa di simile a un circo e, mischiati tra i libri, banchi di venditori di cioccolata, strumenti elettronici, cd, dvd, giocattoli, penne serigrafate, vino, persino un’edicola. È questa la strada? Probabilmente sì, ma verso la distruzione. Sarà davvero Milano il prossimo polo dell’editoria italiana, sepolti Roma e Torino? Può darsi: che almeno ce lo dicano subito, così risparmieremo le iscrizioni alle prossime fiere, quella sabauda e quella romana, in attesa di tempi migliori e più chiari.
Vorrei, in chiusura, dedicare questa puntata della rubrica a una persona speciale, Barbara Fabiani, giornalista di valore, scrittrice ispirata, sociologa, amica carissima, spentasi a soli 43 anni alle 9,45 del 14 dicembre per un male contro il quale ha lottato, con coraggio formidabile, finché in lei è rimasto anche un solo briciolo di forza. Barbara, rimarrai sempre nei cuori di tutti noi.