Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra, fa dire al Principe di Salina, Tomasi di Lampedusa.
Torno tanto indietro nel tempo (si fa per dire) perché lì era in atto il Risorgimento e, dall’Unità d’Italia, tutto ha inizio.
Ma venendo a tempi più recenti (si fa per dire anche qui), i primi anni trascorsi in Magistratura, sono stati, per me, gli anni trascorsi nel Paese di Bengodi; ed era il Paese di Bengodi questo, dove si incentivava lo “svecchiamento” della Pubblica Amministrazione regalando 6 o 7 anni di anzianità a chi se ne andava anticipatamente in pensione e lo slogan, sotto il pontificato andreottiano e il sinodo degli assisi attorno al tavolo degli “incollati alle poltrone”, era: indebitiamoci pure fino all’ultimo capello della testa, tanto nessuno ci farà caso e qualcuno provvederà, prima o poi, a pagare i nostri debiti, l’importante è mantenere elevato il tenore di vita, da fare invidia quasi a Tedeschi, Francesi e Americani addirittura (di intraprendere spirali virtuose che migliorassero le capacità produttive del Paese, incentivassero le spinte imprenditoriali e lavorative, sbloccassero le potenzialità creative e di sviluppo se ne poteva parlare solo per qualche accenno, nulla di impegnativo, come qualsiasi cosa richiedesse concreti sacrifici). Pareva quasi che il Padreterno, oltre a regalarci i Patti Lateranensi, Famiglia Cristiana e lo IOR, ci avesse regalato anche l’eterna ricchezza diffusa.
Le mie ferie estive si protraevano per due mesi pieni, collocabili ad libitum nell’arco dell’anno; a parte il ritmo di lavoro meno che blando, i tempi della Giustizia erano lunghissimi anche allora (ma non “biblici” come adesso), e su questo nessuno, dico nessuno aveva nulla da ridire. Parliamo di privilegi intangibili.
Da questo siamo passati, facendo un salto in avanti di molti (ma non moltissimi) anni, al giorno d’oggi dove, mettendo insieme il mio (circa) un mese di villeggiatura e quello che si sente dai mass media, sono perplesso e mi vergogno letteralmente di stare, in questa metà agosto 2011, ancora a trastullarmi ad Ischia, e tornare al lavoro (in sala macchine del vapore – alquanto scassato – “Italia”) a Milano ai primi di settembre [potrei rientrare prima e non è detto che non lo faccia, ma lì starei più o meno inutilmente nel vuoto del deserto – semipieno semideserto, per la verità, quest’anno – e qui, invece, sto in mezzo al popolo degli incoscienti, cellula di una massa (non oceanica, tuttavia corposa) impazzita di una Società allo sbando (o massa allo sbando di una Società impazzita, è lo stesso, non cambia niente, si va tutti insieme verso un imperscrutabile destino, o meglio si aspetta, tutti insieme che il destino si compia) e va tutto tra parentesi].
Quando uscii dalla Magistratura, avvalendomi delle leggi dell’epoca, che consentivano un pensionamento in età abbastanza giovanile, lo feci con l’esultanza e la grinta di chi valutava una conquista di civiltà poter scegliere liberamente della propria vita, cambiare con facilità lavoro, un punto fermo delle Società evolute, “all’americana”, e con la convinzione, in coscienza, di non provocare alcun effetto (tantomeno alcun danno) all’esterno, ma semplicemente di vivere un’avventura, come nelle nostre canzoni degli anni ’60. Tutto questo era, peraltro avallato dal Sistema che non mi frapponeva alcun ostacolo, anzi mi agevolava, quasi a sottolineare la riprova delle proprie caratteristiche, indefettibilità e opulenza, non più semplicemente sbandierate, ma, concretamente, praticate.
Altri colleghi si avviarono al pensionamento anticipato, per vari scopi, all’epoca; non fui il solo, quindi, a dover attendere per comprendere, con chiarezza, che uno dei mali del nostro sviluppo, della nostra economia e, in definitiva del Paese, era proprio il ricorso frequente ai pensionamenti anticipati, le c.d. pensioni-baby. Questo è venuto fuori in modo sempre più esplicito, nel tempo, finché al giorno d’oggi è sicuro e indiscutibile, tant’è che nei rimedi che vengono fuori da tutte le parti sociali e politiche per fronteggiare l’epocale crisi in cui ci dibattiamo, c’è sempre l’innalzamento dell’età e delle condizioni minime di pensionamento.
Di aver contribuito (sia pure in minima parte, diciamolo) a provocare tutto ciò mi pento fortemente, ma non posso, ahimé, tornare indietro.
Altri aneddoti e riferimenti si sprecherebbero, ma fermiamoci qui.
Ma perché fu possibile tutto questo spreco, questa vita spendacciona e sconsiderata, in gran parte causa dei nostri attuali guai?
Non facciamo sempre i conti con i “cadaveri nell’armadio” (ne sappiamo, peraltro ben poco) di Andreotti & Friends.
In Italia c’era il più forte Partito Comunista dell’Occidente, al quale ero iscritto, ed ero anche un attivista, ma… di questo non mi vergogno, né mi pento… più avanti dirò perché.
Ora, era opinione alquanto diffusa, fondata o infondata che fosse (ormai non lo sapremo più), che se si fosse affermato e avesse conquistato il potere il Partito Comunista in Italia, ci sarebbe stata una balcanizzazione, un arretramento e, probabilmente, un assoggettamento del nostro Paese all’Unione Sovietica. In nome di questa preoccupazione (non da poco, lo riconosco) molte atrocità, drammatici eventi e ingiustizie hanno tormentato l’Italia, ma ora non è di questo che qui ci stiamo occupando.
Quello che qui viene in evidenza è che l’equilibrio su cui si reggeva l’Italia (e non solo l’Italia, ma non divaghiamo), come molti ricorderanno e molti hanno realizzato col senno di poi, era proprio questa “paura”.
Non dico una bestialità, ne sono certo, nell’affermare che il nostro benessere (vago e surreale, intendiamoci, la Dolce Vita docet) era fondato sulla forza del Partito Comunista Italiano, la potenza dell’Unione Sovietica, l’incertezza della guerra nel Viet Nam, il successo della Cina di Mao Tse Tung, il fascino della Rivoluzione Cubana e la personalità di “Che” Guevara, la granitica ineluttabilità del muro di Berlino, il grigiore della Guerra Fredda e della divisione delle due Germanie; non dobbiamo dimenticare tutto questo.
Poi il monolite si è incominciato a incrinare… invasione dell’Ungheria, Primavera di Praga, Cernobyl, fino ad arrivare alla caduta del muro di Berlino e poi ai nostri giorni, neanche questo dobbiamo dimenticare.
Paradossale ma vero. Così, a volte, è anche la vita.
E così, parallelamente, ha cominciato ad incrinarsi il nostro benessere; ed oggi a che punto siamo?
C’è un’espressione napoletana molto colorita e sintetica: “Cu ‘e pacche dint’ all’acqua!”
Ma perché anche Umberto e Trota Bossi possano comprendere, dirò, nella lingua ufficiale, che la mia opinione è che siamo in un Nuovo Medio Evo, come molti segni esteriori confermano, comprese le comiche da saltimbanco di uno Scilipoti, i continui richiami ad un ritorno alla “natura”, che finiscono con l’essere anche un po’ ambigui, gli agguati notturni negli androni dei portoni e i pedinamenti da parte di uomini in armi a personaggi di spicco, i salvataggi in extremis dalla pubblica gogna di favorite e minorenni, l’incapacità degli enti preposti di erogare acqua a sufficienza (ma non a Malindi o a Mogadiscio, ad Ischia ne sappiamo qualcosa), e così via, ovviamente con tutto ciò di negativo, ma anche di positivo, che tale espressione comporta (anche il “vero” Medio Evo, dalla caduta dell’Impero Romano al Rinascimento aveva molti, forse moltissimi lati positivi e, in effetti, a partire da tempi non proprio ultimissimi è stato storicamente rivalutato – basti pensare a che aria respiravano, che acqua bevevano o abbracciavano tuffandosi in essa, o benedicevano per la pesca, che terreno fertile aravano, che cibo assolutamente “non trattato” mangiavano, in che vino genuino affogavano i cattivi ricordi, quali imponenti castelli e cattedrali sapevano costruire i nostri antenati).
Diciamocela tutta: davvero nessuno mai sotto sotto ha gongolato per il precipizio in verticale delle Borse, davvero in un baratro senza fondo, l’abisso, l’Alto Medio Evo, semmai rimuginando che in tal modo venivano a galla le magagne, si scioglievano i nodi e, magari si desse il “la” a tempi nuovi, pericolosi, ma tutti da scoprire?
Gli eccessi, il lusso sfrenato, il libertinaggio, le imponenti cattedrali nel deserto che si vedono in giro, non ci fanno spostare di un grado l’ago della bilancia. Non c’erano, forse, orge e costumi licenziosi, grandi monumenti e templi che mai le precedenti epoche avevano conosciuto, nel lungo trascinarsi della caduta dell’Impero Romano?
Ma come siamo arrivati a questo? Camminando come il gambero, una specie di “Ritorno al futuro”, o meglio “ritorno al passato nel futuro”.
(Omissis) Così finì il Fantasioso Nobiluomo della Mancia, il borgo del quale Cide Hamete non volle precisare, per lasciare che tutte le città e borghi della Mancia si contrastassero fra loro il diritto di adottarselo o di pretenderlo per proprio figlio come le sette città della Grecia si contrastarono Omero.
Così Miguel de Cervantes fa morire, nel 1615, Alonso Chisciano il Buono, chiamato comunemente don Chisciotte della Mancia, per il quale fu gran ventura “morir savio e viver matto”.
E qui finì il personaggio “fallito” per antonomasia, il combattente contro i mulini a vento, l’amante idealista e obnubilato di una splendida dama, mungitrice di armenti, e iniziò la leggenda, per cui la nobiltà d’animo e il coraggio, la forza del sacrificio e della fedeltà ai principi ha un solo nome: don Chisciotte, anche se lo stare coi piedi sulla terra, nel momento stesso in cui lo esalta, lo sporca, lo rende grottesco, come è palese nell’aggettivo affermatosi “donchisciottesco”.
Piccola storia personale
Dopo il crollo del Comunismo a livello planetario, oltre che in Italia, venendosi così a decretare il fallimento suo e di tutte le opere e le azioni in suo nome, di tutte le grandi personalità che in esso avevano creduto o lo avevano ideato e promosso, a volte con dedizione dell’intera vita, a partire da Carlo Marx, io ed altri, come me, ci trovammo ad annaspare in alto mare; ognuno ha poi intrapreso una strada diversa, qualcuno rinnegando il passato, qualcuno no.
Personalmente, dopo quelli che reputavo gli asfissianti, immobili decenni di dominio della Democrazia Cristiana, a sua volta trascinata nel baratro della disfatta, falcidiata dalla più forte e dilagante inchiesta giudiziaria che ci sia mai stata in Italia, forse dalla sua Unità, insieme all’opzione socialista e all’intera classe politica e all’assetto politico, sul finire degli anni’90, avendo da sempre ripudiato il terrorismo e il fascismo, o estrema Destra, che dir si voglia, vidi, e non solo io, tra quella che consideravo la minaccia secessionista e opprimente della “Lega”, e quella che consideravo la paraculaggine di aderire ai nuovi schieramenti di Sinistra, una possibilità, una speranza: l’affacciarsi sullo scenario politico di una Grande Riformatore che prendesse in mano le redini della situazione e traghettasse il Paese verso i Nuovi Tempi, l’Europa, e così via, e identificavo questo homo novus in Berlusconi.
Anche se devo ora riconoscere che le premesse erano piuttosto scadenti: i suoi interessi, le sue frequentazioni ecc.
Bisogna, peraltro, riconoscere che molte cose sono venute fuori in modo chiaro e lampante solo col senno di poi.
D’altronde era, per me ed altri, come dire, l’ultima spiaggia, la speranza della disperazione, perché ragionando in modo freddo e consequenziale, va riconosciuto, infine, che queste sono, non utopie (perché l’utopia è il filo conduttore del Mondo), ma mere illusioni, fantasie, da cui non poteva scaturire nulla di buono, giacché l’unica filosofia, l’unica utopia che, allo stato attuale può guidare il Mondo e l’Italia in particolare è, nel bene e nel male, la Democrazia nel senso più pieno e popolare del termine.
E qui finisce l’autocritica.
Morale: con Berlusconi, non so se ci ha traghettato lui direttamente, dovendosi comunque collocare l’Italia nel contesto internazionale e nel contesto dell’insipienza dell’opposizione, ma certamente con lui, siamo approdati, o ci troviamo, o dobbiamo riconoscere in modo ormai non più eludibile, di trovarci in quello che definisco il Nuovo Medio Evo; dal quale, in ogni caso, prima o poi usciremo, così come i nostri antenati uscirono dal “vero” Medio Evo.
Ma che ne è del Comunismo, del concetto e degli ideali del marxismo? Diciamo di Carl Marx, in breve.
Temo che abbia fatto la stessa fine di don Chisciotte della Mancia: fallito!
Tuttavia qui bisogna intendersi: “fallito” non vuol dire “sbagliato”.
Una società commerciale, una compagnia aerea, una banca, possono fallire, ma non si può sostenere che svolgere un’impresa, volare, raccogliere il risparmio sia tout court sbagliato.
E’ sbagliato commettere reati, uccidere, carpire la buona fede, e coloro che fanno queste cose spesso sono tutt’altro che falliti.
Perché sono convinto di questo? Perché se volessimo immaginare un superamento, un miglioramento della Democrazia, la sostituzione di un’utopia con un’altra, semmai perché ci rendiamo conto che, in ogni caso, per l’enorme dispendio di energia, la distruzione irreversibile delle risorse e dell’ambiente, le enormi disparità sociali, è destinata all’autodistruzione l’Umanità e la Democrazia non è in grado di farvi fronte, a tutt’oggi, che cosa, preferibilmente dovremmo immaginare?
Credo, in buona fede, che dovremmo immaginare un sistema, sfrondato dalle devianze e dai soprusi che hanno caratterizzato, nella pratica, il Comunismo fino alla sua ammissione di colpe e di incapacità di superarle, ma che si richiami, tuttavia, al suo fondamento, a quella pietra miliare posta sul cammino dell’Umanità da Carlo Marx: l’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla legge, all’economia, alla cultura.
In diverse condizioni generali, sociali, evolutive, diciamo così, potrebbe funzionare.
Non c’è altro; chiunque rifletta intorno a questi argomenti, dica onestamente se c’è altro.
Ecco perché (qui sciolgo la riserva) non mi vergogno, né mi pento di aver fatto parte del vecchio P.C.I.: mi considero un fallito, come tale meritevole, forse di compassione, ma non di disprezzo; diciamo che ci ho provato a lottare “per un Mondo migliore”, risultando perdente; ma non mi considero portatore di un bagaglio mentale sbagliato perché rivolto al male del prossimo, della società, se non dell’intera Umanità. E questo, almeno di fronte alla coscienza, mi assolve.
A questo punto, in chiusura, perché non concludere provando ad immaginare qualcosa che suoni come l’”Elogio della pazzia” di Erasmo da Rotterdam, qualcosa di “assurdo, avventuroso, grottesco, ma nonostante tutto, idealista, assoluto, eroico” (come si esprime Eric Auerbach a proposito di Don Chisciotte), e in definitiva “immortale” (Antonio Machado, sullo stesso tema) nella sua grandezza ideale?
Proviamo ad immaginare, allora, che il pensiero di Marx abbia la stessa sorte del ricordo di don Chisciotte e, dopo la derisione, il fallimento, la morte, inizi la leggenda, la diffusione capillare nell’animo degli uomini di questo incredibile, tormentato Pianeta, e tutto si svolga e si evolva in piena libertà e consapevolezza verso quella che poi tanto utopia non ha da essere, visto che è contenuta addirittura nella costituzione degli Stati Uniti d’America: la ricerca della felicità.