regia di Sergio Corbucci, Ita 1966, Cecchi Gori Homevideo CineKult, dur. 93′, euro 9,99

Un uomo vestito di nero si trascina una bara dal contenuto mortifero. Il suo nome è Django, non ha nulla da perdere, ma ha una missione da compiere: vendicarsi di chi gli ha ucciso la donna amata. La sua è una battaglia privata che va a incrociarsi con un conflitto ormai radicato in un paesino di frontiera tra un gruppo rivoluzionario messicano capeggiato dal generale Rodriguez e una setta razzista statunitense comandata dal maggiore Jackson.

La bara che si porta dietro Django va ben al di là di una metaforica rappresentazione della perdita, in quanto ben presto si scoprirà essere la custodia di una mitragliatrice sotto i micidiali colpi della quale l’uomo solitario inizierà a sbarazzarsi dei suoi nemici. In una serie di capovolgimenti di fronte, e in un crescendo di efferatezze che valsero al film il divieto ai minori di 18 anni, il vendicatore nero realizzerà il suo piano in un finale – ambientato in un cimitero -, epico quanto la sequenza iniziale. Con questa pellicola, mezzo secolo fa, Sergio Corbucci spianò la strada agli spaghetti western suscitando non poche polemiche all’uscita nelle sale, ma riscuotendo notevoli consensi negli anni e anche oltre confine. Franco Nero, interprete di Django, fu consacrato dal successo sebbene doppiato da Nando Gazzolo. Il personaggio citato da Tarantino ne Le iene, dopo aver dato vita a una lunga serie di imitazioni, è stato riproposto nel 2007 da Takashi Miike in Sukiyaki Western Django, un riadattamento-tributo del genere, collocato però in uno scenario giapponese. Un’operazione che ha coinvolto lo stesso Tarantino che ha girato un suo spaghetti western (ambientato al tempo della schiavitù e interpretato da Christoph Waltz e Leonardo DiCaprio, con Franco Nero che compare in un cameo) intitolandolo Django Unchained (in uscita nelle sale italiane il 17 gennaio 2013) in omaggio al film di Corbucci.
Tra gli extra, il dvd contiene le interviste a Quentin Tarantino, Franco Nero, al compositore Luis Bacalov, a Piero Vivarelli (che firma la sceneggiatura assieme ai fratelli Corbucci e a Franco Rossetti) e al veterano maestro d’armi Gilberto Galimberti.

 

 

el_campoEl Campo
regia di Hernán Belón, Arg /Ita 2011, Cecchi Gori Homevideo, dur: 85’, euro 12,99

Una giovane coppia con bambina giunge nottetempo in una casa di campagna. La famigliola vive a Buenos Aires, l’abitazione dove i tre intendono trascorrere qualche giorno di vacanza mostra gli anni oltre la polvere. Santiago è pratico e fattivo, Elisa non si tira in dietro ma avverte il peso dello stato di abbandono in cui versa la dimora. La sua sensibilità, all’inizio apparentemente più spiccata, via via sembra trasformarsi in capacità sensitiva. La realtà sembra rivelare alla giovane e sensuale donna aspetti segreti e così ogni elemento della casa, del giardino, del campo – compresi i vicini – paiono assumere aspetti inconsueti che vanno al di là delle semplici apparenze. In un crescendo da thriller psicologico, Hernán Belón al suo esordio cinematografico (il film è stato presentato alla Settimana della Critica della Mostra di Venezia 2011), è bravo a tenere la narrazione in bilico nella quotidianità, dando l’impressione di essere sempre pronto a virare nel paranormale o nell’horror. È questa la forza della pellicola che si rivela alla fine come la cronaca di una crisi (forse post-partum) di Elisa che coinvolge appieno il suo uomo Santiago (Dolores Fonzi e Leonardo Sbaraglia) e la loro “bella” famigliola. Da sottolineare anche l’interessante approccio produttivo, frutto di una collaborazione che per la prima volta vede coinvolto l’Istituto Luce e che si inserisce in un mercato importante per il Belpaese considerato che l’Argentina è da sempre interessata all’Italia in quanto tra la sua popolazione conta una grossa fetta di oriundi.

 

 

detachmentDetachment – Il Distacco
regia di Tony Kaye, Usa 2011, 01 Distribution, dur: 97’, euro 14,99

Niente e nessuno potranno mai rimediare a un torto. Quando la vita infligge una violenza, fisica o psicologica che sia, si può soltanto cercare di navigare a vista, tentando di non affogare e stando bene attenti a evitare, nel bene e nel male, di inclinare irrimediabilmente quel delicatissimo equilibrio dettato dall’istinto di sopravvivenza. Henry Barthes (un magistrale Adrien Brody) è un supplente di letteratura che si guadagna da vivere rimpiazzando per brevi periodi colleghi di ruolo. È un solitario e la sua sembra una vita ai margini. Per un mese insegnerà in una scuola di periferia dove la preside ha i giorni contati perché l’istituto gode di cattiva fama e perfino gli immobiliaristi lamentano il rischio di un calo dei prezzi delle abitazioni dovuto al pessimo comportamento degli studenti. I ragazzi effettivamente sono a dir poco sbandati, privi di interessi culturali e sociali, immersi in un nichilismo d’accatto, avvezzi alla sopraffazione e poco inclini a qualsiasi forma di dialogo. Il professor Barthes però ha i suoi metodi, è molto diretto e sa affrontare le provocazioni, riesce insomma a guardare negli occhi i suoi interlocutori e a guadagnarsi la loro attenzione. Tutto bene, insomma. No, affatto perché una volta aperta una breccia nella vita di questi ragazzi spesso deprivati si rischia di finirne risucchiati in una vortice difficile da stabilizzare.
Alternando uno stile documentaristico ad una messa in scena emotivamente serrata, Tony Kaye riesce a rappresentare quanto sia difficile la fase del distacco, quanta maturità occorra da entrambe le parti e quanta sofferenza possa generare in chi invece lo subisce. E allora il distacco si può trasformare in una perdita, di fiducia, di stima e perfino della vita stessa. E paradossalmente è proprio l’umanità del professor Barthes (il cui nome casualmente rimanda al grande Roland) con la sua spiccata capacità di mettere assieme i frammenti esistenziali dei giovani che incrocia nella quotidianità della sua vita apparentemente distratta a condannarlo, a isolarlo ulteriormente, a farlo naufragare nel mal di vivere. Un film drammaticamente esistenziale sullo sforzo di un individuo per far fronte al fallimento sociale. È una sorta di mito di Sisifo, quello del professor Barthes, in chiave americana contemporanea.

 

Essential-KillingEssential killing
regia di Jerzy Skolimowski, Pol/Nor/Irl/Ung 2010, Eye division, dur. 83’, euro 15,90

Dalle dune del deserto afghano spazzato dal vento e dalle pale degli elicotteri militari, alle foreste innevate del nord-est europeo: Essential killing è la storia della fuga di un terrorista islamico (un sontuoso Vincent Gallo) catturato da un gruppo di soldati americani durante una battuta in un dedalo di caverne del Paese asiatico che riesce a liberarsi durante il trasferimento da un centro militare a un altro. È un film che si compone di solitudini, di affanni, di rumori, di bisogni. In ambienti naturali così estremi come lo sono la sabbia col sole cocente e la neve con le sue rigide temperature, la condizione di Mohammed il fuggitivo si trasforma fin dall’inizio in una lotta per la sopravvivenza resa ancora più delicata dai reparti speciali impiegati a braccarlo.
Vincitore del Premio della giuria alla Mostra del cinema di Venezia del 2010 e della Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, il film di Jerzy Skolimowski passa agilmente da uno scenario di desolazione bellica a uno di desolazione naturalistico-ambientale seguendo da vicino – con uno sguardo quasi da etologo – il protagonista che via via sembra mosso sempre più da un animalesco spirito di conservazione.

 

DebitoThe Debt – Il debito
regia di John Madden, Usa 2010, Universal Home Entertainment, dur. 114’, euro 11,99

Tre giovani agenti segreti del Mossad sono sulle tracce di un chirurgo nazista responsabile di innumerevoli efferatezze compiute nel campo di sterminio di Birkenau. La guerra è finita da vent’anni, Berlino è stata divisa. L’uomo, sotto falsa identità, è riuscito a riprendere l’attività medica nella parte est della capitale tedesca. La missione di Rachel Singer, Stefan Gold e David Peretz è quella di catturare il dottor Dieter Vogel, trasferirlo a Berlino Ovest e da lì in Israele per sottoporlo a un pubblico processo. Le cose non andranno come previste e il piano subirà più di un cambiamento; lo si scoprirà nel corso della storia che è ambientata nel 1997 quando la figlia di Rachel e David presenta il suo libro sulla vicenda che negli anni Sessanta ha visto protagonisti i genitori, la madre in particolare, nell’uccisione del nazista. La versione ufficiale, si scoprirà, è ben diversa da quella reale.
John Madden realizza il remake di Ha-Hov, il film diretto da Hassaf Bernstein nel 2007, avvalendosi di un ottimo cast con Jessica Chastain ed Helen Mirren nel ruolo di Rachel (giovane ed anziana) e Tom Wilkinson in quello del veterano David. Concepita come un thriller, la narrazione intreccia le vicende storiche e le ragion di Stato a quelle personali con la giovane Rachel innamorata dell’introverso Stefan che si ritrova a letto con il determinato David col quale finirà per sposarsi. I salti temporali, tra passato e presente, sono convincenti e incrementano la tensione. Un unico dubbio sorge soltanto sul personaggio di Stefan che non si sarebbe mai sottratto al confronto col proprio passato e che invece finisce per essere liquidato con troppa facilità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *