Osserviamo, innanzi tutto, a differenza di quanto avviene nel divorzio, che in caso di separazione la pensione di reversibilità è sempre dovuta al coniuge superstite (in genere la moglie), anche se la separazione sia stata a lei addebitata.
Di contro, nel divorzio i requisiti per rivendicare il diritto alla reversibilità sono i seguenti:
a) Essere titolare di assegno divorzile;
b) Non essere passato a nuove nozze;
c) Inizio del rapporto di lavoro da cui consegue il trattamento pensionistico, precedente alla sentenza di divorzio.
La norma sostanzialmente prevede due ipotesi: l’una in cui l’ex coniuge ottenuto l’assegno muoia senza lasciare un altro coniuge avente diritto alla pensione, l’altro in cui vi sia un altro o più coniugi successivi.
Nel primo caso il coniuge divorziato, avrà diritto all’intero trattamento pensionistico, se titolare di assegno divorzile.
Non sarà quindi necessario adire il Tribunale e l’interessato potrà direttamente procedere alle incombenze amministrative per l’ottenimento del beneficio.
In caso di resistenza dell’ente obbligato, egli si rivolgerà al magistrato competente per la causa pensionistica.
ESISTENZA DI UN ALTRO CONIUGE IN VITA
La seconda situazione, più complessa, è quella in cui vi sia un altro successivo coniuge avente diritto anch’esso alla reversibilità.
In questa ipotesi il beneficiario divorziato dovrà rivolgersi necessariamente al Tribunale per la determinazione della propria quota.
Il Tribunale provvederà ad assegnare al coniuge divorziato una quota della pensione e delle altre indennità, tenuto conto della durata del matrimonio, ed un’altra quota al coniuge di seconde nozze.
In caso di più divorzi il tribunale provvederà alle relative ripartizioni.
All’atto della domanda, precisa la legge, bisognerà presentare un atto notorio in cui risultino tutti gli aventi diritto.
I CONTRASTI SULLE QUOTE DELLA PENSIONE TRA CONIUGE LEGITTIMO ED EX CONIUGE DIVORZIATO
Va detto subito che sussiste un numero notevole di vertenze giudiziarie tra primo coniuge e secondo coniuge del defunto.
La ragione deriva da alcuni aspetti, non solo di ordine giuridico, ma anche sociologico ed economico.
Si tratta di liti per importi non infrequentemente rilevanti (la pensione di reversibilità costituisce un’alta percentuale della pensione in precedenza goduta dal de cuius).
Tenuto conto della maggiore durata della vita delle donne, per la quasi totalità dei casi, si tratta di liti giudiziarie tra la prima moglie divorziata e la seconda moglie superstite.
Spesso tali liti, finiscono con l’assumere valenze assolutamente personali e non tanto legate all’aspetto giuridico.
Infatti la possibilità di convenire in giudizio, da parte della prima moglie, la seconda, costituisce, come gli avvocati possono facilmente constatare, una sorta di “vendetta” della prima compagna, la quale riesce finalmente a “punire” la persona che è stata non infrequentemente causa del fallimento dell’unione, con tutte le conseguenze sul piano personale e psicologico facilmente immaginabili.
A ciò si aggiunga il valore patrimoniale delle vertenze, laddove il primo coniuge ha dovuto lottare per anni ed anni per vedere aumentato l’assegno di mantenimento o divorzile di qualche decina di euro, e poi improvvisamente si vede aperta la porta dell’acquisizione di una pensione di reversibilità per importi spesso rilevanti, circostanza che acuisce ancora di più l’animosità delle contendenti e dei rispettivi legali.
IL COMPUTO DELLA DURATA DEL MATRIMONIO
L’art. 9 della legge divorzile prevede che il giudice, nell’attribuire la quota di reversibilità, deve “tener conto della durata del rapporto”.
Tuttavia ciò significa, secondo la giurisprudenza della Cassazione, che la durata del matrimonio vada computata dal momento della stipula del matrimonio stesso non fino alla separazione, bensì fino alla pronunzia di divorzio.
Accade quindi spesso che ci si ritrovi di fronte ad un enorme incremento della quota spettante al primo coniuge, rispetto alla quota spettante al secondo coniuge, con rilevante pregiudizio su di un piano sostanziale.
Infatti, in genere, la relazione con colei che diverrà il secondo coniuge inizia durante il rapporto matrimoniale o subito dopo.
Tuttavia il matrimonio con la seconda compagna non può essere contratto se non dopo la pronunzia ed il passaggio in giudicato del divorzio.
In questa maniera accade che il primo matrimonio spesso abbia una durata apparente di dieci o vent’anni (tenendo conto dei procedimenti intercorsi tra le parti, le impugnazioni, ecc.), mentre il secondo matrimonio, vale a dire quello con la compagna realmente nella maggioranza della vita del defunto, risulta formalmente di pochi anni.
In queste condizioni, applicando a rigore la normativa divorzile, che appunto tiene conto solo della durata degli anni di matrimonio, accade che alla prima moglie, con la quale non vi è stato più alcun rapporto da anni, venga attribuita la maggior parte della quota della pensione, mentre alla seconda moglie, che ha potuto contrarre il matrimonio solo dopo le lungaggini processuali ed il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, venga attribuita una quota di pensione minima pur essendo colei che si è dedicata al proprio compagno per la maggioranza della vita e soprattutto nella parte finale della vita del defunto, con tutti i sacrifici immaginabili.
PRESENTAZIONE DEL RICORSO – INTERPRETAZIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE E DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Il ricorso per ottenere la quota di pensione di reversibilità, segue il rito camerale avanti al Tribunale.
La giurisprudenza è intervenuta sulla questione di cui si è parlato, e cioè dell’ingiustizia dell’attribuzione di una pensione che tenga conto soltanto della durata del matrimonio, con alcune pronunce interpretative.
In tal senso anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 419/99, pur rigettando l’eccezione di incostituzionalità della norma, apriva uno spiraglio, ritenendo che, all’espressione “tenendo conto della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali”, se da un lato non possa essere attribuito un significato diverso da quello letterale, tuttavia non doveva escludersi l’utilizzazione anche di altri criteri, non potendosi però prescindere dal valore preponderante del calcolo matematico della durata del matrimonio.
La Cassazione è intervenuta in seguito ed ha precisato che, in ragione del carattere solidaristico della pensione di reversibilità ed alla luce dei precetti costituzionali di eguaglianza e di solidarietà sociale, nonché tenuto conto della sentenza della Corte Costituzionale, la ripartizione del trattamento di reversibilità in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuata oltre che sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale, anche ponderando ulteriori elementi.
Tali elementi devono essere correlati alle finalità che presiedono il diritto della reversibilità da utilizzare eventualmente quali correttivi del criterio temporale.
Tra tali elementi in particolare va individuato l’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso, nonché le condizioni particolari dei soggetti coinvolti nella vicenda al fine di evitare che l’ex coniuge non sia privato dei mezzi indispensabili per mantenere il tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l’assegno di divorzio, ma contestualmente il secondo coniuge possa a propria volta mantenere il tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita.
Inoltre va computata anche l’esistenza di un periodo di convivenza prematrimoniale del secondo coniuge, che potrà essere considerato dal giudice del merito come elemento da apprezzare per una più compiuta valutazione della situazione.