La singolare fattispecie esaminata dalla Cassazione con l’ordinanza n° 3739 del 20/03/2019 non ha fatto altro che confermare l’orientamento ormai assolutamente consolidato secondo il quale la casa coniugale non può mai essere assegnata in assenza di figli.
Casa in rapporto al mantenimento
Nel caso specifico il marito e la moglie si erano accordati nel senso che la donna pur non avendo diritto alla casa coniugale, tuttavia la avrebbe utilizzata egualmente tenendo conto di tale beneficio per la determinazione ridotta del mantenimento.
Infatti l’assegno veniva stabilito in una somma inferiore di quanto dovuto e ciò fino alla data stabilita per la vendita della casa. Soltanto dopo la vendita, perdendo il beneficio dell’alloggio, la donna avrebbe avuto diritto ad un aumento delle somme mensili.
Sia il Tribunale, che la Corte d’Appello che infine la Cassazione rilevavano che il diritto all’occupazione della casa coniugale derivante da un rapporto sostanzialmente contrattuale fra i coniugi, aveva creato certamente un nesso fra il mantenimento e la casa, ma tuttavia il Tribunale non poteva attribuire l’assegnazione dell’alloggio trascrivendolo alla Conservatoria dei Registri Immobiliari, diritto che viceversa spetta esclusivamente, come noto, solo in presenza di figli minori o di figli maggiorenni non autonomi.
La casa coniugale quale valore economico prevalente
Si è visto più volte infatti, ed ormai è costante tale orientamento della Cassazione, che la casa coniugale non possa essere assegnata in assenza di figli minori o maggiorenni non autonomi, in quanto lo scopo della norma è quello di garantire agli stessi di mantenere lo stesso ambiente in cui sono sempre vissuti, riducendo al minimo il danno derivante dal disgregamento famigliare.
Tuttavia se non vi è dubbio circa il contenuto ed il significato dell’art. 155 c.c. in tema di separazione e della legge 898/70 e successive modifiche in tema di divorzio, è altrettanto chiaro che spesso, nei rapporti economici di coppia, l’utilizzazione della casa, costituisca il vantaggio prevalente nell’equilibrio fra i coniugi, laddove oggi il costo di locazione di altra abitazione, presenta degli oneri talmente rilevanti che la perdita della casa incide pesantemente nella determinazione degli accordi tra i coniugi.
Del resto la stessa norma prevede espressamente che il giudice debba tener conto dell’assegnazione della casa coniugale di proprietà dell’altro nella determinazione del mantenimento e dell’assegno divorzile.
Teoricamente le norme non prevedono tuttavia un obbligo automatico per il giudice di procedere all’assegnazione della casa familiare allorché vi siano figli non autonomi, talché il giudice potrebbe anche decidere diversamente in situazioni particolari, anche se di fatto la regola giurisprudenziale è rispettata nella pressoché totalità dei casi.
L’assenza di protezione per il coniuge più debole
Va però ricordato che tale giurisprudenza pur se consolidata della Cassazione, comincia ad essere attaccata da numerosi ricorsi che rilevano come l’assegnazione della casa coniugale vada configurata non solo come mezzo di protezione della prole, ma anche sotto altro aspetto e cioè quale mezzo al fine di garantire al coniuge più debole la possibilità di sopravvivere in maniera decente.
Non è un mistero che il coniuge estromesso dall’abitazione con un reddito modesto, sia pure con un assegno di mantenimento da parte dell’altro, si trovi in situazioni di indigenza semplicemente dovendo sostenere il canone locativo di un’altra abitazione.
D’altra parte come abbiamo evidenziato più volte la perdita della casa, soprattutto per il coniuge anziano con figli ormai autonomi, che si trova a dover sopportare la separazione promossa dall’altro, e frequentemente senza alcuna sua colpa, costituisca un trauma spesso irreversibile che non trova certamente compensazione neanche in un adeguato assegno di mantenimento, allorché la stessa perdita dell’alloggio, ove si è sempre vissuti, di per sé finisce con il configurare un danno irreversibile.