L’esito delle elezioni politiche 2013, con il quale stiamo imparando a convivere da due settimane a questa parte, deve aver sorpreso lo stesso Beppe Grillo e il suo Movimento a 5 Stelle, protagonisti di un vero e proprio exploit che ha portato la formazione di Casaleggio e compagni a risvegliarsi, il giorno dopo le elezioni, con la consapevolezza di essere il primo partito italiano per numero di preferenze.

Una responsabilità non da poco per un movimento che si appresta al debutto in Parlamento. Preoccupato dalla “prima volta” parlamentare del suo movimento, il leader italiano uscito vincitore, politicamente, dalle urne, ha pensato bene di strigliare a dovere i neoeletti a 5 stelle affinché non si lascino sedurre, una volta insediatisi alle Camere, dalle sirene dei partiti, già pronti a mettere le mani sugli ingenui grillini per rinfoltire le proprie schiere e, nel caso del PD, per racimolare una maggioranza in grado di governare. Per evitare quello che egli stesso ha definito il “mercato delle vacche”, l’ex comico, ormai leader dei 5 stelle, ha pubblicato, il 3 marzo scorso, un post durissimo sul suo blog, dal titolo inequivocabile: “Circonvenzione di elettore”. Nel post in questione, Grillo se la prende con i “voltagabbana, opportunisti, corruttibili, cambiacasacca” a cui  l’elettore “paga lo stipendio attraverso le sue tasse perché mantengano le loro promesse.” Il voto è dunque, secondo Grillo, “un contratto tra elettore ed eletto“ mentre la Costituzione lascia all’eletto la possibilità di fare “usando un eufemismo, il cazzo che gli pare”.

Il principio del libero mandato
Sul banco degli imputati del blog a cinque stelle sale dunque l’articolo 67 della Costituzione italiana che recita: Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato“. Secondo Grillo l’articolo 67 andrebbe dunque cambiato drasticamente se non, addirittura, abolito, per consentire non solo di cacciare dal Parlamento coloro che, per una ragione o per l’altra, cambiano schieramento politico, ma anche per poterli perseguire penalmente. Alla luce degli avvenimenti a cui abbiamo assistito in questi anni, il ragionamento sembrerebbe corretto: per evitare gli Scillipoti e i De Gregorio di turno, pronti a vendersi al miglior offerente, incuranti di qualsiasi principio o interesse che vada minimamente al di là della propria mangiatoia, basterebbe introdurre un principio che vincoli l’eletto a conformarsi al programma della lista con cui entra in Parlamento. Tuttavia, nonostante gli abusi eclatanti della libertà di mandato, che abbiamo imparato a conoscere così bene, il principio espresso dall’articolo 67 della costituzione rimane un principio giusto. Un principio talmente giusto da indurre lo stesso Grillo, 3 anni fa, a scrivere, per criticare la partitocrazia messa in piedi dalla “casta”: “L’articolo 67 della costituzione è molto chiaro. Chi è eletto risponde ai cittadini, non al suo partito”. La faccenda è dunque più complessa di come potrebbe apparire a prima vista e se oggi ci affrettassimo a cancellare un principio più che giusto sulla base del pessimo comportamento di alcuni parlamentari, sarebbe come vietare a tutti di uscire di casa perché alcuni hanno la pessima abitudine di commettere azione malvage quando vanno in strada.

Il mandato imperativo e l’Ancien Régime
Affermare il principio che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” vuol dire svincolare l’ eletto, in una delle due Camere, dall’obbligo di rappresentare solo gli interessi di una parte, che sia il suo partito, la sua categoria, la sua regione ecc. e consentirgli, invece, di rispondere esclusivamente alla sua coscienza per servire la Nazione nella sua interezza. Il vincolo di mandato imperativo, come si chiama tecnicamente la proposta avanzata da Grillo, è un retaggio del passato, scomparso dagli ordinamenti dei Paesi democratici da un bel po’ di tempo a questa parte perché considerato lesivo delle libertà fondamentali. Proprio come sostenuto da Grillo, il mandato imperativo era una sorta di contratto privato fra elettore ed eletto il quale, poteva essere revocato se l’eletto, ossia il mandatario (per dirla giuridicamente) non si impegnava nel tutelare gli interessi della sua fazione. Caratteristico della monarchie assolute, era una caratteristica tipica dell’Ancien Régime, in cui gli eletti nei parlamenti francesi del tempo erano tenuti a perorare la causa dell’ordine in cui erano stati eletti, senza nessun interesse per il bene della Nazione nel suo insieme. Così i rappresentanti della nobiltà si occupavano esclusivamente degli interessi dei nobili, il clero di quelli degli alti prelati e il Terzo Stato tutelava soltanto le ragioni della borghesia emergente. Risultato: la maggior parte della popolazione era costantemente esclusa da ogni forma di rappresentanza. Non è un caso che il vincolo di mandato sia stato abrogato proprio durante la Rivoluzione Francese con la costituzione del 1791 che introduceva il principio del libero mandato formulato da Edmund Burke nel suo famoso Discorso agli elettori di Bristol, e ispirato alla dottrina della sovranità nazionale concepita da Sieyès.
Secondo questa teoria i rappresentanti del popolo sono tenuti a rappresentare tutto il popolo e non solo una parte di esso a cui sarebbero vincolati dal mandato elettorale. Gli interessi della Nazione nel suo insieme furono dunque sostituiti a quelli di parte. Dopo una breve ricomparsa nel 1871, durante l’esperienza della Comune di Parigi, il mandato obbligatorio è stato definitivamente messo da parte dagli Stati liberali dell’Occidente, mentre fu introdotto nelle costituzioni delle repubbliche socialiste del XX sec. La Costituzione russa del 1918, prevedeva infatti che “Gli elettori che eleggono un deputato hanno il diritto di destituirlo e di ottenere nuove elezioni”. Ma vincolare la volontà dei parlamentari non contribuì a favorire gli interessi del popolo ma soltanto a sottomettere gli eletti ai dettami del partito unico al potere.

Come evitare il “mercato delle vacche”?
Altro che democrazia diretta! Come evitare dunque il “mercato delle vacche” parlamentari, senza fare notevoli passi indietro sul terreno della democrazia? Innanzitutto instaurando un’adeguata regolamentazione interna dei partiti, regolamentazione che non fu esplicitata nella nostra Carta Costituzionale dai padri costituenti e che fu, di fatto, delegata completamente ai partiti stessi con tutti gli abusi che ne sono conseguiti. Ma non basterebbe. Con l’attuale legge elettorale, senza preferenze, i parlamentari, nominati dai partiti, sono rappresentanti dei partiti stessi e non più degli elettori e, paradossalmente, si potrebbe proporre un regolamento che vieta ai rappresentanti di partito di uscire, dalla formazione a cui appartengono pena l’esclusione dal Parlamento . Un vero e proprio cortocircuito che renderebbe, di fatto, il Parlamento un organo superfluo. Tanto varrebbe eliminare il Parlamento creato per discutere le leggi, e delegare solo Bersani, Grillo e Berlusconi a votarsi le leggi che propongono abolendo, di conseguenza, ogni distinzione fra potere legislativo ed esecutivo. Piuttosto di tornare all’Ancien Régime con la reintroduzione del vincolo di mandato, è necessario, dunque, una volta per tutte, sbarazzarci dell’odiato/amato Porcellum, la legge elettorale attualmente in vigore che tutti dicono di voler cambiare ma che dopo anni di promesse è ancora viva e vegeta. Una legge sbagliata, definita una “porcata” dal suo stesso autore, che, a distanza di anni, continua a fare danni notevoli: grazie ad essa ci ritroviamo, all’indomani delle elezioni, in un Paese del tutto ingovernabile. Se il Porcellum è la causa della maggior parte dei recenti mali politici italiani, la priorità dunque è scrivere al più presto una nuova legge elettorale. Speriamo che anche Grillo se ne renda conto.

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