Fino a poche settimane fa avevo una discreta stima di Cesare Prandelli. Mi sembrava capace di un minimo di autodeterminazione e di fare le cose più logiche senza voler dare per forza l’impressione che un commissario tecnico non è bravo se non fa ciò che nessun altro avrebbe potuto nemmeno pensare.
Ma nella penultima giornata dello scorso campionato di serie A è accaduto un fatto che ha prodotto qualche perplessità. Faccio riferimento ai tre turni di squalifica comminati al calciatore Chiellini per gioco scorretto. Tale precedente, in base al codice etico, adottato dallo stesso Prandelli, avrebbe dovuto comportare la non convocazione in nazionale del giocatore. Invece Cesare lo ha convocato egualmente, adducendo lo stupefacente motivo che, dopo aver più volte rivisto l’azione, la considerava non fallosa. Sconfessava così la decisione opposta a cui era giunta la giustizia sportiva del calcio ricordando in questo, la strana convinzione di quanti ritengono che abbia più valore il proprio giudizio (e quello dei propri elettori) che non le sentenze passate in giudicato che condannano un leader politico in maniera irrevocabile; affermazione che sarebbe divertente se non disgregasse uno dei pilastri delle civiltà giuridica e del regolare svolgimento della vita associata.
Non pago di tanto danno, Prandelli giunge poi a scagliarsi contro gli italiani tutti, che si dividono sempre, tranne quando devono attaccare le istituzioni. Affermazione che suona strana nella bocca di colui che ha da poco sconfessato e contraddetto l’istituzione calcistica a cui appartiene, non riconoscendone la decisione e quindi l’autorità.
Ora, non saremo certo noi a criticare il pragmatismo di chi non intende farsi del male lasciando a casa uno dei calciatori considerati più forti, tanto meno in una nazione il cui presidente del consiglio fa del pragmatismo la sua stella polare. Ma Cesare poteva convocare Chiellini per i mondiali e lasciarlo fuori squadra nella prima uscita della nazionale. Avrebbe così rispettato il codice etico, subendo danni limitati.
Questo non vuol certamente dire che sono lieto dell’eliminazione della nostra squadra dai mondiali, in particolare perché non appartengo a quella quota di italiani che farneticano di patrie limitate a porzioni esigue del nostro territorio, disprezzano l’inno nazionale e userebbero in modo improprio il tricolore. Al contrario ci avrebbe fatto bene una buona dose di amor di patria per dare un po’ di ottimismo, maggiore convinzione e forza comune al tentativo di raggiungere qualche miglioramento nella difficile congiuntura in cui siamo ancora immersi.
Però non trovo ragioni tali da essere particolarmente abbattuto, per il semplice motivo che l’eliminazione dell’Italia non fa gridare allo scandalo anzi sembra l’esatta conseguenza dei valori visti in campo. Costarica (o, Costa Rica) e Uruguay non hanno rubato nulla, pur senza eccellere, né possiamo lamentare clamorose sviste arbitrali a nostro danno e tanto meno invocare numerose occasioni da gol mancate per poco. Forse è solo venuto meno lo stellone che ci ha tante altre volte aiutato.
Quindi è giusto così. Per il resto, in base ai poteri conferitimi dall’essere uno dei 60 milioni di commissari tecnici dell’Italia, affermo che il nostro gioco, fatto di tocchetti e lentezza, è ormai superato, come dimostrano i fallimenti di Barcellona e Spagna. Le squadre vincenti sono quelle “indiavolate” che hanno giocatori ed energie per praticare un calcio aggressivo basato su pressing a tutto campo, ripartenze celeri e movimento continuo. Per capirci quel tipo di calcio che l’Italia ha parzialmente messo in mostra negli ultimi minuti della partita con l’Uruguay, pur in inferiorità numerica, dopo aver subito il gol..
Poiché amo fare previsioni, anche perché in genere le sbaglio, predìco la vittoria ai mondiali di una squadra con caratteristiche di rapidità, velocità e aggressività (tipo l’Olanda), purché abbia la forza di confermarle fino in fondo e purché la FIFA non pensi che la sconfitta del Brasile porterebbe sommosse popolari ad opera di quanti hanno ritenuto un grave errore le ingenti spese sopportate per organizzare il torneo.
PS: Per onestà intellettuale va detto che, nell’Italia dove nessuno lascia spontaneamente la propria poltrona, non si può che plaudire con ammirazione alle dimissioni di Prandelli.