La sfida è di quelle su cui può giocarsi un’intera carriera politica: risolvere definitivamente l’eterna crisi napoletana dei rifiuti, inaugurando, dopo 17 anni di commissari, scandali, decreti e proteste, un nuovo corso nella gestione della spazzatura, fondato sulla sicurezza ambientale e sul diritto, o, più semplicemente, sulla “normalità”. Una sfida che la nuova amministrazione comunale di Napoli sembra aver raccolto con grande determinazione, pur se con qualche iniziale ingenuità nell’indicazione dei tempi e degli obiettivi.
Anche se da qualche giorno la città sembra precipitare di nuovo verso il baratro, forse è ancora presto per valutazioni e bilanci: per ora quel che appare chiaramente è che l’arma principale su cui sembra fare affidamento la giunta che si è insediata qualche mese fa è l’incremento del porta a porta. Il problema è che potrebbe non bastare.
Prima di tutto, la differenziata
Il nuovo piano della raccolta differenziata domiciliare (vedi delibera allegata), presentato a Palazzo San Giacomo alla fine di luglio, prevedeva una tabella di marcia piuttosto serrata per arrivare a estendere il servizio porta a porta a circa 500mila abitanti entro i primi mesi del 2012. In origine, il programma varato dal Comune prevedeva di attivare la raccolta domiciliare in tre nuovi quartieri (Posillipo, Barra e Ponticelli) entro la fine di dicembre e di completare, entro la stessa deadline, l’estensione del servizio a Scampia e nei Quartieri Spagnoli, fino a quel momento coperti solo parzialmente. Il piano prevedeva poi di coinvolgere, all’inizio dell’anno prossimo, anche Vomero, Fuorigrotta, Chiaia e San Ferdinando, nonché l’area Unesco del Centro antico (la zona dei Decumani, inserita nel patrimonio dell’umanità dell’Unesco), per arrivare appunto a raggiungere circa la metà della popolazione partenopea. In realtà, le scadenze annunciate in estate dalla Giunta comunale sono già state riviste, almeno parzialmente. A determinare il ritardo, ha spiegato il vicesindaco di Napoli con delega ai Rifiuti, Tommaso Sodano, è stata la mancata aggiudicazione di due lotti della gara bandita da Asia (la municipalizzata che si occupa della raccolta) per la fornitura del materiale necessario, che ha inevitabilmente rallentato l’ampliamento del porta a porta. Al momento, dunque, il servizio è stato esteso soltanto al quartiere di Scampia, dove, stando alle prime valutazioni fornite dall’amministrazione, la novità è stata accolta con molto favore dai residenti, che si sono mostrati molto disponibili a collaborare. L’intervento ha previsto prima di tutto la distribuzione di appositi kit alle famiglie, contenenti sacchetti di colore diverso, bidoncini per la frazione organica e il calendario per il conferimento, seguita dalla progressiva rimozione dei cassonetti stradali. Questa fase preparatoria è iniziata qualche giorno fa anche nell’area di Posillipo, dove la vera e propria raccolta domiciliare dovrebbe partire nelle prossime settimane. Per gli altri quartieri si dovrà attendere il 2012, ma la giunta è ottimista, soprattutto perché la scorsa settimana la Cassa Depositi e Prestiti ha finalmente sbloccato 43 milioni di euro destinati alla ricapitalizzazione di Asia. I fondi erano attesi già dalla fine di giugno, ma alcune difficoltà burocratiche avevano rallentato le procedure, soprattutto a causa, stando alle dichiarazioni di Sodano, della scarsa credibilità del Comune e delle sue partecipate, che hanno faticato non poco per “rassicurare” le banche. I 43 milioni, comunque, alla fine sono arrivati e saranno utilizzati, tra l’altro, proprio per l’acquisto dei mezzi necessari per estendere il porta a porta agli altri quartieri.
Il nodo degli impianti
Ma la raccolta differenziata rappresenta solo la prima fase del ciclo di gestione dei rifiuti. Separare i rifiuti senza disporre degli impianti necessari per il trattamento delle varie frazioni merceologiche metterebbe la città nella condizione di dover continuare ad inviare l’immondizia raccolta al di fuori dei propri confini. Su questo fronte, l’amministrazione De Magistris ha le idee chiare: Napoli non ha bisogno di un nuovo inceneritore. Quello previsto nell’area orientale della città sarebbe, secondo il Comune, del tutto superfluo, soprattutto in previsione del programmato aumento della differenziata. La giunta, infatti, ritiene che l’impianto di Acerra, l’unico termovalorizzatore al momento attivo in Campania, sia sufficiente a soddisfare le esigenze di smaltimento della frazione indifferenziata di tutta la provincia. Anche perché, dopo un avvio piuttosto travagliato, caratterizzato da proteste della cittadinanza, collaudi più lunghi del previsto e qualche problema tecnico, dall’inizio del 2011 l’inceneritore acerrano sta funzionando a pieno regime, almeno secondo i dati forniti dall’A2A, l’azienda bresciana che gestisce l’inceneritore. L’impianto, dunque, sarebbe, secondo l’amministrazione partenopea, del tutto sufficiente a smaltire l’indifferenziato prodotto nel territorio provinciale, per cui il Comune ha annunciato più volte di non voler portare avanti la costruzione dell’inceneritore di Napoli Est. Su quell’area, invece, la giunta vorrebbe realizzare delle piattaforme di separazione meccanica dei rifiuti e un impianto di compostaggio, ma la questione appare piuttosto complessa per l’intreccio di competenze con Provincia e Regione Campania. Proprio lo smaltimento dei rifiuti organici, comunque, resta uno dei principali nodi da sciogliere, dal momento che l’attuale capacità di trattamento della frazione umida su scala regionale non supera le 50mila tonnellate all’anno, mentre le tonnellate annue da gestire sono ben 500mila. Per questo il Comune vorrebbe costruire al più presto 2 o 3 impianti di trattamento dell’organico nel solo territorio comunale di Napoli, destinando a questa impresa 50-60 milioni provenienti dai fondi Fas e Por già stanziati per la città. Al momento, però, non sono ancora state individuate le possibili localizzazioni né gli altri dettagli degli ipotetici progetti.
La soluzione olandese
Cosa accadrà, dunque, fino a che non sarà adeguata la dotazione impiantistica? Fino a questo momento, l’ennesima esplosione dell’emergenza è stata evitata grazie a soluzioni tampone o trasferimenti dell’immondizia fuori provincia. L’organico, ad esempio, viene spedito in Veneto e in Sicilia, con costi molto alti sul piano ambientale oltre che su quello economico. Accordi sottoscritti con Liguria, Toscana ed Emilia Romagna, invece, permettono di allontanare ogni giorno da Napoli diverse centinaia di tonnellate di spazzatura. Per un po’ è stata utilizzata ancora la vecchia discarica di Chiaiano, dopo un discusso intervento di messa in sicurezza che ne ha permesso la riapertura, nonostante la feroce opposizione dei comitati di quartiere. Attualmente, l’impianto è stato chiuso dalla stessa SapNa, la partecipata provinciale attiva nel settore dei rifiuti, per effettuare degli accertamenti sul presunto cattivo funzionamento della discarica. Sulla SapNa e sui gestori di Chiaiano, tra l’altro, pende un’inchiesta della magistratura, secondo la quale le operazioni estive per la messa in sicurezza sarebbero in realtà servite a mascherare un ampliamento non autorizzato dell’invaso. La discarica, in ogni caso, dovrebbe chiudere definitivamente il prossimo 31 dicembre, come stabilito da una recente ordinanza della Provincia di Napoli, che in seguito alla sospensione dei conferimenti da parte della municipalizzata ha annunciato la chiusura dell’impianto per l’ultimo giorno del 2011. L’interruzione degli sversamenti a Chiaiano potrebbe determinare una nuova crisi nel labile equilibrio che si è creato negli ultimi mesi, anche perché il Tar del Lazio, nel frattempo, ha sospeso l’esecutività di una delibera della Giunta regionale della Campania dello scorso agosto, che imponeva alle Province di Benevento, Avellino e Caserta di modificare i propri Piani provinciali per la gestione dei rifiuti, consentendo di aprire sui propri territori nuove discariche destinate ad accogliere le immondizie prodotte nelle aree metropolitane, in particolare a Napoli. Un espediente che non era affatto piaciuto agli amministratori interessati, che per bloccare la delibera avevano appunto presentato un ricorso al Tribunale amministrativo. L’ultima spiaggia, ed è proprio il caso di dirlo, potrebbe essere la “soluzione olandese” individuata dal Comune di Napoli, che da mesi, insieme ad Asia, ha concluso un accordo con due società di trattamento dei rifiuti in Olanda. L’intesa prevede che i rifiuti napoletani vengano trasferiti via mare ai due inceneritori di Rotterdam e Delfzijl, a tariffe che l’amministrazione partenopea ha preferito mantenere segrete per evitare speculazioni di mercato, ma che fonti attendibili giurano essere più basse di quelle previste per lo smaltimento entro i confini nazionali. Un’operazione inedita e molto discussa, che gli olandesi hanno avallato soprattutto per la carenza di combustibile per i termovalorizzatori con cui fanno i conti da quando l’aumento della differenziata ha ridotto drasticamente la quota di rifiuti “misti”. Le prime navi, stando agli ultimi annunci del Comune, dovrebbero salpare dal porto di Napoli prima di Natale, ma non è escluso che l’avvio delle operazioni potrebbe essere rimandato, dal momento che le prime partenze erano previste inizialmente per il mese di settembre, ma la complessità dell’iter burocratico necessario le ha rallentate. Quel che è certo è che l’accordo prevede che i “viaggi dell’immondizia” proseguano almeno fino alla fine del 2012, con un’opzione per il rinnovo. La giunta comunale, in ogni caso, giura che si tratta solo di una misura temporanea, adottata per garantire la pulizia della città e avere a disposizione il tempo necessario per completare la chiusura del ciclo dei rifiuti.
La spada di Damocle delle sanzioni Ue
Ma Napoli, in questo caso con l’Italia intera, guarda all’Europa non solo in direzione Olanda. Tiene banco proprio in queste ore la vicenda delle sanzioni che L’Unione Europea potrebbe infliggere al nostro Paese se l’anomalia napoletana non venisse risolta al più presto. Nel 2007, infatti, la Commissione ha aperto una procedura di infrazione ai danni dell’Italia per violazione della direttiva quadro in materia di gestione dei rifiuti, la 2006/12/CE poi sostituita dalla 2008/98/CE (vedi allegato). Tre anni più tardi, la Corte di giustizia Ue ha condannato l’Italia al pagamento di un’ammenda per la mancata adozione delle “misure necessarie allo smaltimento dei rifiuti nella regione Campania” (vedi sentenza allegata). Due mesi fa, di conseguenza, Bruxelles ha chiesto al Governo italiano una risposta rapida e credibile sulle misure da adottare tempestivamente per voltare pagina, chiudendo l’emergenza una volta per tutte. I termini per l’invio della comunicazione sono scaduti alla mezzanotte del 30 novembre, ma l’Italia non ha ancora messo a punto la risposta. Anzi, il Governo ha chiesto all’Ue una proroga di 60 giorni per elaborare una strategia convincente. Un rinvio che la Commissione “deciderà rapidamente se accettare o meno”. Proroga o no, l’Italia rischia pesanti sanzioni. Sarà anche per questo che il neo-ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, sarà a Napoli domani (il 3 dicembre) per un tavolo di crisi con le autorità locali. Il ministro, comunque, ha già precisato, suscitando la reazione piccata del Comune, che secondo lui “il termovalorizzatore serve” e che se nelle prossime settimane la pulizia delle strade dovesse essere in discussione, l’esercito potrebbe tornare a spalare i sacchetti, come nei giorni peggiori della crisi. La questione, insomma, è tutt’altro che risolta, e c’è solo da sperare che con le festività natalizie alle porte i napoletani non finiscano col trovarsi con nuove montagne di sacchetti accanto al presepe.
delibera.comunale
direttiva ue
sentenza.corte di Giustizia Ue