L’Italia ha una ricchezza di vitigni autoctoni che il mondo –Francia compresa– ci invidia. Alcuni sono molto noti e danno vini eccezionali, come il Nebbiolo, base di Barolo, Barbaresco e Sforzato, solo per citare i vini più celebri, o il Sangiovese, protagonista in Toscana del Brunello di Montalcino.
Altri sono ormai normalmente coltivati, ma destinati a un consumo prevalentemente locale e la loro fama spesso non varca i confini regionali, come la Nosiola trentina, l’Erbaluce di Caluso piemontese o il Casavecchia della Campania.
Altri ancora, infine, sono stati per lungo tempo a rischio di estinzione perché i viticoltori hanno preferito dedicarsi a varietà più facili o più redditizie. Ma oggi, anche grazie all’interesse del pubblico per la tipicità e la territorialità, alcuni produttori illuminati e lungimiranti non solo portano avanti i vecchi vigneti, dedicando tempo ed energie alle vecchie varietà, ma spesso le imbottigliano in purezza.
Si tratta chiaramente di produzioni molto limitate, di curiosità enologiche, ma se vi capita di scovare qualche bottiglia non lasciatevela scappare: rappresentano uno dei momenti in cui l’amore per l’enogastronomia si fonde con la storia e la cultura del nostro paese.
Lumassina della Liguria: bianco prodotto in provincia di Savona, in particolar modo nella zona di Varigotti, il vitigno prende nome dalle lumache, considerate abbinamento ideale in tavola. Provate il Lumassina frizzante Ilaria di Sancio (www.cantinasancio.it), fresco, fruttato e molto beverino (circa 8 euro in enoteca).
Burson o Uva Longanesi dell’Emilia Romagna: l’uva porta il nome del suo scopritore Aldo Longanesi che negli anni Venti piantò alcuni ceppi nelle sue tenute nel ravennate, per aumentare il grado alcolico dei suoi vini; Burson era il soprannome con cui la famiglia era conosciuta da quelle parti. Caratterizzato dalla maturazione tardiva, il vitigno dà un vino potente, ricchissimo di antociani, con sentori di ciliegia sotto spirito, erbe aromatiche, spezie e note chinate. Oggi è coltivato da una manciata di produttori, ma voi provate l’Etichetta Nera dell’Azienda Agricola Longanesi Daniele (www.longanesiburson.com, circa 14 euro in enoteca).
Moradella della Lombardia: uva a bacca nera originaria della provincia di Pavia è caratterizzata da un colore molto scuro, che le conferisce anche il nome. Un tempo molto diffuso in tutto l’Oltrepo, attualmente non figura tra i vitigni iscritti al Registro Nazionale delle Varietà di Vite. Dà un vino potente, speziato e longevo, soprattutto se provate il Frodo, la versione del produttore biodinamico Fausto Andi (www.andifausto.com, circa 40 euro in enoteca).
Enantio del Trentino Alto Adige: conosciuto anche come Lambrusco a foglia frastagliata, è un vitigno a bacca rossa di antichissime origini, autoctono della Vallagarina. Tutelato oggi con una Doc, ha un bel colore rubino intenso e sapore speziato, tannico e asciutto. Cercate quello di Vallorom (www.vallarom.it, circa 11 euro in enoteca).
Tazzelenghe del Friuli Venezia Giulia: il suo nome significa taglialingua, un avvertimento dell’acidità, dell’astringenza e della scontrosità di questo vitigno, abbinamento ideale di secondi a base di carne grassa e di arrosti di maiale. Provate il Tazzelenghe di La Viarte (www.laviarte.it, circa 24 euro in enoteca).
Bellone del Lazio: l’origine del nome si rifà alla bellezza del grappolo di questo vitigno antico a bacca bianca, coltivato già dai Romani e diffuso oggi soprattutto nella zona dei Castelli, Anzio, Nettuno e Cori. Vinificato in purezza, il Bellone dà un vino alcolico, con sentori di frutta matura e finale amarognolo, da bere entro due anni dalla vendemmia. Se volete provare una versione particolare di Bellone, acquistate il dolce Ludum di Marco Carpineti (www.marcocarpineti.com, circa 15 euro in enoteca).
Tintore della Campania: il nome si rifà alla grande capacità colorante di questo vitigno a bacca rossa tipico della Costa d’Amalfi. Se vinificato in purezza, dà un vino rosso rubino scuro, quasi nero, con sentori di ribes nero, mirtillo in confettura, prugna matura, pepe e ginepro, con leggere note di cuoio e balsamiche. In bocca è caldo, di giusta acidità e tannino equilibrato; si sposa con animelle e patate, costine di maiale, carne di agnello. Un buon Tintore è l’Iss di Tenuta San Francesco (www.vinitenutasanfrancesco.it, circa 25 euro in enoteca).
Susumaniello della Puglia: forse originario della Dalmazia, il Susumaniello è un vitigno a bacca rossa che si è diffuso soprattutto in provincia di Brindisi. Il nome si riferisce alla sua grande capacità produttiva in gioventù, in grado di “caricare il somarello”. Grazie all’intensa colorazione del mosto, un tempo era usato come vino da taglio per i “pallidi” vini del Nord. Oggi dà ottimi risultati con i ceppi più vecchi. Provate il Sum di Racemi (www.racemi.it, circa 18 euro in enoteca).
Albanello della Sicilia: coltivato in provincia di Siracusa e citato già a partire dal 1700 è un vitigno a bacca bianca, oggi molto raro. Dà un vino fine e aromatico, semplice e gradevole, di un bel colore giallo paglierino, da bere come aperitivo o da abbinare a primi di pesce, formaggi molli, petti di pollo alla griglia e preparazioni a base di verdure. Cercate il Pretiosa di Cantine Gulino, tra i pochi a vinificare l’Albanello in purezza (www.cantinegulino.it, circa13 euro in enoteca).
Cagnulari della Sardegna: vitigno a bacca rossa coltivato soprattutto nella provincia di Sassari. Dal 1995 è tutelato con la Doc Alghero. Vinificato in purezza, dà un vino con note di piccoli frutti di bosco ed erbe balsamiche, vellutato in bocca e con caratteristico finale amarognolo. Provate quelli di Francesco Fiori (www.vinifiori.it; Cagnulari Nebriosu circa 15 euro in enoteca e Cagnulari Serra Juales circa 11 euro in enoteca).