Forse non tutti sanno che restaurare un dipinto antico potrebbe risultare anche conveniente. L’esempio è partito da un piccolo paese, Vallemare, una frazione di Borbona, in provincia di Rieti dove una famiglia ha iniziato col riportare agli antichi fasti un dipinto della seconda metà del XVII secolo, scatenando una bella reazione a catena.
L’Italia detiene circa l’80% dei beni storico-artistici del mondo, si sa, così come si sa molto bene che non ha le risorse economiche per mantenere questo immenso patrimonio.
In ogni angolo di paesino può capitare di scoprire una fontana del ‘600, in ogni chiesetta di campagna può venire alla luce un dipinto del ‘500. Può anche capitare che una popolazione si mobiliti per restaurare pezzo per pezzo i dipinti di una chiesa, non senza trarne, perché no, anche un piccolo profitto.
E’ successo a Vallemare, una piccola frazione di Borbona, in provincia di Rieti dove una famiglia, con un legame particolare con la Chiesa (la stessa famiglia quattro secoli fa commissionò la costruzione della Chiesa e finanziò i dipinti al suo interno), ha deciso di restaurare un bellissimo quadro della seconda metà del XVII secolo.
I restauri
Essendo finita l’epoca dei Principi, nessuno oggi avrebbe la forza economica per caricarsi le spese di tanti restauri, ma è interessante sapere che privati ed imprese possono comunque detrarre dalle tasse le spese sostenute.
Tutto è iniziato con il restauro del quadro dal titolo Madonna con Bambino e le Anime Sante qui a destra visibile in una foto prima dell’intervento della restauratrice Stella Mitri.
L’Autore è ignoto ma la tela risale alla seconda metà del XII secolo ed è stato restaurato tra il 29 luglio e il 19 agosto del 2011. Il risultato finale dell’intervento di restauro (vedi foto in homepage) deve avere riscosso così tanto successo che l’anno successivo la popolazione è tornata a bussare alle porte di soprintendenza e restauratrice chiedendo un ulteriore intervento.
Quest’anno, infatti, ad essere stato rimesso in “bella copia” è stato il dipinto su tela Madonna col Bambino tra i Santi Pietro e Paolo, un’opera della scuola del Maratta della fine del XVII secolo (le foto sono visibili nella galleria).
Insomma, restaurare, a quanto pare conviene e a guadagnarci sono proprio tutti: i benefattori perchè non solo ottengono tanta gloria guadagnandosi anche un po’ di fama tra i posteri, ma “scaricano” i soldi spesi dalle tasse;
il nostro patrimonio artistico, perchè anziché muffire in qualche angolo di cantina, bruciare al primo incendio, rimanere rosicchiato da qualche topo di campagna o peggio ancora “scomparire” improvvisamente per prendere le strade di altri Paesi, torna al suo antico splendore nel posto in cui è stato originato e pensato.
Qualcuno dirà: chissà che impazzimento per poter fare tutti i passaggi burocratici. In realtà non c’è niente di impossibile, basta presentare una domanda alla soprintendenza di appartenenza (in questo caso Lazio) allegando il progetto di un restauratore riconosciuto e certificato.
I passaggi burocratici
Presentata la relazione, gli uffici della sovrintendenza studiano il progetto, che deve essere completo di foto allegate, portando avanti le opportune verifiche, compreso il curriculum del restauratore, quindi vengono proposte se necessarie, integrazioni, oppure eventuali correzioni, quindi si dà il via libera ai lavori, durante i quali verranno svolti anche dei sopralluoghi per controllare la correttezza dell’intervento.
A spiegare i tempi burocratici è la dottoressa Isabella Del Frate, della soprintendenza del Lazio e curatrice dei restauri di Vallemare. “Per dare tutte le autorizzazioni impieghiamo in media due settimane – ha affermato – tempi burocratici assolutamente sostenibili, che di contro offrono però la garanzia assoluta di un restauro corretto”.
E sì, perchè in tanti anni di restauri, soprattutto nelle varie chiesette di campagna, ne sono stati fatti tanti, ma i risultati sono stati a volte disastrosi. “In passato – ha continuato Del Frate – sono stati commissionati tanti restauri a persone non competenti, con il risultato che le opere sono state deturpate e i soldi della comunità sono stati spesi male!”
Forse si ritardano i lavori di una settimana, ma si ha la garanzia di opere di restauro corrette.
Sempre con il contributo di privati, ha continuato Del Frate, recentemente sono stati fatti degli interventi nella Chiesa di Sal Lorenzo a Formello (Roma), dove è stata riportata alla luce la Pala dell’altare maggiore raffigurante San Sebastiano, risalente alla seconda metà del ‘500.
“Frequentemente – ha concluso Del Frate – i parroci ci inviano richieste di restauro e tra l’invio del materiale e il nostro ok, se la relazione è ben fatta e il restauratore è certificato e riconosciuto, può trascorrere al massimo una settimana ma si ha l’assoluta certezza di avere alla fine un lavoro ben fatto”.
Ma quanto conviene?
Intanto tutti possono detrarre spese per un’opera di restauro, dalle singole persone alle imprese per lavori effettuati e autorizzati dalla Soprintendenza su beni immobili di proprietà del demanio dello Stato, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni, di associazioni legalmente riconosciute, che senza scopo di lucro svolgano o promuovano attività di studio, di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale e artistico. I riferimenti normativi sono: l’articolo 3, comma 2 della legge 512/82 e articolo 13bis lettera h del DPR 917/86, modificato dall’articolo 15 lettera h del DLgs 344/2003.
In particolare, oltre al Codice per i Beni culturali, la normativa di riferimento è la legge 512/82 articoli 3 e 5 (Oneri deducibili dal reddito delle persone fisiche o giuridiche e Riduzione dell’aliquota dell’imposta di Registro).
L’ammissione ai benefici fiscali è subordinata all’assolvimento di quanto previsto dal DLgs 42/2004.
Per quanto riguarda le persone fisiche, queste possono portare in detrazione dall’Irpef, nella misura del 19% e il limite è di 2065 euro.
Le imprese, invece possono portare le erogazioni liberali in deduzione dal reddito di impresa e queste non possono superare il 10 % del reddito o i 70.000 euro annui.
Nel caso in cui il restauro o la manutenzione si attui in interventi riferibili a diversi anni, oltre alle richieste di detrazione per l’anno in corso, si potranno ovviamente effettuare richieste di detrazione per le ulteriori fasi d’intervento o per più strati d’avanzamento negli anni successivi, purchè le fatture siano suddivise negli anni di competenza e presentate nell’anno finanziario di riferimento.
Insomma, ad innescare questo circolo virtuoso ci guadagnano proprio tutti: Restaurate gente, restaurate. Sarebbe bello allora non togliere qualsiasi tetto alle detrazioni. Ma sarebbe anche importante che poi vicino alle opere, magari restaurate con i soldi della popolazione (detratti dalle tasse!) lo Stato non decida di farci una discarica…