Tutto quello che l’Uomo doveva conoscere per uscire dalla fase primordiale (dopo CENTOMILA ANNI? Diciamo, partendo dall’Homo Sapiens), e potersi definire semplicemente UOMO, l’ultimo balzo in avanti nel “sapere”, dopo lo splendore dell’Egitto, a partire dal periodo arcaico, 30 secoli prima di Cristo, era contenuto nel pensiero filosofico e scientifico dei Greci.
Partiamo dalla antica Mileto, città dell’Asia Minore ma, indiscutibilmente, di cultura greca.
[il cerchio si allarga: RUMORE di PASSI nei GIARDINI IMPERIALI (romanzo di futurologia – Alberto Liguoro. Maremmi Ed. 2010); MAPPA MUNDI (trattato di sociologia – Domenico De Masi. RCS Ed. 2013); LA REALTA’ non è COME CI APPARE (saggio di fisica e cosmologia – Carlo Rovelli. Raffaello Cortina Ed. 2014) parte introduttiva; ma altri cerchi si aggiungono e presto saranno evidenziati, come quando in uno stagno si lancia un sasso e un brivido di cerchi, concentrici, percorre, dal profondo, la superficie dell’acqua fino a perdersi lontano.]
La sua epoca d’oro è senz’altro da collocare tra il VI e il V secolo A.C.; un’epoca che avrebbe potuto perpetuarsi all’infinito, o almeno avere una durata di alcune decine, forse centinaia di secoli, trasformandosi, semmai, lentamente, nello scorrere del tempo, secondo una evoluzione senza scossoni; e, invece, con alterne vicende, proseguì, come si dirà, ancora per 200/300 anni, anche attraverso altre città, come Abdera sulle coste della Tracia, Elea nella Magna Grecia, e soprattutto la grande Civiltà delle πόλεις greche, ed infine, come un’onda senza risacca, si arenò sul lido omnicomprensivo della romanità.
Nel silenzio dei tempi e della Storia, era stato già scoccato, ahimé, un dardo avvelenato, 600/700 anni prima, allorché, sconfitta e rasa al suolo la potente città di Troia, anch’essa in Asia Minore, un po’ più a nord, dalla Lega degli Achei, come un paio di secoli dopo racconterà al Mondo, Omero, era fuggito da essa, l’antesignano della grandezza di Roma, il valoroso Enea, con il padre Anchise, il figlio Ascanio, e la moglie Creusa, perduta tra le ombre, e richiamata in luce dal sommo poeta Virgilio, nel I° secolo a.C., ed aveva già raggiunto, attraverso il susseguirsi delle generazioni, il suo bersaglio e dato i suoi frutti:
Nel 753 a.C., 4/5 secoli circa dopo la caduta di Troia, e la conseguente fuga di Enea alla ricerca di una nuova Patria, e un paio di secoli prima del fiorire di Mileto, fu fondata la città di Roma.
In epoca coeva possono datarsi i primi insediamenti di coloni provenienti dalle città greche, nella parte meridionale della penisola italica, che, molto più tardi, sarà chiamata Magna Grecia,.
E’ già questo un punto cruciale, dove si sottolinea in modo irreversibile la diversa provenienza di due Mondi che nulla hanno in comune, anche se si intrecciano per le imponderabili vicende della Storia, ma non arriveranno mai a fondersi tra di loro: il Mondo Classico, di impronta prettamente greca, il punto di arrivo e di piena realizzazione dei concetti di ARMONIA, MISURA, EQUILIBRIO, e il Mondo Romano, di impronta prettamente militare, amministrativa, giuridica che, dopo un periodo iniziale di espansione, sfocia nell’affermazione dell’egemonia assoluta, e nell’Imperialismo, inteso, va qui sottolineato, come unificazione, diffusione di civiltà e pace, ovviamente secondo i principi e le regole dell’Urbe, e non già arroganza, violenza, umiliazione.
Non si sottraggono a tutto ciò, né possono sottrarsi per il peso specifico delle forze in campo, i territori diffusi in tutto il bacino del Mediterraneo meridionale, delle città greche, alle quali i Romani attingono a piene mani, in ogni campo del sapere, del conoscere, dell’esprimersi nell’arte, nella scienza, nella letteratura, negli spettacoli ecc. ma i pilastri portanti del Mondo Classico, l’armonia, la misura, l’equilibrio confliggono in modo inconciliabile con l’asse portante dell’Impero, il DOMINIO.
Questo non permette, a mio parere, alcuna fusione tra i due Mondi, indipendentemente dalla leggenda di Enea, alla quale sono affezionato per motivi romantici più che filologici.
Anche se la fondazione di Roma da null’altro derivò se non dall’aggregazione di bifolchi locali, semmai integrati da migranti della sponda asiatica del Mediterraneo, come il trogloditico “ratto delle Sabine” sembrerebbe confermare, non cambia nulla con riferimento alle argomentazioni qui in corso.
Credo che si possa definire nel suo insieme, tutto il periodo della grandezza di Roma, fino agli albori del Medio Evo, periodo POST CLASSICO, pre-medioevale.
E’ una distinzione molto importante questa, per quello che sarà poi il seguito, dopo 10 secoli di Medio Evo, come dirò.
Nel VI – V secolo a. C., mentre molte perle di quel grande patrimonio intellettuale e spirituale ellenico, che con l’occhio indagatore dei posteri, fu visto nel felice connubio di tesis e metis, o, con impronta più marcatamente illuminista, di esprit de géométriee ed esprit de finesse, venivano messe in luce, tra l’Egeo, lo Ionio e il Tirreno, Roma completava la conquista del Lazio, sconfiggeva gli Etruschi e i Sanniti e assumeva la forma di governo repubblicana.
Nessuno poteva ancora saperlo, ma era stato gettato il seme di un grande Impero. Da una sola città, era prossimo ad essere generato il più grande Impero di tutti i tempi; l’unico che può fregiarsi del titolo di FONDATORE dell’IMPERIALISMO.
Poi le cose si sono evolute in un certo modo. Altri Imperialismi si sono ispirati, sono stati continuatori dell’Imperialismo romano, o hanno cercato, più o meno infruttuosamente, di perpetuare in sé l’IMPERO ROMANO, che in quanto epopea, in quanto umana vicenda, era giunto, sotto il profilo pratico e fenomenico, DOPO OLTRE 1000 ANNI di grandezza, alla sua irreversibile fine.
Anche l’età classica ha avuto scintille di rinascita nel riconoscimento della sua identità, dopo la caduta dell’Impero Romano che l’aveva in sé omologata, e dopo la gestazione del lungo Medio Evo.
Molti intellettuali e storici moderni individuano nel Rinascimento l’”erede spirituale della Grecia classica”.
Sono assolutamente d’accordo, e personalmente ritengo che il periodo rinascimentale troverebbe migliore puntualizzazione nell’essere definito il vero PERIODO NEOCLASSICO.
Senza alcuna intenzione di interferire con i pareri e i giudizi dei grandi studiosi del Rinascimento, del suo significato rispetto alle epoche precedenti e del periodo di riferimento, mi limito qui ad affermare, con sufficiente determinazione, che esso fu un fenomeno prettamente italiano, sia pure con lingue di fuoco che lambivano il resto d’Europa, come dimostrato dagli artisti fiamminghi, altri grandi pensatori, come Erasmo da Rotterdam, che a lungo viaggiò in Italia, così come Albrecht Dürer soggiornò per lunghi periodi a Venezia, ecc.
Anche questa epoca si arenò stancamente sulle sponde ad essa estranee dell’Era Moderna.
A partire dal XVI secolo termina definitivamente in Italia la Grande Storia, che continua invece in altri Paesi, quali la Francia, l’Inghilterra, la Germania, successivamente l’America, la Russia e così via; peraltro con l’interferenza dalla pancia gonfia e, alla lunga, destinata ad esplodere, ma al momento significativa, dei Regni di Spagna e Portogallo, manovrati da lontano, su uno scranno dagli alti, ondeggianti trampoli, come in un quadro di Salvador Dalì, dal camaleontico Stato della Santa Romana Chiesa. Ma si sa, l’uomo è imperfetto; molte altre volte dovrà essere ripreso questo discorso, in prosieguo.
Va sottolineato, peraltro, che l’Uomo è anche libero, per sua natura; e l’una cosa è, in fin dei conti, cartina di tornasole dell’altra.
La Storia ormai non poteva più fermarsi; lo aveva ben capito Girolamo Savonarola che, tentò di evitare quelle sciagure per Firenze e per l’Italia che, possedendo la lungimiranza del grande intelletto, prevedeva, pur in un’epoca di massimo splendore; ma fu impiccato e bruciato sul rogo come «eretico, scismatico e per aver predicato cose nuove».
Questo indubbiamente vuol dire qualcosa di particolare che (probabilmente solo in apparenza) è in contrasto con quanto normalmente e pedissequamente si racconta e si studia, circa il Medio Evo:
Secondo il mio punto di vista, due anime percorsero in lungo e in largo l’Europa, nei 10 secoli di Medio Evo, dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, alla scoperta dell’America, come fantasmi, o come spiriti guida, certo non lineari e deterministicamente conseguenti, ed anch’esse piene di contraddizioni, conflitti, incertezze ecc., come è, appunto l’anima. Deve ben saperlo, e lo sa bene l’Uomo, proprio perché imperfetto.
Una più delicata, più debole, ma piena di aspirazioni e di affermazioni e rappresentazioni di vita, proveniente direttamente dalla Grecia classica, che risultò, quindi, sorprendentemente, non pugnalata a morte, ma, almeno… moribonda, o forse solo in pericolo di vita.
Un’altra più robusta, invasiva e corazzata, proveniente dal potere, dal dominio, dall’imperialismo romano; piena di vitalità, più che di vita, potremmo dire, e anche di morte, come ogni altra cosa, necessaria, nel sistema degli “scopi”, per la definizione degli stessi.
Un’ulteriore prova, se questa affermazione può essere considerata fondata, o quantomeno accettabile, che non c’era stata fusione tra le due anime.
La prima condusse il Mondo per mano al Rinascimento italiano. Una volta trovata la sua realizzazione, era destinata ad una vita breve ed intensa, come quella di una farfalla, o una libellula.
La seconda condusse a Martin Lutero, al calvinismo, al puritanesimo, alla riforma protestante in generale, che rappresentava la linea vincente nell’affermarsi dei tempi moderni, l’illuminismo, il liberismo, ecc.; la migliore prova di aver appreso in pieno la lezione dell’Imperialismo, ed avere capacità e volontà di dare ad esso attuazione.
Il che avvenne, come si sa, attraverso lunghissimi percorsi storici che giungono fino ai nostri giorni, e continuano, in un Mondo ormai globalizzato, con l’imperium economico e finanziario degli Organismi sovranazionali; una vita da tartaruga o da elefante, ma alla fine…
Non vedo come tutto questo possa trovare altro sbocco se non l’autodistruzione del Mondo e dell’Umanità, secondo una progressione concorrente e unidirezionale, con riferimento all’inquinamento e alla fame, al clima, alla deforestazione, allo scioglimento dei ghiacciai (non più) “eterni”, agli enormi squilibri sociali e alla distribuzione squilibrata degli esseri umani sul pianeta, al sovraffollamento, alla perdita delle biodiversità ecc.
Rimedi a tutto ciò, a parte conferenze, convegni, kermesse varie, sporadici atti di volontariato, ecc.? Considerando ulteriori ostacoli costituiti dal “negazionismo” di tutto quanto sopra, proveniente da vari ambienti di semplice portata intellettuale o di più concreta potestà decisionale, o dal proliferare di guerre, guerriglie e atti di terrorismo per impossessamento di risorse, genocidi, affermazione di supremazia, strategie relative ad interessi antagonisti ecc. dove i Servizi Segreti di vari Paesi che si sentono “al sicuro”, sguazzano alla grande, francamente NON NE VEDO; a meno che….
Ma torniamo a Mileto, nella sua epoca d’oro.
Molto sinteticamente, in funzione della “tesina” che si va qui svolgendo, ricordiamo:
TALETE, considerato il primo filosofo della Storia. Fu maestro di ECATEO, che per primo, mise la parola “fine” al valore didattico e storico di miti e leggende, e di ANASSIMANDRO, che scoprì molte cose sulla Terra, tra l’altro la sua sfericità (poi dimenticata, nei secoli successivi, dall’Uomo, come si ripete, appunto, imperfetto; successivamente recuperata).
LEUCIPPO, nel 450 a.C. partì da Mileto, episodicamente caduta in decadenza a seguito degli assalti espansionistici dei Persiani; peraltro tornata a fiorire alcuni anni dopo la sconfitta dei Persiani a Maratona nel 490 a.C. e a Salamina nel 480 a. C., ad opera della coalizione delle Città Greche.
Egli si recò ad Abdera in Tracia, dove fondò la scuola atomistica.
Parliamo dei primordi della individuazione della presenza fondamentale degli atomi, inscindibili, nel mondo materiale e immateriale, 25 secoli prima di Einstein, con una fondamentale differenza:
qui si parla degli atomi per la VITA; nel caso di Einstein, essi furono, sia pure per imprescindibili condizioni contingenti, atomi per la MORTE.
Suo allievo fu DEMOCRITO, un gigante nel panorama culturale e, specificamente scientifico, antico.
Autore, tra l’altro, della Piccola cosmologia, il cui incipit era “In quest’opera tratto di tutte le cose”; andata perduta, come tutti i suoi libri, come quelli di Talete, nonché di Leucippo.
Quest’ultimo, ma soprattutto Democrito (in realtà qui le cose sono un po’ sedimentate e unificate dallo scorrere del tempo) individuarono l’esatta natura dell’Universo in un grande SPAZIO VUOTO nel quale corrono INNUMEREVOLI ATOMI, aggregandosi e disgregandosi, dando così vita a diverse forme.
Questo è un PUNTO di VERITA’, non opinabile; ogni altra cosa è OPINIONE.
Tale è, quindi, ogni riferimento spazio-temporale.
In tal senso, nella dimensione del VERO, non esistono né il tempo, né lo spazio.
Basti qui pensare all’intrecciarsi e al sovrapporsi del caleidoscopio e rotismo del tempo e del caleidoscopio e rotismo dello spazio, come si è già fatto cenno; allo scomporsi e ricomporsi delle immagini, agli infiniti allineamenti e riallineamenti determinati dai moti di rotazione e di rivoluzione; al girare vorticoso delle lenti e degli assi e delle ellissi, più vorticoso, di più, sempre di più… parcellizzarsi e ricostituirsi degli allineamenti e delle immagini, dei tempi e degli spazi… parcellizzarsi e ricostituirsi… parcellizzarsi e ricostituirsi… via il tempo e lo spazio… via l’interfaccia spazio-temporale ed ecco… bamm! Il mondo nuovo senza tempo e senza spazio, da definirsi “puro” in senso astratto… sebbene a sua volta variamente contaminato, dove, come in qualsiasi altro mondo si possa immaginare, o nel mondo di sempre, accadono molte cose che hanno vita piena ed effettiva in innumerevoli tempi e spazi, dimensioni spazio-temporali e non, in un solo o diversi momenti, a volte anche oltre l’evento nascita e l’evento morte che sono pur sempre l’Α e l’ Ω della vita reale, nella relatività di ciascuno (RUMORE di PASSI nei GIARDINI IMPERIALI pag.21).
Tanti altri filosofi e scienziati sarebbero da ricordare, del periodo immediatamente precedente lo splendore di Sparta e Atene: ANASSIMENE che individuò nell’aria l’archè, il principio fondamentale di tutte le cose; ANASSAGORA che fu il primo ad “importare” la filosofia nella penisola greca e, precisamente, in Atene, da che essa era diffusa solo nelle colonie, in Anatolia e nella Magna Grecia; PARMENIDE di Elea e il suo grande discepolo ZENONE, i cui paradossi furono definiti da Bertrand Russell “smisuratamente sottili e profondi”, e così via.
Ma qui mi fermo perché non è l’approfondimento scientifico, l’intento di questo mio scritto.
Ciò che io intendo qui proporre è un profilo, un’identità del Mondo Classico, da un diverso punto di vista rispetto a quello consueto e ormai stancamente ripetitivo che si riporta al vago concetto di “Epoca greco-romana”. Anche Marx, nei suoi scritti, commette l’errore di riferirsi indifferentemente alla “società greco-romana”. Ha forse questo contribuito, magari marginalmente, tuttavia significativamente, al fallimento della sua teoria di una Nuova Società?
Si sente spesso ripetere che nell’Antica Grecia si dava molto più spazio alla cultura umanistica, alla letteratura, alle arti, alla filosofia come stile di vita e ricerca delle origini della vita e della civiltà, piuttosto che alla cultura scientifica, alla fisica, alla matematica, alla astronomia, alle scienze naturali, alla medicina ecc.
Ma tutto ciò è falso.
Non c’era alcuna subordinazione di alcuni percorsi, o rami del SAPERE e dell’ESPRIMERSI, rispetto ad altri.
C’erano certo dei parametri: secondo quelli che, come ho sopra richiamato, costituivano i canoni del modello di vita classico, e cioè la MISURA, l’ARMONIA, l’EQUILIBRIO; esistevano degli spazi che venivano occupati dalle varie discipline, senza alterare quell’etica dell’uomo che Aristotele individua nell’ozio creativo, nell’eccellenza della riflessione filosofica, nella raffinatezza dell’attività mentale, e che gli consente di praticare la politica e l’arte, di ballare, cantare e cercare di essere felice.
Questa dimensione era, d’altronde, irrinunziabile per il Mondo Greco.
Era quella che consentiva alle πόλεις di allearsi, pur nel permanere di contrasti interni e lotte per l’egemonia, proprio perché, come si è più volte detto, l’uomo è imperfetto, contro un comune nemico; come avvenne contri Persiani, dove il nascente Imperialismo fu messo in ginocchio da forze nettamente inferiori.
Più tardi non andrà così di fronte all’espansionismo romano; ma l’entusiasmo di un popolo e la spinta ideale del suo Mondo, si erano via via esauriti.
Si tramanda che Aristotele e Platone combatterono le idee di Democrito e, in tal modo, crearono ostacoli al crescere della conoscenza.
Io non sono assolutamente d’accordo.
Bisogna vedere a quale tipo di conoscenza ci si riferisce.
Combattere dialetticamente le idee che non si condividono è l’ABC della Democrazia, di cui la Grecia è maestra.
Se riconosciamo, quale punto di partenza, che l’ideale etico di Democrito è quello della tranquillità dell’animo, che si raggiunge con la moderazione e l’equilibrio, con l’affidarsi alla ragione, senza lasciarsi travolgere dalle passioni (Carlo Rovelli – La realtà non è come ci appare pag. 23), non possiamo che concludere che non c’è alcun contrasto di fondo tra Democrito e Aristotele, essendo tale ideale etico condiviso da quest’ultimo.
Allora ritorniamo alla SCIENZA.
Essa è un’esplorazione continua di forme di pensiero (IVI pag.11); quindi: esplorazione del pensiero, cambiamento della mente, guardare il mistero e la bellezza oltre la collina, più lontano dalle idee preconcette; non “materiale esplorazione” di territori appartenenti ad altri, “invasione” di altri popoli, espropriazioni, umiliazioni, ricorrendo anche alla forza e alla violenza.
Io credo che su questo Democrito, Aristotele e Platone non potessero che essere d’accordo.
Posso piuttosto opinare che Aristotele, nonché Platone, temessero che se si fosse andati troppo oltre il seminato, lungo il filone di pensiero delineato da Democrito, questo avrebbe potuto rompere l’equilibrio e generare il caos.
Ma è questione che rimane circoscritta al mondo ellenico.
Quali sono le parole che Platone mette in bocca a Socrate, con chiaro riferimento a Democrito (IVI pag.24)?
“Pensavo che mi avrebbe detto anzitutto se la Terra sia piatta o rotonda, ma poi che mi avrebbe spiegato la causa della necessità di questa forma, partendo dal principio del meglio, provandomi che la cosa migliore per la Terra sia di avere questa forma; e se mi avesse detto che la Terra è al centro del Mondo, che mi facesse vedere che essere al centro è il bene della Terra”.
Come si vede, punto centrale del ragionamento è “il bene della Terra”.
Intravedeva, forse, Platone che, nelle epoche successive, il “bene” non sarebbe stato più quello della Terra, ma quello del “saperne di più” e, in base a questo bagaglio di “sapere”, dilagare, divorare e saccheggiare sempre più la Terra?
Credo che dovremmo rammaricarci, piuttosto, di non aver dato ascolto a nessuno, né a Democrito, né a Platone, né ad Aristotele, né a tutte le voci di moderazione, di gioia, di serenità e felicità, di libertà, di alleanza tra gli uomini di buona volontà, di appagamento etico ed estetico, di amore, amicizia, sensualità, limite che ci venivano dall’antica Grecia.
Siamo stati, invece a sentire le Sirene (ma senza avere l’accortezza di Ulisse che si legò all’albero della nave per proseguire nel suo percorso), della modernità, dell’eccesso, del risultato a tutti i costi, e così via, ed ecco che ci ritroviamo sulle lancette del Doomsday Clock di Chicago, a 3 minuti dalla mezzanotte.
E’ inutile qui menzionare altre personalità della filosofia (l’affresco raffaelliano della scuola di Atene, al quale non mancano i tratti di Epicuro e del “cittadino del Mondo” Diogene, ne dà un’efficace sintesi, ed è la controprova della magnificenza raggiunta dal pensiero umano, che di null’altro aveva bisogno), della politica, dell’arte (se l’eterna gratitudine dell’Umanità, per doni come i Bronzi di Riace, la Venere di Milo e così via, fosse accompagnata da una più attenta comprensione del significato di quei doni, migliorerebbe sensibilmente la qualità della vita), del teatro e della musica, del Mondo Classico; delle scienze e della fisica, si è già detto in gran parte; per la matematica, menzioniamo, solo per rendere l’idea, Pitagora, Euclide, Archimede; ricordiamo quale grande astronomo fu Aristarco di Samo, fondatore della teoria eliocentrica (destinato ad essere fallacemente smentito, 400 anni dopo, da Claudio Tolomeo, in piena epoca imperiale); ricordiamo anche quale grande astronomo, matematico e geografo fu Ipparco di Nicea, al quale si deve, tra l’altro, la scoperta della precessione degli equinozi; ricordiamo l’arte oratoria, che si accompagnava alla politica, alla filosofia, alla giustizia, alla storia, come attestato dall’elenco dei dieci oratori attici, contenuto, unitamente ai molti altri geniali cultori del pensiero e dell’arte, nel Canone di Alessandria, tra cui il sommo Demostene, Iperide che difese teatralmente la cortigiana Frine, di bellezza non seconda a quella di Afrodite. Né possiamo dimenticare personalità poliedriche come Solone, legislatore, giurista e poeta, che ancor più arricchiscono l’incomparabile panorama intellettivo del Mondo Classico.
Per la medicina, ai fini qui di interesse, è sufficiente menzionare l’immenso Ippocrate.
Se il Mondo si fosse fermato a questo punto, come dicevo in premessa, la Grande Civiltà del Mediterraneo avrebbe acquisito e consolidato, nei secoli, connotazioni del tutto simili a quelle della Divinità.
L’intelletto umano si sarebbe sviluppato verticalmente, verso il cielo, come era conforme allo spirito della Grecia antica, e non orizzontalmente, verso l’ampliamento dei confini, dei commerci, delle ricchezze e delle colonie, come nella Romanità imperiale.
Non sfugge a Dante tale situazione, nel XXVI Canto dell’Inferno, allorché ci fa, sì capire, tramite le parole di Ulisse, l’importanza della conoscenza che non ha né età né limiti; tuttavia la celebre terzina “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”, sottolinea come l’ansia di ricerca spinta all’estremo limite, diventa, per il Sommo Poeta, il peccato che condanna l’eroe per aver voluto violare le Colonne d’Ercole, disdegnando così i limiti imposti alla natura umana.
Il Mondo classico, se si fosse perpetuato, sia pure con le sue contraddizioni e imperfezioni, inevitabili, come si è detto, avrebbe visto crescere, nelle città e nelle contrade, nelle campagne, nei villaggi costieri e sulle montagne, la marea appagante del senso della vita, di tutte le cose alle quali non si è dato ascolto, della salvezza del Pianeta, e non, come è oggi, della disperata fuga dalla morte.
Si prenda, emblematicamente ad esempio, proprio la medicina.
Essa avrebbe avuto la funzione di alleviare le sofferenze del corpo, permettere una vita dignitosa anche se limitata o mutilata, ma non avrebbe avuto mai l’obiettivo di prorogare artificialmente la vita, senza alcuna considerazione per essa; lasciando magari che persone sane debbano morire per scarsa assistenza, per permettere ad altre un eccesso o un accanimento di assistenza.
L’ANTICO GIURAMENTO di Ippocrate, poi alterato in epoca moderna, è in tal senso.
Questo sarebbe potuto accadere se non fosse stato scoccato il dardo avvelenato, come si è detto, 6 o 7 secoli prima, o un paio di secoli prima, a seconda dei pareri in proposito; in definitiva se non avesse avuto inizio la storia di Roma. Il che, in astratto, era possibile, con riferimento all’attualità e alle conoscenze, nell’epoca considerata.
Al momento del suo declino, il Mondo classico aveva già perso tutte le sue peculiarità e le sue battaglie, e non aveva più nulla da dire.
Roma conquista la Magna Grecia nel III sec. a.C., dopo la definitiva sconfitta di Pirro, Re dell’Epiro; nel II sec. a. C. conquista l’intera Grecia, dopo la presa di Corinto (146 a.C.); Abdera viene assoggettata a Roma a partire dal 170 a.C. e, dopo alterne vicende, Elea, nel I° sec. a.C., il cui nome viene mutato in Velia, come attestato da Cicerone.
Null’altro c’è da dire su questo punto, se non sottolineare ancora una volta come non ci fu continuità tra il Mondo classico e Roma, ma conquista, da parte di quest’ultima, e acquisizione di tutto il retaggio classico; come più tardi faranno con la civiltà Romana, quelle popolazioni, fino al momento della caduta dell’Impero Romano, indistintamente e sprezzantemente, definite barbare.
Ritroviamo scintille di questo Mondo, come ho detto, nel Rinascimento Italiano; peraltro anche in esso, per gli stessi motivi, non mancarono abusi e velleità.
Questo nuovo periodo classico, a differenza di quello originario, aveva la sua sorte già segnata. L’IMPERIALISMO non era più patrimonio di congetture, opzioni, opinioni, possibilità, ma una CERTEZZA espressa, concreta e ormai non più arrestabile.
Il Rinascimento, non riuscì ad evitare di soccombere ad esso; per quanto ci furono sforzi in tal senso, come nella Storia di quel periodo è narrato. Probabilmente era umanamente impossibile.
Avrebbe mai potuto un Mondo che non voleva niente, se non l’ammirazione dei posteri, evitare di soccombere ad un Mondo che, invece, voleva tutto?
L’armonia come stile di vita, potenzialmente di durata infinita, era già definitivamente scomparsa, a partire dalla romanizzazione del mondo ellenico.
Non ci resta, a questo punto, che ritornare all’”a meno che…” di cui sopra.
Un destino infausto attende il Mondo, a meno che…
Certo non c’è più Grecia, alla quale si possa ritornare; così come è improbabile che un Nuovo Rinascimento possa risorgere dalle ceneri, ed avere robustezza tale da sopraffare e sconfiggere l’Imperialismo che non ha più cessato, dai tempi antichi, come si è detto, nelle sue varie forme, di essere il vero Padrone del Mondo.
Eppure, se quel modello di vita classico è stato, storicamente, l’unico al quale potremmo idealmente riferire il pensiero di un grande dell’Umanità, come Dostoevskij: “la bellezza salverà il Mondo”; se quella è la salvezza del Mondo, è là che bisogna ritornare.
Come? E’ arduo immaginarlo, ma non impossibile.
Se è vero che il Mondo è (diventato) come “un bolide senza pilota, senza marcia indietro e senza freni, che sta andando a fracassarsi contro i limiti del pianeta”, secondo quanto sostiene Serge LATOUCHE (Domenico De Masi Mappa Mundi pag.397), credo che sia buona cosa qui ricordare il pensiero di Ivan ILLICH e di altri sociologi fautori della “decrescita felice”: “per entrare in una fase di effervescenza propizia ad un cambiamento radicale”, occorre che l’umanità batta il muso contro catastrofi abbastanza grandi da scuotere il mondo, ma non così grandi da schiacciarlo (IVI pag.682).
Desidero aggiungere qualcosa a questo quadro di speranza remota (perché tutto lascia credere che sia molto più probabile che grandi catastrofi schiacceranno sì il Mondo, ma senza dargli il tempo del cambiamento radicale), tuttavia condivisibile; forse, a tutt’oggi, l’unica chance:
La situazione descritta dovrebbe provocare, perché la speranza possa tradursi in realtà, la chiusura definitiva di un’epoca; la morte, dopo 2500 anni di vita, oltre ai precedenti di gestazione e iniziazione, dell’IMPERIALISMO, il modello esistenziale e sociale generale del Mondo.
E’, certo, dura in un Mondo globalizzato; ma non c’è altra via.
Questo dovrebbe comportare, nell’animo dell’Uomo, per quanto imperfetto, tuttavia libero, generoso e tendenzialmente buono, la nascita di un Nuovo Umanesimo, la cui sorte potrebbe essere, in ipotesi, diversa da quella dell’antico Mondo Classico, o del Mondo neoclassico, al quale sopra facevo riferimento.
Sarebbe un bel giorno quello in cui ciò potesse accadere, per l’Umanità; un giorno auspicabilmente non troppo lontano? Sarebbe meglio.
Trovo qui anche un premio per me.
Se fosse vero tutto questo, se davvero potesse esserci una via d’uscita a quella che sempre di più acquisisce i connotati di una ineluttabile AUTODISTRUZIONE del Mondo, nel modo sopra descritto, troverebbe spiegazione e utilità il mio impegno, il mio essermi dato tanto da fare per separare in modo netto, deciso e incontrovertibile, fin dalle origini, il MONDO CLASSICO, che è quello al quale vorremmo tornare, dal MONDO IMPERIALE, che è quello dal quale vorremmo fuggire, che avanza incessantemente e non ha alcuna volontà, e probabilmente alcuna possibilità, di arrestarsi, di fronte ai limiti del Pianeta; separare la Grecia, nel suo insieme, da Roma; osservare nella giusta luce, quel Mondo complesso che è, invece, molto più comodo unificare, come quasi tutti fanno, nella dicitura “Mondo greco-romano”, anche se, in tal modo, non si comprende più (e questa incomprensione sfida i secoli) quale è e dove finisce il BENE per l’Umanità, e dove inizia, e in che cosa consiste, il suo MALE.
Ma se il Mondo volesse proprio distruggersi? Volesse decisamente e deliberatamente autodistruggersi? Se il Mondo fosse romantico, e volesse proprio scaraventarsi, senza alcun vincolo o freno inibitorio, senza sentire ragioni, ma solo col vento in petto, contro i limiti del Pianeta? I suoi stessi limiti?
Secondo le ricerche di vari scienziati, e, in particolare, le ricerche svolte dal fisico, astronomo e prete belga George Lemaître, già a partire dal 1927, l’Universo era inizialmente piccolissimo e compresso (“atomo primordiale”), e iniziò la sua espansione in una specie di gigantesca esplosione, il big bang di oggi (Carlo Rovelli – La realtà non è come ci appare – pag. 176).
Oggi si parla molto della possibilità che il big bang non sia un vero inizio, ma che prima ci possa essere stato un altro Universo (IVI pag. 178).
14 miliardi di anni fa l’Universo era una palla di fuoco compressa. Ma che cosa è successo prima di questo stato iniziale caldo e compresso? (IVI)
Il nostro Universo potrebbe essere il risultato del collasso di un altro Universo, passato attraverso una fase quantistica dove spazio e tempo sono disciolti in probabilità (IVI pag.180).
Tutto questo è ancora in fase di esplorazione, ma ciò che è straordinario in questa teoria è che oggi abbiamo equazioni per provare a descrivere questi eventi. Stiamo cominciando a dare qualche prima timida occhiata, per ora solo teorica, oltre il big bang (IVI pag.181).
E se lì trovassimo il nostro futuro?
Ma gli anni, le ere, le epoche, le settimane, i giorni ormai indistinguibili e allacciati come erano, con i pianeti Terra, non Terra, quasi Terra, affatto Terra e, nell’ambito di essi, i continenti, le isole, gli asterischi, i non asterischi, le montagne, le valli, le colline, naturali, artificiali, gli esseri umani e gli androidi, gli incroci, le razze, ormai centinaia, migliaia, mescolate tra loro e diffuse dappertutto nell’universo, come le lingue, le religioni, le realtà-realtà e quelle virtuali, le fantasie, le macchine, le opinioni più o meno scientifiche, che comprendevano anche forme di vita diverse, nel crogiolo del tempo e dello spazio infine esplosero.
L’universo stesso, sempre più schiacciato ai poli, ridotto a un ovale sempre più compresso, esplose, dando via libera al Big Bang.
Miliardi di anni luce percorsi nello stesso istante, o la frazione di un successivo istante, nell’infinito stellato, lo splendore effimero di una supernova, poi più nulla.
Come sempre la cupola di costellazioni e galassie: il mondo senza tempo e senza spazio.
Si sentiva parlare, talora, e si sarebbe continuato a sentire in vari luoghi del mondo e in varie dimensioni, di un altro remoto Big Bang quale origine dell’universo, ma nella comune opinione questo aveva il valore di una leggenda o poco più, un parere scientifico o fantasioso da lasciar perdere, come era per la Terra esistita e sparita prima della notte dei tempi (RUMORE di PASSI nei GIARDINI IMPERIALI – pag.72).
Tuttavia, come appare evidente, tra il vuoto indefinito verso il “tempo che fu” e il Big Bang vi è identità concettuale; forse la prospettiva è diversa: dopo… prima… ma tra il prima e il dopo che cosa c’è?
Un effetto illusorio… una scena vista al rallentatore… lo si può dire anche qui, perché il dopo è tutto o nulla. L’assoluta purezza, l’assoluta assenza di qualsiasi interconnessione spazio-temporale fanno sì che esso sia tale da ricomprendere e assorbire in sé anche il prima.
Ora… proprio su questo effetto illusorio tra il prima e il dopo, sulla soglia di questa porta tra le stelle, questa dépendance delle grandi e piccole epopee, si gioca, con tutta probabilità, il destino della Terra e di ogni altro mondo conosciuto o non conosciuto, immaginato o immaginario (IVI pag. 74).
E la storia continua…