La Suprema Corte, sezione lavoro, con la recente sentenza n. 16012 depositata in data 11 luglio 2014, è nuovamente intervenuta in materia di limiti allo ius variandi datoriale, chiarendo ulteriormente la portata inderogabile del divieto di demansionamento ex art. 2103 c.c..
In particolare, i Giudici di Piazza Cavour hanno confermato le statuizioni della Corte territoriale, che aveva ritenuto irrilevante, ai fini della necessità di disporre un demansionamento, la ristrutturazione operata nell’ambito dell’organizzazione datoriale e, quindi, illegittima la riassegnazione del dipendente a mansioni inferiori. Nella fattispecie, su tale base, era stato accertato il demansionamento di una dottoressa che, dapprima nominata medico responsabile dell’unità funzionale di medicina generale, era stata adibita all’assistenza medica di tipo internistico a seguito della soppressione del reparto di competenza.
A tale riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito il principio secondo il quale, in caso di assegnazione al lavoratore di mansioni diverse da quelle svolte in precedenza, quandanche le mansioni di provenienza non siano state affidate ad altro dipendente, essendo bensì esaurite, il giudice sia comunque tenuto a valutare l’equivalenza o meno delle mansioni. Ne consegue che, qualora le nuove mansioni affidate al lavoratore siano inferiori a quelle proprie della qualifica o alle ultime espletate, anche in caso di intervenuta soppressione delle precedenti mansioni è configurabile demansionamento.
Nel caso di specie la stessa parte datoriale aveva ammesso la circostanza del mutamento delle mansioni svolte dalla dipendente a causa della soppressione dell’unità di assegnazione, cui era conseguita l’attribuzione di mansioni ritenute inferiori dai giudici di merito, con valutazione priva di censure in sede di legittimità.
Ciò che conta, ai fini del demansionamento, è l’attribuzione di mansioni inferiori rispetto a quelle di fatto svolte in precedenza nell’ambito dell’organizzazione aziendale.
Come da consolidato orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. 2 luglio 2009 n. 15500; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2354), la modifica in pejus delle mansioni del prestatore è illegittima in mancanza del consenso del dipendente, anche se disposta al fine di evitare il licenziamento o la collocazione in mobilità. Solo in questa ipotesi, infatti, la diversa utilizzazione non è ritenuta in contrasto con l’esigenza di dignità e libertà della persona.
Sulla base dei suesposti principi, la Cassazione ha riconosciuto piena tutela al lavoratore ritenendo ammissibile la pronuncia di adempimento in forma specifica disposta dal giudice di merito, con conseguente obbligo del datore di lavoro di ricollocare il lavoratore nelle mansioni precedentemente occupate o in mansioni equivalenti, salvo il caso di dimostrata impossibilità, con onere della prova gravante sulla parte datoriale.