Addossare le colpe di una crisi debitoria che colpisce diverse economie ad un’intera popolazione, sulla base di un presunto “stile di vita distorto”, rappresenta un modo estremamente efficace per offuscare le responsabilità reali.

In Europa molti sostengono che i greci abbiano vissuto ben al di sopra delle loro possibilità, contraendo un debito mostruoso che non riusciranno a ripagare: per questo motivo ora devono rimettersi in carreggiata, attraverso la cura imposta dalle istituzioni economiche internazionali. L’affermazione, da un po’ di tempo a questa parte, è iniziata a comparire anche sullo scenario italiano: per anni ci siamo cullati sugli allori del nostro debito, spendendo in modo furioso, ma ora dobbiamo rimboccarci le maniche, laureandoci a 20 anni e cambiando lavoro almeno una volta al mese.

Questa visione, che rende eccessivamente semplicistica una situazione economica quanto mai complessa, scaturisce con tutta probabilità da un’intenzione propagandistica dei grandi decisori mondiali. Addossare le colpe di una crisi debitoria, che colpisce diverse economie, ad un’intera popolazione, sulla base di un presunto “stile di vita” distorto, rappresenta un modo estremamente efficace per offuscare le responsabilità reali. In questo modo, infatti, non sarà possibile individuare il “colpevole”, sia esso un centro di potere o una teoria economica, mentre ognuno si sentirà in diritto di accusare il proprio vicino. Le conseguenze di tale impostazione stanno diventando sempre più evidenti anche nel nostro paese: il piccolo imprenditore ritiene una sanguisuga l’impiegato statale, che a sua volta accusa il commerciante evasore fiscale, mentre il lavoratore precario invidia chi sopravvive grazie alla cassa integrazione.

Il nodo centrale della questione è capire cosa si intende con la frase “vivere al di sopra delle proprie possibilità”. Il concetto è chiaramente riferito all’indebitamento, per cui un soggetto usufruisce di beni e servizi che non si potrebbe permettere e che quindi non può pagare, non avendone i mezzi: bisogna tuttavia distinguere tra la sfera del pubblico e quella del privato. Sotto il primo aspetto, un cittadino italiano medio “gode” in effetti di una serie di servizi, come ad esempio la scuola o la sanità, di cui non potrebbe sostenere il peso economico da solo. Ritenere questo un fattore di aggravio del debito pubblico, che aumenta tramite la spesa, può essere decisamente fuorviante: il sistema di welfare italiano consente alle famiglie di poter utilizzare i propri soldi attività diverse, che portano soldi nelle casse dello Stato attraverso l’imposizione fiscale. In altre parole, se il cittadino dovesse pagare il costo pieno di ogni servizio, avrebbe bisogno di uno stipendio nettamente superiore agli standard attuali. In valutazioni di questo genere non si può inoltre prescindere dall’impostazione socio-economica di un paese. Per rimanere nel novero delle grandi potenze mondiali, infatti, è necessario riuscire a garantire un certo livello di qualità della vita: anche ammesso che senza intervento pubblico l’economia crescerebbe in misura maggiore (teoria peraltro da verificare), il solo PIL non rappresenta un buon indicatore, altrimenti si potrebbe affermare che in Cina si vive meglio che da noi.

Sul fronte dell’indebitamento privato, invece, i dati dimostrano che gli italiani sono molto meno esposti rispetto a molti altri europei. L’avversione al rischio nel nostro paese non è una novità e negli scorsi anni è stata addirittura additata come fattore frenante dello sviluppo, a causa della “paura di investire”. In realtà per un cittadino italiano, rispetto per esempio ad un inglese, è molto più complesso ottenere un prestito, in quanto le banche chiedono garanzie spesso esagerate. Questo ha consentito al nostro sistema di superare indenni l’ondata di perdite bancarie iniziata nel 2008, ma ha generato un’ulteriore stretta al credito che rischia di strozzare soprattutto le imprese. In questo contesto, dunque, sembrerebbe che gli italiani vivano “al di sotto” delle proprie possibilità, limitando gli investimenti per il timore di non riuscire a ripagare un debito.

Altri paesi, nella storia recente, hanno dovuto affrontare un problema di sovrastima della ricchezza, primo tra tutti gli Stati Uniti: la crisi attuale affonda le radici proprio nel debito privato degli americani, ai quali venivano concessi finanziamenti in modo estremamente facile, di cui poi si perdevano le tracce nei meandri del mercato dei derivati. D’altra parte in America la volontà di acquistare beni ad ogni costo, dalla casa al telefono di ultima generazione, deriva da una precisa cultura economica, fondata sulle “magie” della finanza. Se avessero chiesto a quei cittadini statunitensi, che si sono trovati sul lastrico in pochi giorni dovendo pagare interessi a due cifre, se avvertissero la sensazione di vivere in modo sproporzionato rispetto alle loro possibilità, ben pochi avrebbero risposto in tal senso.

Se gli Stati Uniti sono riusciti a rimanere a galla, controllando anche importanti fallimenti, è merito soprattutto della posizione che ricoprono nello scacchiere mondiale, che consente loro di evitare fastidiosi attacchi speculativi. L’Irlanda, che ne ha imitato il modello di sviluppo finanziario, è dovuta soccombere al primo squillo di tromba: anche in quel caso l’indebitamento privato aveva raggiunto livelli insostenibili, al fine di rincorrere il costante aumento dei prezzi. Dublino ne è uscita abbastanza bene e velocemente, ma con misure non proprio ortodosse per un liberista, come la nazionalizzazione dei principali istituti bancari. La vicenda irlandese ha mostrato la via attraverso cui un alto livello di debito privato si trasforma in debito pubblico, ovvero quando lo stato è costretto a “salvare” gli istituti di credito dal fallimento. La miccia, tuttavia, viene sempre innescata da un evento esterno (le banche irlandesi erano colme di prodotti derivati sui mutui subprime): fino a quel momento nessuno aveva avvertito la necessità di un porre un freno alla bolla.

Per quanto concerne l’Italia, il livello del debito pubblico attuale è sicuramente connesso più ai movimenti speculativi ed all’incertezza che incombe sull’area Euro che allo stile di vita degli italiani, in quanto il debito privato è saldamente sotto controllo. Gli istituti bancari italiani, infatti, sono molto più preoccupati per le perdite derivanti da un eventuale default greco che dai mancati pagamenti sui mutui. Resta il fatto che un debito pubblico così elevato non è sostenibile nel lungo periodo, ma le contromisure devono necessariamente tener conto del potere d’acquisto dei cittadini, per non inficiare il livello del PIL nei prossimi anni. L’adeguamento verso un “presunto” tenore di vita corrispondente alle nostre “presunte” possibilità economiche passerebbe inevitabilmente per una recessione: speriamo dunque di poter sognare ancora un po’.

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