A volte ritornano, anche gli scandali. È il caso del datagate basato sulle rivelazioni, iniziate a giugno 2013, dell’ex analista dell’ NSA e della CIA Edward Snowden. Grazie alla testimonianza del tecnico americano, il mondo ha scoperto il programma di spionaggio di massa messo in piedi da U.S.A. e Regno Unito.
Milioni di utenze telefoniche, email, profili internet e dati sensibili monitorati senza nessuna autorizzazione da parte dei Paesi interessati: si tratta del programma PRISM, tentacolare sistema clandestino che ha permesso alla NSA di accedere in tempo reale a qualsiasi tipo di traffico, in America come in Europa. La notizia che ha riportato il datagate sotto i riflettori è giunta lunedì 21 ottobre, quando il quotidiano francese Le Monde ha rivelato che l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale americana (NSA), ha spiato la Francia in maniera costante ed approfondita. Si parla di 70 milioni di registrazioni telefoniche in un solo mese, dal 10 dicembre 2012 all’8 gennaio 2013. Ad essere spiati però non erano solo sospetti terroristi o individui pericolosi, ma anche persone ai vertici del mondo degli affari e della politica. Un comportamento che certo non si addice al rapporto fra alleati. E così la Francia ha fatto sentire la sua voce convocando repentinamente l’ambasciatore Usa a Parigi. Questa volta però, complice il coinvolgimento dei cugini d’oltralpe, il datagate ha fatto notizia anche in Italia, dove, dopo un lungo e imbarazzato silenzio della politica, il dibattito si è improvvisamente arroventato.
Datagate all’italiana
Ad aprire le danze è stato Claudio Fava, deputato di Sel e componente del Copasir, il comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Intervenendo in una trasmissione radio, il deputato ha ammesso che anche il nostro Paese è stato “sorvegliato” dall’Nsa americana. Secondo Fava, i “servizi del nostro Paese erano al corrente” di questo spionaggio e a conferma di ciò, ha riferito di colloqui avuti con fonti della sicurezza americana a Washington. I vertici del Copasir hanno però prontamente smentito quanto dichiarato dal loro collega sostenendo che mai le agenzie per la sicurezza americana hanno rivelato qualcosa a proposito di Prism. Nessun governo, da Prodi a Letta, è mai stato messo a conoscenza del programma di spionaggio. Nel frattempo il garante della Privacy, Antonello Soro, ha deciso di invitare il Governo a far luce sulla vicenda: “Il problema delle attività di spionaggio della NSA rende indispensabile che il Governo accerti se la raccolta, l’utilizzo e la conservazione di informazioni relative alle comunicazioni telefoniche e telematiche abbia coinvolto anche i cittadini italiani”. Sembra ormai scontato che l’opera di spionaggio abbia interessato anche il nostro Paese. Così mentre lo scandalo sembra allargarsi a macchia d’olio, arricchendosi di nuove rivelazioni che coinvolgono anche Germania, Spagna e America Latina, l’ “Nsa-gate” sarà protagonista anche al Consiglio europeo in corso a Bruxelles.
La società di vetro
Una vicenda che sembrava destinata ad essere archiviata come un brutto incidente estivo si sta rapidamente trasformando in un caso senza precedenti che solleva inquietanti interrogativi circa il controllo di governi e multinazionali sulle nostre vite. Se fino a pochi anni fa il diritto alla riservatezza, la cosiddetta privacy, era considerato un esigenza di pochi privilegiati, vip e stelle del cinema alle prese con paparazzi e gossip più o meno scabrosi, è chiaro che oggi il problema riguarda tutti. Passata la sbornia da reality show che ci ha spinto a regalare i nostri dati alle compagnie telefoniche e alle multinazionali dei social network, ci stiamo rapidamente rendendo conto di aver consegnato, con le nostre stesse mani, agli U.S.A., o a chi per essi, l’enorme potere di conoscere e sorvegliare ogni aspetto della nostra vita.
Non è un caso che la Cia e l’Nsa abbiano avuto accesso alle comunicazioni americane ed europee grazie alla collaborazione di una compagnia telefonica, Verizon, e di web company, come Google e Facebook. Secondo il The Guardian fra il 2012 e il 2013 le richieste di accesso ai dati di Facebook, da parte degli spioni a stelle e strisce, sono aumentate 130% e addirittura del 248% per quel che riguarda le conversazioni su Skype. La terra promessa della comunicazione gratuita per tutti ha, infine, richiesto il prezzo più alto: la perdita di ogni forma di riservatezza nel nome della trasparenza totale. Sull’onda delle proteste scatenate dal datagate il Parlamento Europeo ha, di recente, varato un nuovo regolamento che vieta alle compagnie di fornire dati personali senza l’ autorizzazione delle autorità nazionali per la privacy, pena una serie di multe fino a 100 milioni di euro o per un importo pari al 5% del fatturato annuo. Una normativa che va nella giusta direzione per tutelare i diritti dei cittadini europei, ma che rischia di rimanere lettera morta se non si fa piazza pulita del velo di ipocrisia che avvolge la complicata vicenda internazionale.
Sotto tutela U.S.A.
Se infatti l’indignazione della Francia e degli altri Paesi spiati è senz’altro giustificata, non di meno risulta difficile sostenere che nessuno sapesse niente dell’attività degli Usa in Europa. Dato per scontato che nel mondo dello spionaggio ci si spia anche fra alleati, è evidente che l’Europa non ha nessun tipo di sistema difensivo informatico. Le guerre del ventunesimo secolo si combattono, ormai, a suon di attacchi informatici, soprattutto quando ci sono di mezzo super potenze come Stati Uniti e Cina per le quali la guerra cibernetica è una realtà all’ordine del giorno. Una crociata silenziosa per la quale gli U.S.A. spendono 75 miliardi di dollari l’anno. L’Europa non può o non vuole permettersi di spendere cifre del genere, divisa com’è in una moltitudine di sistemi difensivi diversi. Il vecchio continente ha , negli ultimi anni, appaltato agli U.S.A. la protezione dei suoi sistemi informatici ed è ormai soggetto alla tutela cibernetica americana. Non può sorprendere dunque che gli americani ci conoscano come le proprie tasche dal punto di vista dell’intelligence. Oggi la consapevolezza degli enormi problemi legati all’utilizzo di massa delle tecnologie dell’informazione ha finalmente condotto ad una adeguata iniziativa legislativa europea. Tuttavia non ci si può certo accontentare.
Un Habeas Corpus informatico
La riflessione giuridica italiana ha, da tempo, sollevato il problema dei diritti del cittadino nell’era digitale. Il diritto alla riservatezza, il diritto all’oblio, per cancellare l’eterno presente in cui la rete cristallizza la nostra vita virtuale: sono solo alcuni delle nuove rivendicazioni divenute ormai irrinunciabili. Per questo si è, da più parti, avanzata la richiesta di un nuovo Habeas Corpus che, proprio come agli albori dell’età moderna, possa sottrarre il cittadino all’arbitrio degli Stati o dei potentati (oggi le chiameremo lobby). Ma mentre il principio di diritto britannico nacque per tutelare il corpo fisico dei sudditi e per sottrarli alle carcerazioni non autorizzate, ciò di cui avremmo bisogno oggi è un atto giuridico che tuteli la vita “virtuale” dei cittadini.
L’emanazione, più che mai necessaria, di un “Habeas Corpus informatico” non può che passare però, da un processo di emancipazione politico e culturale della stessa Europa che, anche in questa vicenda, si è dimostrata prona e completamente subalterna all’iniziativa dell’alleato americano. Gli interessi fra le due sponde dell’Atlantico sono sempre più interconnessi e, come dimostra la vicenda del datagate, sempre più egemonizzati dagli U.S.A. Piuttosto che fingere un’improbabile indignazione, gli Stati Europei dovrebbero sottrarsi, finalmente, alla perenne tutela americana e iniziare a contare sulle proprie forze. Il primo passo in questa direzione potrebbe essere proprio quello di superare il sistema degli eserciti nazionali, dando vita ad un unico apparato di difesa europeo che garantirebbe ingenti risparmi e un efficacia certamente maggiore. Solo camminando a passo spedito verso un’integrazione realmente democratica e funzionale l’Europa potrà uscire dallo stato di minorità nel quale si è, volontariamente, confinata fin dai tempi dello Sbarco in Normandia.