Nel 1986, negli Stati Uniti, Ronald Cotton fu condannato alla reclusione a vita per aver violentato una ragazza, Jennifer Thompson, la quale sosteneva di averlo riconosciuto perfettamente in quanto sicura di ricordarsi il volto dell’uomo nei suoi particolari.
Jennifer Thompson infatti affermò che mentre subiva la violenza cercava di memorizzare più particolari possibili di quell’uomo e che mai avrebbe dimenticato il volto del suo carnefice.
Il caso Ronald Cotton
Durante la reclusione di Ronald Cotton un altro carcerato, Bobby Poole, si vantò con dei compagni di cella che Cotton stava scontando al posto suo la pena per la violenza carnale a Jennifer Thompson.
La soffiata arrivò a chi di dovere e fu organizzato un confronto tra Jennifer e Bobby Poole; ma la Thompson sostenne di essere certa di non aver mai visto quell’uomo in vita sua: il volto dello stupratore era ben impresso nella sua mente ed era quello di Cotton.
Durante l’unidcesimo anno di reclusione grazie alla prova del DNA, ormai entrata in uso, fu scoperta l’effettiva innocenza di Cotton e la colpevolezza di Poole nello stupro alla ragazza.
Attualmente la Thompson si batte perché le testimonianze basate sui ricordi vengano trattate con cautela.
Questo ovviamente non è un caso isolato, è solo un caso particolarmente drammatico, che è costato 11 anni di grandi sofferenze ad un uomo innocente che però, a differenza di altri, ha trovato soluzione. Eppure ancora oggi sì dà molta importanza alle testimonianze che si basano sui ricordi delle vittime e dei testimoni.
Ma forse bisognerebbe stare più attenti e non considerare le testimonianze come prove davvero così schiaccianti. Anche la Thompson ormai l’ha compreso e si batte per questo.
Ma del resto è proprio il sistema di giustizia ad avere le sue responsabilità, gli interrogatori influenzano le persone e permettono a queste di ripetere più e più volte lo stesso errore nel ricordo, finché di questo la persona se ne convince al cento per cento e trasmette questa sua sicurezza anche in tribunale.
L’influenza dei ricordi
Bisogna tenere presente che la polizia effettivamente con le sue convinzioni influenza i ricordi delle persone, testimoni, vittime o indagati che siano.
La polizia è composta da esseri umani con le loro opinioni, che è ben difficile evitare che vengano trasmesse, anche solo implicitamente, durante gli interrogatori. Ma le autorità investigative sono simbolo di giustizia e, pertanto, inducono in una sorta di plagio involontario le vittime o i testimoni che, in buona fede, finiscono per confermare le convinzioni dei rappresentanti di quest’organo di giustizia.
L’influenza dei ricordi dei bambini
Coloro che maggiormente subiscono l’influenza degli interrogatori sono i bambini. I bambini dicono quasi sempre quello che l’intervistatore (poliziotto o spesso assistente sociale) crede, anche quando l’intervistatore cerca di stare attento a non influenzarlo.
Non troppo tempo fa, fu fatto un esperimento molto allarmante a riguardo, un esperimento che purtroppo non è stato pubblicizzato come avrebbe dovuto: fu chiesto a degli assistenti sociali, ovviamente ignari che si trattasse di un esperimento, di interrogare dei bambini su determinati eventi, dei quali fu dato un resoconto dettagliato; tale resoconto conteneva sia avvenimenti veri che falsi, ad insaputa degli assistenti; inoltre veniva raccomandato agli assistenti di non fare domande che potessero influenzare i ricordi dei bambini o comunque di evitare assolutamente qualsiasi domanda tendenziosa.
Il risultato fu che i bambini ricordavano con un alto livello di sicurezza gli avvenimenti falsi come realmente accaduti. Quindi gli assistenti sociali, pur stando attenti, avevano involontariamente trasmesso ai bambini quello che credevano fosse accaduto, e questi l’avevano riportato come reale. Inoltre, quando in una seconda fase dell’esperimento, si portarono i bambini di fronte a degli esperti, questi non seppero riconoscere i ricordi reali da quelli falsi, provocati esclusivamente dalle suggestioni post-fattuali derivate dagli interrogatori.
L’influenza dei ricordi degli indagati
Anche gli indagati si lasciano plagiare dagli interrogatori, e vi sono proprio dei modi in cui la polizia riesce a creare false confessioni. Probabilmente in buona fede.
Ad esempio dire all’accusato che ci sono prove certe sulla sua colpevolezza e che se non ricorda il crimine compiuto è perché probabilmente era sotto l’effetto di qualche sostanza, o perché la sua mente ha rimosso l’accaduto, addirittura la polizia per giustificare il non ricordo dell’indagato arriva a sostenere che ci possa essere un disturbo di personalità. L’indagato, soprattutto quello di indole onesta, arriva a credere a queste affermazioni e comincia a sviluppare fantastici ricordi su quanto accaduto, ricordi che tenderà a ripetersi e quindi a far diventare reali nella sua mente.
E’ un po’ quello che accade quando per tappare i buchi di un sogno lo riempiamo di parti inesistenti che poi ci convinciamo di aver realmente sognato.
Come accade nei sogni, questo accade anche nella realtà. Ma nel caso della realtà siamo meno disposti a crederlo possibile.
Il caso di Paul Ingram
Vi è un famoso caso, sempre di origine americana, che risale al 1988, in cui un uomo, Paul Ingram, fu accusato dalle due figlie di stupro conseguente a riti satanici. Paul Ingram essendo innocente ovviamente non ricordava questi eventi, ma la polizia, e in parte anche la chiesa di cui faceva parte, che credevano alle figlie dell’uomo, erano state in grado di suggestionarlo a tal punto che Paul Ingram incominciò a ricordare sempre più dettagli dei crimini non commessi.
Ma un sociologo, Richard Ofshe, esperto di tecniche di coercizione nonché di sette sataniche avanzò l’ipotesi che Ingram non fosse un adepto, ma che piuttosto sembrasse plagiato nella sua confessione.
Decise quindi di fare un esperimento: accusò Ingram di aver fatto durante questi riti una cosa che tutti sapevano non essere vera, cioè di aver obbligato le figlie a fare sesso fra loro. All’inizio Ingram sostenne di non ricordarsi questo evento, ma poi sentitosi accusato da una figura autorevole come Ofshe, e avendo ormai accettato come vera l’accusa delle figlie che altrimenti non riusciva a spiegarsi, incominciò a convincersi che anche quell’accaduto in particolare fosse reale, e incominciò pian piano a ricordarselo nei minimi dettagli.
Le figlie di Ingram in realtà erano due ragazze ossessionate dagli stupri, avevano già accusato altre persone. Una delle due figlie, Erika, in un ritiro pentecostale conobbe una ragazza che in quell’ambiente si credeva avesse il dono della profezia. Questa disse ad Erika che suo padre aveva abusato di lei, Erika se ne convinse talmente fortemente che andò in psicanalisi.
Erika e il suo terapista si influenzarono vicendevolmente, finché la terapia riuscì ad immettere i ricordi nella ragazza. Ricordi secondo i quali a 5 anni suo padre l’avrebbe violentata.
Purtroppo il caso di Paul Ingram non ha avuto un lieto fine: lo Stato di Washington non permette ritrattazioni delle proprie confessioni.
Convinzioni
Torniamo quindi al caso della Thompson, da cosa si creò il suo ricordo capace di incriminare un innocente e scagionare il colpevole? A confondere quel volto che a sentir lei non avrebbe mai dimenticato.
Sicuramente vi è una concomitanza di motivi. E’ probabile che la Thompson fosse in una stanza poco illuminata o che non avesse una buona memoria fotografica e soprattutto non dimentichiamoci la situazione altamente traumatizzante e stressante che stava vivendo. E’ probabile che non avesse realmente un ricordo così vivido del suo stupratore, e che i poliziotti che l’hanno interrogata l’abbiano influenzata attraverso le loro convinzioni mentre le presentavano le foto di alcuni uomini più o meno corrispondenti alla sua descrizione.
Il passo successivo probabilmente è stato che lei si sia convinta sempre più del proprio ricordo, in quanto continuava a ricostruirlo durante gli interrogatori, continuava quindi a vedere quel volto, che credeva di aver riconosciuto, su di lei a compiere quel terribile atto.
Più le persone vengono sottoposte a interrogatori e migliore diventerà quello che credono essere un loro ricordo, più vivido, più convincente fino a diventare certezza.
Una volta che la persona è convinta del suo ricordo, questa sua convinzione influisce sulla decisione finale della sentenza. Infatti è stato provato che se la persona sostiene di essere sicura al cento per cento di un suo ricordo, la sua ricostruzione dei fatti viene ritenuta più attendibile rispetto a quella di chi ha dichiarato di essere sicura al 75 per cento. Anche se in realtà è stato dimostrato che questa correlazione non solo non è reale, ma in alcuni esperimenti addirittura si è verificata una correlazione inversa.
Ricordo e realtà
Se non è la certezza della persona a essere buona predittrice della realtà dei fatti, allora cosa lo è?
Ciò che davvero è proporzionalmente correlato all’esattezza di un ricordo sono le circostanze ottimali in cui il fatto da ricordare si è svolto.
Gli unici casi in cui i ricordi possono essere giudicati realmente attendibili sono quelli in cui si sono formati in un tempo sufficiente, sotto una buona illuminazione, in assenza di fattori stressanti e che non abbiano subìto interferenze o suggestioni postume.
Questi ultimi due fattori, l’assenza di fattori stressanti e l’assenza di interferenze o suggestioni postume, sono quasi impossibili sia nelle confessioni che nei ricordi delle testimonianze di crimini.