Cristina Fazzi è un medico che vive in Zambia da 14 anni. Cristina è una siciliana di Enna, classe 65, che partita per caso per l’Africa se ne è innamorata ed è rimasta per aiutare i più poveri. Ha anche adottato cinque bimbi africani e dichiara ad alta voce: “ Sì, sono felice!”
Sei medico specializzato in cosa?
Sono specialista in Chirurgia generale anche se, di fatto, da 14 anni mi occupo quasi esclusivamente di pediatria e infettivologia.
Come mai hai deciso di andare in Africa?
Sono partita assolutamente per caso, per sostituire una collega, con sopraggiunti problemi personali, fino al completamento del suo programma in un ospedaletto dell’area rurale. Sarei dovuta rimanere sei mesi, non sono piu’ andata via, non per caso ma per scelta.
La condizione sanitaria assolutamente scadente per cui si moriva anche di malattie banali, la malnutrizione infantile e la malaria, che decimavano grandi e soprattutto piccini, l’AIDS, che seminava morti fra giovani e bambini (non avevamo ancora l’accesso ai farmaci antiretrovirali). Non auguro a nessuno di vedere quello che i miei occhi hanno visto e per certi versi, continuano ancora a vedere… insomma… ho deciso di rimanere. Non che la mia presenza fosse determinante per risolvere tutti i problemi di una terra messa in ginocchio da povertà e miseria, ma sicuramente aveva piu’ senso rimanere in Zambia che ritornare in Italia. Nonostante le mille difficoltà, soprattutto legate alle differenze culturali, rifarei la stessa scelta.
Dove ti trovi? Raccontaci del tuo percorso di vita.
Vivo nella città di Ndola ma mi sposto moltissimo, sia nelle aree suburbane (baraccopoli) che nelle zone rurali (foresta/boscaglia), dove svolgo attività sia sanitarie (ambulatorio pediatrico) sia di formazione di personale sanitario, parasanitario e volontario.
Quando cammino tra le baracche e visito la gente, non solo per motivi sanitari, mi sembra incredibile ciò che vedo, non tanto la povertà quanto il degrado. Qualunque parola è inadeguata a descrivere la realtà, la quotidianità di quella gente. Qui la gente muore di fame, non per modo di dire ma davvero. Non so quanti bimbi piccoli ho visto morire di fame. A queste cose non ci si abitua. Non si può accettare. Ho tutti i loro occhietti impressi nella mente, le loro richieste di aiuto silenziose impresse nel cuore. Qui faccio il medico a 360 gradi ma soprattutto mi occupo di pediatria. Ho trascorso i primi otto anni in foresta, di cui i primi due in un ospedaletto governativo, dove ero l’unico medico, coadiuvato da infermiere locali bravissime. E’ chiaro che ho dovuto fare una formazione di medicina tropicale. Qui malaria e AIDS sono pane quotidiano. Io ho preso la malaria, una cinquantina di volte, qualche volta anche in forma molto grave. L’AIDS è però la cosa che fa più paura. Un terzo della popolazione è sieropositivo. Questo paese è bello, se veramente vuoi “vivere” con la gente, devi condividere e accettare anche le loro “paure”. Malaria, AIDS, serpenti, trombe d’aria… La gente comunque è proprio bella, calorosa, sorridente, semplice. Tanti bambini cresciuti o meglio tanti adulti rimasti un po’ bambini.
I miei bambini sono così, sono bellissimi, li fai felici con niente. Joseph ha sei anni, è il primo ed è mio figlio, in quanto l’ho adottato. Me lo avevano portato quando stavo nel bosco. Era un prematuro, la madre era morta di emorragia post-partum e il padre era ignoto (cosa molto comune qui poiché purtroppo le donne sono spesso abusate). Era un uccellino, pesava 800 grammi. Non avevo neanche la luce elettrica e l’acqua corrente, figuriamoci un’incubatrice. Ho preparato una bella scatola di cartone, ho fatto tanti buchi alle pareti, ho messo dentro il piccolino avvolto nella lana e ho messo la scatola in mezzo a quattro bracieri; come incubatrice ha funzionato. L’ho tenuto con me circa due mesi, finché ha raggiunto circa due chili e mezzo di peso. La bisnonna, unica parente, non poteva tenerlo e allora l’hanno messo in un orfanotrofio. Capisci bene che non potevo lasciarlo lì, in uno di quegli orribili posti dove i bimbi crescono elemosinando briciole di affetto e qualche rara carezza. Ho fatto domanda di affido (che qui a differenza dell’Italia, dura fino a che il minore compie diciannove anni di età), che è stata accolta e dopo tre anni ho formulato una richiesta di adozione. Nel 2008 ho avuto l’adozione dal Tribunale dei Minori Zambiano e nel 2011 il riconoscimento dell’adozione in Italia, così Joseph è mio figlio a tutti gli effetti. A Joseph sono seguiti altri quattro bimbi. Ho pensato che, essendomi trasferita dalla foresta in città (2008), potevo dare la possibilità di avere una famiglia ad altri quattro bambini. Così sono arrivati John, Lottie, Gift e Charity. Loro sono bambini non adottabili per la Legge zambiana, in quanto, pur essendo in stato di abbandono, hanno ancora un genitore vivente. La mia associazione ne ha l’affido, ed io la custodia, fino al compimento della loro maggiore età.
A volte mi chiedo come sono potuta arrivare fino a qui. Ormai il mio progetto è enorme e pensa che dei nostri servizi usufruiscono direttamente e indirettamente oltre 25 mila famiglie! Certo il buon Dio mi ha veramente messo una mano sul capo. Di fatto sono venuta per caso e sono rimasta per scelta. Qui posso fare il medico come mi piace farlo, per amore del malato e della vita. Perché non esistono le malattie, ma l’ammalato, come sempre dice mio padre (che è pure medico, ormai in pensione da tantissimi anni). In confronto all’ambiente da cui provenivo, questo è tutto un altro mondo, puoi trascorrere con l’ammalato tutto il tempo che vuoi. Qui puoi fare il medico e a me basta.
Cosa fai in Africa, di cosa ti occupi?
Non esiste una giornata tipo, ogni giornata è diversa dall’altra, divisa tra attività del progetto e di mamma. Prevalentemente faccio il medico pediatra, nel senso che mi occupo di bambini, anche se io non sono specializzata in pediatria, ma in chirurgia generale. Solo che in foresta o nelle baraccopoli, dove non c’e’ luce elettrica e acqua corrente, dove non esiste, neanche un ambulatorio è piu’ necessario un medico per i bambini che un chiruurgo e allora di necessità virtù come dicono gli Antichi. E’ da 14 anni che ormai praticamente faccio il pediatra, con tutto il rispetto per i pediatri veri. Faccio poi molta formazione socio-sanitaria (mi è sempre piaciuto insegnare) e mi occupo di malnutrizione infantile, piaga terribile di questi Paesi in via di sviluppo. Come mamma, poi, faccio tutto quello che le mamme fanno: cucino, lavo, stiro, spolvero, faccio eseguire i compiti e naturalmente, mi stracoccolo i miei cinque bambini stupendi.
Sei felice?
Cerco sempre di essere felice con quello che ho, con quello che la vita mi offre quotidianamente, non mi capita di invidiare gli altri per quello che non ho, direi che quello che ho mi basta e mi sembra anche moltissimo. Penso che bisogna sempre cercare di migliorarsi ma non per essere come gli altri bensì per realizzare sé stessi.
Ho la salute, una famiglia splendida in Italia, una famiglia meravigliosa in Zambia, la possibilità di svolgere la mia professione, tantissimi conoscenti, con cui parlare del più e del meno e pochi ma meravigliosi Amici, con la “A” maiuscola, con cui condividere i momenti particolari della vita. Sì, direi che sono felice.
Torni mai in Italia? Se sì, perché?
Torno in Italia solitamente ogni 8-10 mesi. In Italia c’è la mia famiglia che rappresenta per me sempre e ancora la mia “casa”, a cui visceralmente appartengo, anche se lontana più di 6000 chilometri. In Italia ci sono i miei Amici più cari, pur vivendo in Zambia da 14 anni mantengo ancora le mie radici in Sicilia. Direi che sono un albero con le radici in Sicilia che cerca di dare frutti (speriamo buoni) in Zambia.
Ovviamente, le mie visite in Italia sono fortemente legate anche alle attività di raccolta fondi per il mio progetto, che è soprattutto sostenuto con grande impegno e affetto, dalla mia parrocchia (Mater ecclesiae di Enna), dalla parrocchia Regina pacis di Gela e da una fittissima rete di parenti, amici, conoscenti, associazioni, gruppi, scuole e via dicendo, che permetto di trasformare in realtà tutti i miei sogni per aiutare i più poveri.
Il blog di Cristina Fazzi: http://banajo.blogspot.it/