Il collasso economico di una piccola isola nel Mediterraneo sta mettendo in crisi l’intero apparato comunitario, facendo emergere ancora una volta la disarmante vulnerabilità della moneta unica europea, introdotta a Cipro nel 2007.

L’importanza strategica di questa nazione, dalla storia particolarmente travagliata, deriva dalla sua collocazione geopolitica, perfettamente a metà tra mondo occidentale e medio-orientale. In questo territorio convergono interessi e culture molto differenti: la maggioranza della popolazione, di origine greca, è in conflitto con la parte turco-cipriota, situata nel nord dell’isola e separata da una striscia di terra sotto il controllo delle Nazioni Unite, mentre gli inglesi mantengono basi militari sul posto ed i russi vogliono i giacimenti di gas naturale.
L’intreccio di vicende antiche spiega in parte quello che sta accadendo ora sul fronte economico-finanziario, in cui sono entrati in gioco, con forza dirompente, anche altri soggetti, in primis l’Europa e quindi la Germania. La storia di questi giorni va dunque inquadrata in un contesto più ampio, sia geograficamente che temporalmente, partendo dagli ultimi fatti per comprendere gli interventi internazionali che si sono susseguiti.

 

Cipro è la prima vittima del default del debito greco che, seppur gestito in accordo con le istituzioni e con i principali investitori, ha comportato una riduzione intorno al 50-60% del valore dei titoli. Le banche cipriote, essendo relativamente “piene” di titoli ellenici, hanno accusato il colpo, costringendo circa un anno fa il governo di Nicosia a chiedere aiuto all’Europa per un intervento di ricapitalizzazione, pari a circa 10 miliardi di euro.
Nel frattempo, il debito pubblico cipriota è salito all’84% del Pil, il rating sui titoli è crollato a livello “spazzatura” ed il tasso d’interesse è schizzato al 12%. In conseguenza, la BCE ha smesso di accettare titoli di Stato ciprioti a garanzia del prestito, interrompendo il processo di erogazione degli aiuti al governo.

La Commissione Europea, che aveva spedito alcuni funzionari a Nicosia già la scorsa estate per verificare lo stato delle finanze pubbliche, ha supportato la BCE ed il neo-costituito Meccanismo Europeo di Stabilità (alias Fondo salva-Stati) nel promuovere la scelta di operare un prelievo forzoso sui conti correnti presso le banche di Cipro, non specificando con chiarezza né l’ammontare della tassa né il tetto sui depositi da colpire.
L’obiettivo era di ottenere i cinque miliardi che l’Europa chiede in garanzia per erogarne 10 in prestito, ma il Parlamento di Nicosia, messo sotto pressione dai cittadini scesi in piazza, ha bocciato l’iniziativa. Occorre sottolineare che la cifra richiesta come collaterale è enorme in relazione alla ricchezza del Paese, essendo pari a circa il 32% del Pil, il che basterebbe a giustificare le reazioni della popolazione.
Al momento si sta cercando una via d’uscita alternativa ed è proprio in questo frangente che stanno venendo alla luce alcune verità piuttosto ovvie per chi conosceva il caso, molto meno per i comuni mortali.

Il primo dato di forte interesse è che a Cipro si è verificato, nel corso di questa settimana, il primo bank run in formato europeo, ovvero la prima “corsa agli sportelli” per ritirare in fretta e furia i risparmi di una vita, proprio come accadde in Argentina circa un decennio fa. L’annuncio della tassa ha fatto dilagare il panico e gli istituti di credito sono rimasti chiusi, come la borsa, mentre i capitali sono stati sequestrati per evitarne la fuga all’estero.
Non sono mancate le note di colore, che farebbero sorridere se la situazione non fosse estremamente delicata: un uomo si è presentato davanti alla sua banca con un bulldozer, pronto a raderla al suolo se non gli avessero ridato i suoi soldi. Il governo britannico, tanto per abbassare i toni, ha inviato da parte sua un aereo militare a Cipro, con a bordo un milione di euro in contanti da distribuire ai militari di stanza sull’isola. Le manifestazioni di piazza mostrano, infine, come i cittadini ciprioti siano infuriati contro l’Europa ed in particolare contro la Germania, colpevole di aver preteso la scellerata misura del prelievo forzoso.

Per spiegare la reazione apparentemente spropositata della Russia in merito a quanto sta accadendo, occorre approfondire il ruolo di Cipro sullo scacchiere finanziario internazionale. Il 30% dei depositi presso istituti ciprioti, infatti, appartiene a cittadini miliardari russi, che approfittano del duplice vantaggio che il sistema bancario di questo Paese: tassazione molto bassa e controlli sulla provenienza dei fondi eccessivamente blandi. In altre parole, esistono forti sospetti che i movimenti gestiti attraverso i conti in questione spesso riguardino transazioni che non possono essere portate alla luce del sole, tra cui il traffico d’armi con la vicina Siria. La Russia, dal canto suo, ha da sempre appoggiato il governo cipriota nell’annoso conflitto con la Turchia, unico Paese al mondo a riconoscere l’indipendenza della parte nord dell’Isola, invasa negli anni ’70. In quest’ottica, appare più comprensibile la preoccupazione di Putin e Medvedev per una risoluzione immediata del problema, tanto da esser diventato il primo punto di discussione nell’incontro con il Commissario UE Barroso. I russi potrebbero addirittura arrivare a fornire la copertura finanziaria necessaria per ottenere il prestito dalla BCE, tanto che la Gazprom, colosso mondiale nel campo estrattivo, potrebbe proporre un accordo al governo di Nicosia in cambio della licenza di perforazione in alcuni giacimenti di gas al largo dell’isola.

Qualunque siano i prossimi sviluppi, è evidente che le istituzioni comunitarie si trovano in grave difficoltà di fronte a questa situazione, come si evince dai goffi tentativi di scaricabarile tra la Commissione e la BCE dei giorni scorsi. Stavolta la questione sembra essere più di principio che altro, visto che si tratta di una somma (10 miliardi) relativamente modesta rispetto agli interventi sostenuti per altri Paesi, tra cui Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia. L’intolleranza, soprattutto tedesca, deriva dal fatto che Cipro sia una sorta di paradiso fiscale per ricchi stranieri, per cui non sembra giusto che a pagare il conto delle sue banche siano i contribuenti europei. D’altra parte la rabbia dei ciprioti, che non vogliono vedersi togliere soldi dai conti correnti, rimane comprensibile e va gestita con estrema cautela.
La causa dello stallo, ancora una volta, va quindi attribuita ai meccanismi che governano la moneta unica: la supervisione bancaria unica, che entrerà in vigore (forse) nel 2014, avrebbe potuto prevenire gli esiti attuali, ma è curioso notare come a rallentare il processo sia stata proprio la Germania. Il caso cipriota rappresenta solo l’ultima manifestazione di una malattia di cui soffre l’Euro, causata dall’assenza di regole più equilibrate sotto l’aspetto monetario e più rigide per quanto riguarda i controlli bancari.

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