Ad aprire le danze è stato Barack Obama: il presidente americano il 10 maggio scorso si è pronunciato definitivamente a favore dei matrimoni gay. Un colpo di reni che ha rilanciato la sua campagna elettorale che rischiava di finire sepolta sotto le macerie economiche e politiche che la crisi globale sta disseminando un po’ ovunque, anche negli USA. Un appoggio storico, quello del primo presidente nero ai matrimoni fra persone dello stesso sesso, ma anche obbligato, dopo che metà del suo staff , vicepresidente Joe Biden compreso, si erano pronunciati nettamente a favore.

Ma se negli USA il tema dei matrimoni gay, visto come ultima frontiera dei diritti civili, è servito (anche) a ricompattare l’elettorato del Partito Democratico in vista delle prossime elezioni, in Italia la discussione sulle unioni civili rischia di spaccare il Pd e sta suscitando molte discussioni anche al di fuori del mondo politico, finendo, addirittura, per essere oggetto di dibattito nel mondo del calcio (si vedano le ultime polemiche sulle parole di Cassano).

Bersani e il Gay Pride
Il segretario del Pd Bersani, in un messaggio di auguri, inviato qualche giorno fa agli organizzatori
del Gay Pride di Bologna, ha rotto gli indugi e dopo anni di tentennamento ha dettato la linea del Partito Democratico sui temi etici. Coppie di fatto, legge antiomofobia, divorzio breve, diritto di cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia, testamento biologico: è l’elenco di diritti civili su cui il Pd sembra aver preso una posizione ferma. Ma è soprattutto riguardo alle unioni gay che il segretario Pd ha assunto una posizione tanto netta quanto potenzialmente dannosa per l’unità del suo partito: “Non è accettabile che in Italia non si sia ancora introdotta una legge che faccia uscire dal far west le convivenze stabili tra omosessuali, conferendo loro dignità sociale e presidio giuridico, così come è intollerabile che questo Parlamento non sia riuscito a varare una legge contro l’omofobia e la transfobia”. Una presa di posizione forte che serve al segretario per iniziare la campagna elettorale per le prossime primarie che decideranno il candidato premier del centrosinistra nel 2013. Se però la linea di Bersani sui diritti ha raccolto applausi alla sinistra del Pd, rischia di allontanare ancora di più i centristi, dentro e fuori il partito.

C’è omofobia nel Pd?
Non si è fatta attendere, infatti, la reazione di Fioroni, ex ministro dell’Istruzione e rappresentante dell’anima centrista del Pd. Secondo Fioroni, le priorità del Pd dovrebbero essere altre: “Tutti dovrebbero cogliere i drammi legati a questo momento così complicato. Le persone che incontro non mi chiedono di coppie gay e di testamento biologico… Vogliono sapere di fisco e di esodati, di occupazione e di misure per la crescita”, ha spiegato. “Non si tratta – ha affermato l’ex ministro – solo di scegliere il leader ma di fissare programmi e contenuti. E se Bersani dovesse dimenticare le priorità, sarei costretto a riflettere e, magari, a muovermi”. Parole che hanno attirato il fuoco di fila all’interno del Pd, tacciando addirittura di omofobia l’ex ministro del Ppe. Ma su questi temi “sensibili”, si sa, la libertà di coscienza prevale sulle direttive di partito, tanto più che si è parlato non di generiche “unioni civili” ma di veri e propri matrimoni gay, tema sul quale è improbabile che ci sia oggi una maggioranza nel Pd. Fioroni dunque ha solo rappresentato uno stato di fatto.
Difficile, quindi, credere che l’ex ministro della Pubblica Istruzione stia pensando davvero alla candidatura alle primarie di coalizione: il regolamento del partito vieta due candidati targati Pd. Più probabile è invece che le sue dichiarazioni diano voce all’ala moderata, cattolica e centrista dei democratici, ansiosa di richiamare il partito sui temi di suo interesse in vista della stesura del programma di governo per il 2013. Per quanto tempo le due anime della principale forza di sinistra italiana riusciranno a convivere nello stesso corpo senza fondersi o disgregarsi? Una bella domanda a cui solo il tempo potrà dare una risposta esauriente.

L’Italia e i diritti della “casta”
Nel frattempo quel che è certo è che l’Italia permane in uno stato legislativo notevolmente arretrato su tutti i temi etici e sui diritti civili, non solo quelli delle coppie omosessuali. Diritti come assistere il partner durante la malattia e la permanenza in ospedale, la possibilità di usufruire dell’assistenza sanitaria garantita dall’istituto di previdenza dell’altro (o dell’altra), e la reversibilità della pensione, oggi sono negati in Italia non soltanto alle coppie omosessuali, ma a tutte le coppie di fatto, anche e soprattutto eterosessuali, magari con figli, che per un motivo o per l’altro non sono sposati. Un gap da colmare al più presto dunque, per riavvicinare l’Italia al novero dei paesi civili, moderni e democratici a cui già oggi si vanta di appartenere. Se all’epoca del governo Prodi ci fu un tentativo, miseramente naufragato, di affermare i diritti delle convivenze civili con i famosi “d.i.c.o.”, oggi i tempi per legiferare in tal senso sembrano essere finalmente maturi se lo stesso Fioroni si è detto più volte favorevole ad una legislazione che contemplasse l’acquisizione di tutele legislative adeguate a garantire i diritti per le persone, anche dello stesso sesso che convivono. Una legge in tal senso tutelerebbe le molte e sempre più numerose persone che convivono senza essersi sposate. Probabilmente per queste “unioni di fatto” solo nel 10% dei casi si tratterebbe di coppie omosessuali. Una legge che servirebbe per riequilibrare i diritti degli italiani e allinearli a quello degli altri cittadini europei, ma anche per ristabilire l’equità all’interno dei confini nazionali.

Se diritti come la reversibilità della pensione e dell’assistenza sanitaria per i partner di una coppia di fatto, sono negati alla maggior parte dei cittadini italiani, non lo sono affatto né per i politici né per i giornalisti. Se questi ultimi infatti possono estendere l’assistenza Casagit (la Cassa Autonoma di Assistenza Integrativa dei Giornalisti Italiani) ai conviventi di fatto, i parlamentari possono estendere ai familiari non solo l’assistenza sanitaria ma addirittura la pensione di reversibilità (unico caso in tutte le categorie professionali in Italia). Ovviamente sia nel caso dei giornalisti, che in quello dei parlamentari nei regolamenti delle rispettive categorie non si fa alcun cenno al sesso del convivente. Dunque ancora una volta nel nostro Paese le discriminazioni più che sul “genere”, si fondano sulla “categoria” sociale di appartenenza. Si può essere uomini, donne, gay o transgender ma se non si appartiene alle “categorie giuste” si sarà sempre discriminati. Da questo punto di vista l’Italia sembra mantenere un retaggio da basso medioevo, quando solo le gilde o corporazioni (differenti in base al lavoro svolto) assicuravano il privilegio di taluni diritti. Un moderno stato di diritto dovrebbe invece garantire i diritti a tutti i suoi cittadini, prima e indipendentemente dall’appartenenza a qualsivoglia categoria.

Le nuove famiglie di un mondo che cambia
Non resta che sperare che stavolta sia finalmente il momento buono per vedere finalmente riconosciuti i diritti civili per qualsiasi unione di fatto, soprattutto in un contesto storico, economico e sociale che muta con una rapidità estrema, travolgendo tutte le vecchie istituzioni e forme di organizzazione sociale, prima fra tutte la famiglia. Se la famiglia composta da genitori e figli è stato l’unico modello possibile negli ultimi due o tre secoli, non è detto che sia l’unico modello di famiglia possibile. Oggi ci sono culture in cui è previsto il matrimonio poligamico e in passato, anche in occidente, sono esistite forme di aggregazione familiare diverse dal modello oggi idealizzato e assolutizzato dalla visione del mondo cattolica. Ma questo modello è stato imposto non solo da dinamiche religiose o culturali, ma soprattutto da dinamiche di tipo economico. La famiglia patriarcale tipica del XIX e di buona parte del XX secolo rispondeva a precise esigenze dell’organizzazione della produzione economica. La stessa (spesso finta) emancipazione femminile e i maggiori diritti corrisposti ad alcune fasce della popolazione sono stati funzionali al sopraggiungere di nuove forme di organizzazione e produzione economica.

Oggi la devastante crisi sociale e finanziaria in atto, sta travolgendo i vecchi modelli familiari a cui siamo stati abituati. Quanti giovani oggi possono permettersi di formare e mantenere una famiglia “tradizionale”? Pochissimi. E quante persone si ritrovano, per un motivo o per un altro, a doversi cimentare in forme di convivenza diverse da quella classica del matrimonio? Moltissime.
Una legislazione che estenda i diritti, finora riservati al matrimonio, a tutte le forme di unione o convivenza civile, non è più procrastinabile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *