Il Consiglio di Stato chiude la controversia tra la Provincia di Pisa e le banche Dexia Crediop e Depfa Bank sui contratti derivati. Un tema ancora oggi attuale che risente della mancanza di un intervento legislativo sistemico sul punto.

In vari punti d’Italia, infatti, si guarda a Pisa come caso di scuola: a giugno scorso 210 amministrazioni registravano una perdita potenziale di 6,2 miliardi soltanto nei confronti delle banche italiane e molte erano le aspettative rispetto a questa pronuncia. Senza contare il rischio “spese processuali a carico” per tutte quelle amministrazioni che già ad oggi hanno procedimenti avviati, maggiori oneri che inevitabilmente ricadrebbero sulle spalle dei contribuenti.

All’interno della sentenza n. 5962 del 27 novembre 2012 (leggibile nei correlati), però, le cifre “ballerine” sono la cartina al tornasole dell’obiettiva difficoltà di definire in modo inequivocabile la metodologia corretta per valutare la convenienza economica che tanto ha fatto discutere gli operatori del settore nei mesi scorsi.

Cambio di fronte – La sentenza ribalta la pronuncia del giudice di prime cure che aveva dato ragione all’amministrazione provinciale: legittimi i «costi impliciti» in un’operazione swap, tanto più che da soli non sono capaci di inficiare la «convenienza economica» dell’operazione derivata.

Provvedimento molto corposo (110 pagine) che riprende in buona parte le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio affidata a Roberto Angeletti, ispettore di Bankitalia, e disposta per accertare se l’operazione di ristrutturazione del debito avviata dall’amministrazione provinciale di Pisa fosse da considerarsi effettivamente conveniente dal punto di vista economico «ai sensi e per gli effetti dell’articolo 41 della legge n. 441 del 2001 e in particolare se gli swap fossero stati caratterizzati o meno da costi impliciti non dichiarati ovvero non conoscibili».

Il consulente, dopo aver vagliato l’operazione da 95,5 milioni di dollari che nel 2008, a un anno dal suo avvio, era stata cancellata in autotutela dopo il riesame dei tecnici della stessa Provincia, rivede i costi «impliciti» da 1,4 milioni a 320mila euro e contesta la possibile esistenza di un «derivato ideale» senza costi visti «i rischi di controparte, liquidità, legale, nonché i costi amministrativi» sostenuti dall’intermediario.
Le ragioni di mercato spengono quindi gli entusiasmi degli enti locali che, nell’annullamento in autotutela avevano visto una scappatoia percorribile da swap dimostratisi non così remunerativi.
L’unico punto non oggetto di riforma è quello inerente la competenza sul quale l’Italia batte l’Inghilterra: spetta al giudice amministrativo italiano ricomporre la controversia.

Ieri, oggi, domani – I giudici amministrativi sottolineano la non necessarietà, prima della direttiva MiFid, di entrare nel dettaglio dei costi da parte dell’intermediario, tanto più in presenza di un ente pubblico che era già attivo sul mercato e aveva avviato l’operazione dopo una gara ufficiosa e una valutazione delle proposte da parte di una commissione tecnica. Fari puntati dunque sull’obbligo ad assumere decisioni diligenti e lungimiranti visto che gli impegni presi vanno poi onorati.
Punti fermi che si ricollegano alla sentenza della Corte di Cassazione penale n. 47421 del 21 dicembre 2011 e potrebbero quindi diventare principi acquisiti, pur nella distanza dall’orientamento prevalente in capo ai giudici di merito. A fare giurisprudenza ci pensa intanto l’affermazione secondo la quale non ci sono, nel metodo di calcolo proposto dalle banche, costi occulti, «ma solo – s legge nella sentenza – il valore che avrebbe potuto avere in una astratta ed ipotetica (ma assolutamente irrealistica e non vera) contrattazione».
Consiglio di Stato, sezione quinta, decisione 5962 del 27 novembre 2012

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