La Suprema Corte, sezione lavoro, con la recentissima sentenza n. 21203 depositata il 17 settembre 2013, ha nuovamente chiarito la portata del controverso principio dell’immediatezza della contestazione disciplinare, nella fattispecie confermando la legittimità, già dichiarata dai giudici di merito, del licenziamento per giusta causa intimato nei confronti di un lavoratore che si era assentato ingiustificatamente dal lavoro in diverse circostanze.
In particolare, il ricorrente aveva denunciato la tardività della contestazione degli addebiti da parte datoriale, in quanto intervenuta non già al tempo dell’accertamento delle prime condotte inadempienti, bensì soltanto in un momento successivo, previo decorso di un lasso temporale sufficiente a constatare, per il tramite di un’agenzia investigativa cui era stato conferito apposito mandato, la non occasionalità dei fatti posti a fondamento della massima sanzione disciplinare.
L’immediatezza della contestazione secondo l’interpretazione della Suprema Corte. Il principio di tempestività della contestazione dell’addebito, regolante il procedimento disciplinare secondo quanto disposto dall’art. 7 della Legge n. 300/1970, posto a garanzia dell’esigenza del lavoratore di predisporre adeguatamente le proprie difese, impedisce che la sanzione disciplinare possa essere irrogata una volta decorso un lasso di tempo idoneo a configurare la mancanza di interesse da parte del datore di lavoro ad esercitare la facoltà di recesso.
A tale riguardo, il Supremo Consesso ha tuttavia precisato come il suddetto principio debba essere necessariamente inteso in senso relativo, caso per caso, soprattutto nell’ipotesi in cui, analogamente alla fattispecie, l’illecito commesso dal dipendente – se astrattamente tollerabile dal datore, a sua discrezione, nella misura in cui rappresenti un episodio isolato – celi in realtà una condotta sostanzialmente abituale o comunque reiterata nel tempo.
E’ possibile, infatti, che in concreto l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda un arco temporale più o meno lungo, dovendosi anche tutelare l’esigenza datoriale di avere una conoscenza compiuta dell’illecito, ivi inclusa l’eventuale ripetitività dell’abuso, da parte del lavoratore, dell’affidamento aziendale nei suoi confronti.
Non può invero revocarsi in dubbio la sostanziale differenza, ai fini della determinazione se irrogare o meno la sanzione espulsiva, tra una singola assenza ingiustificata dal lavoro e l’accertamento di una sistematicità della violazione dei doveri di correttezza gravanti sul prestatore di lavoro.
Ne consegue che il tempo occorrente al datore di lavoro per svolgere i necessari accertamenti, sempre se ragionevole, non può essere considerato come indice di tolleranza della condotta illecita del dipendente, dovendo, al contrario, consentire alla parte datoriale di stabilire la congrua sanzione da infliggere, evitando il rischio di contestazioni superficiali.
In tal modo è stata dunque verificata la gravità della condotta posta in essere dal ricorrente, allontanatosi ingiustificatamente dal luogo di lavoro a più riprese, con conseguente irrimediabile lesione del vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro, ragion per cui, nella fattispecie, è stata confermata la legittimità del licenziamento intimato per giusta causa.