Secondo i non dimenticati saggi dell’altro secolo Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone e Paolo Sylos Labini di area laica liberale, Silvio Berlusconi era sceso in politica senza averne i requisiti.
Il Cavaliere era ed è ineleggibile in base all’articolo 10 della vigente legge elettorale del 1957 e successive variazioni (Decreto presidenziale n°361). Ai tre illustri personaggi si unirono Giovanni Sartori, Alessandro Pizzorusso, Aldo Corasaniti, Roberto Borrello, Giuseppe Bozzi, Vittorio Cimiotta, Vito Laterza, Carlo Vallauri e Marcello Rossi direttore del la rivista Il Ponte fondata da Piero Calamandrei. Dalla colonne di quella gloriosa rivista fiorentina nel settembre 1999 Paolo Sylos Labini pubblicava sull’argomento un articolo sul tema dal titolo Una questione di civiltà. Si aggiunsero altre voci autorevoli e trasversali all’apparato conformista del tempo. Tutti fecero un appello alle forze politiche perché la legge fosse rispettata ma invano. Il drappello dei liberal rimase isolato.
La gravità dei fatti si accentuò con l’interpretazione restrittiva dell’articolo 66 della Costituzione secondo il quale unici giudici sulla eleggibilità sono le rispettive Camere. Semplicemente perché al cittadino non era data la possibilità di rivolgersi al giudice ordinario come prescriveva la legge, giudice terzo mentre alle singole Camere (giudice in conflitto perché non super partes) spettano il residuale compito di declaratoria nel caso di ineleggibilità sopravvenuta.
Caso di scuola: Se il Cavaliere avesse fatto il deputato prima di avere ricevuto le concessioni pubbliche di notevole interesse economico, l’articolo 66 si sarebbe applicato perché questi in carica. Le principale forze politiche fecero “orecchio da mercante”. Paolo Sylos Labini aveva constatato che, nonostante un ricorso alla Giunta della Camera il suo presidente avvocato Cesare Salvi esponente Pds aveva salvato il cavaliere con un cavillo ridicolo secondo il quale l’unico rappresentante formale dell’azienda concessionaria (Mediaset) era Federico Confalonieri perciò ineleggibile. Stranamente la Giunta parlamentare disattese le massime della Corte Costituzionale che dal ’72 all’87 aveva avuto modo di precisare quali sono le motivazioni delle cause di ineleggibilità. L’intento fu quello di evitare un’indebita interferenza nella libera manifestazione della volontà dell’elettore (pensiamo alle sirene di Odisseo). Semplicemente sono esclusi coloro che con la loro funzione possono influire sul voto violando il principio della libera competizione elettorale.
La legge elettorale stabilisce che sono ineleggibili tra gli altri i concessionari pubblici, compresi a maggior ragione i concessionari tv. C’è un vulnus legislativo (vedi il sistema anglosassone) che rende ancora più pregnante tale norma perché la concessione è stata data in regime di monopolio privato (vedi legge Mammì), come se avessero dato ad un unico concessionario la gestione di tutte le spiagge d’Italia. Ma cosa è un ombrellone rispetto all’informazione televisiva? La ratio della legge del 1957 si ispira al pensiero liberale di Luigi Einaudi. I concessionari dello Stato sono la negazione del mercato e della libera concorrenza. Le concessioni andrebbero evitate e comunque essere limitate a materie circoscritte e limitate nel tempo.
Berlusconi domina il mercato televisivo ed editoriale dagli anni 80. Sylos Labini quando sollevò la questione ebbe risposte negative da autorevoli esponenti di destra e di sinistra. Così commentava lo stesso dopo un intervento di Pier Ferdinando Casini sul Giornale di famiglia del Cavaliere: “Un paese in cui le leggi fossero applicate, sarebbe un paese diverso- in questo Casini ha ragione -, un regime ben diverso da quello in cui siamo, in cui Bossi può dichiarare di avere fatto il ribaltone non per ragioni ideologiche ma perché Berlusconi gli stava comprando i parlamentari uno dopo l’altro”.
Eppure il testo fu redatto in epoca non sospetta dalla Dc che voleva evitare polemiche strumentali dell’opposizione che accusava molti notabili democristiani si strapotere economico. Un caso esemplare fu quello del ministro Antonio Bisaglia che nel dicembre dell’80 si dimise dal governo Forlani perché aveva riconosciuto di violare la legge del 1957. Purtroppo un caso isolato che testimonia la poca serietà delle casta attuale.
Tali considerazioni prescindono da alcuna simpatia politica. Sono le premesse della democrazia perché permettono al cittadino di scegliere, ma anche di cambiare voto quando si è insoddisfatti . L’alternanza tra partiti indipendenti rinnova la classe politica, evita derive autoritarie e limita la corruzione dei singoli.