Partono le mediazioni civili: gli avvocati sono contro, confindustria e camere di commercio dicono sì, vediamo come funziona il meccanismo.

Tutto nasce dalla legge di riforma del processo civile, varata nell’estate del 2009 (la legge 69/2009) che prevedeva una serie di deleghe tra le quali appunto quella sulla nuova conciliazione, attuata dal Governo con il Dlgs 28/2010.

Le lacune legislative

Un provvedimento, questo sulla conciliazione, che sin dal primo momento ha ricevuto critiche dal mondo forense ma anche dal Parlamento. Basta leggere infatti i pareri espressi dalle commissioni parlamentari per capire che lo schema di quello che sarebbe poi diventato il decreto 28/2010 mostrava già molti punti critici. «Lo schema di decreto – si legge nel testo approvato dalla commissione Giustizia della Camera – non può che reggersi su una figura di mediatore «forte»: dotato di solida preparazione, di competenze tecniche specialistiche nelle materie in relazione alle quali è chiamato ad operare, di requisiti che garantiscano il massimo grado di imparzialità (…) risulta quindi necessario che sia prevista direttamente dal decreto legislativo quantomeno una disciplina di principio relativa ai requisiti che garantiscano eleveti livelli di formazione, competenza tecnica ed imparzialità del mediatore, nonché la serietà e l’efficienza degli organismi di conciliazione».

I suggerimenti del parlamento, però – purtroppo – non sono arrivati fino a via Arenula perché né il decreto 28/2010, né il decreto ministeriale 180/2010 che ha stabilito i criteri di modalità di iscrizione per la tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione hanno chiarito la questione. Anzi, soprattutto il regolamento ministeriale 180/2010, è rimasto talmente sul vago da incassare un consistente numero di ricorsi alla giustizia amministrativa, dall’Organismo unitario dell’Avvocatura, alle Camere Civili, ai Giudici di Pace, a diversi Consigli dell’ordini degli Avvocati. Nel DLgs 28/10 viene riportato che gli organismi di mediazione, siano essi enti pubblici o privati, devono dare garanzie di serietà ed efficienza, il problema però è che il regolamento non aggiunge molta chiarezza dal momento che non specifica alcun criterio di individuazione e selezione degli organismi di mediazione volto a soddisfare queste garanzie. I mediatori, dice il testo, devono avere un titolo di studio non inferiore al diploma di laurea universitaria triennale oppure devono essere iscritti ad un ordine o un collegio professionale, e devono essere in possesso di una specifica formazione e di uno specifico aggiornamento almeno biennale. Non proprio dettagliata come forma regolamentare. Sulla professionalità di mediatori, formatori di mediatori e quant’altro dovrebbe quindi vigilare il Ministero, con i suoi mezzi e le sue (scarse) risorse…

Chi forma e quanto costa diventare mediatore?

«Gli organismi di mediazione sono enti pubblici o privati che diano garanzie di serietà ed efficienza, abilitati a svolgere il procedimento di mediazione ed iscritti nell’apposito registro degli organismi di mediazione» dice il sito del ministero della Giustizia riportando testualmente la legge.

Gli organismi già iscritti nel registro saranno iscritti di diritto con eventuali integrazioni. Ad un mese dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni erano già 156 gli enti iscritti di cui 22 “arrivati” tra il mese di gennaio e dicembre del 2007, 15 nel 2008, 24 nel 2009, 79 nel 2010 e 16 nel primo mese e mezzo del 2011.

«I mediatori – dice il ministero – possono essere iscritti nel registro solo dopo aver frequentato un percorso formativo ad hoc tenuto da formatori accreditati inseriti nell’elenco dei soggetti ed enti abilitati a tenere corsi di formazione istituito presso il Ministero». L’elenco degli enti abilitati a svolgere attività di formazione è tenuto presso il Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero e ne è responsabile il direttore generale della giustizia civile.

Ad un mese dall’entrata in vigore delle norme, gli enti formatori accreditati erano 162. Per effettuare corsi di durata non inferiore a 50 ore, rivolto a massimo 30 partecipanti i prezzi, consultabili sempre sul sito delle varie società ed enti varia da 1800 euro per sedi “inflazionate” come Roma e Milano ai 600 euro del corso organizzato dall’Università di Firenze che prevede un contributo del 50% per gli avvocati del foro fiorentino da parte della Fondazione per la formazione forense dell’ordine degli avvocati di Firenze. Si va così dai corsi di 54 ore organizzati da Adr network, nel cui comitato scientifico c’è Piero Sandulli, che ad esempio su Roma costano 1000 euro con sconto del 20 % per gli iscritti all’ordine dei Commercialisti e degli Avvocati; oppure quelli di 52 ore di Adr Center, con Piero Luigi Vigna a capo del Comitato indipendente di controllo della qualità che costano 2500 euro con materiale didattico. Nel mezzo quelli organizzati dalle Camere di commercio, dall’Associazione nazionale conciliatori, dall’istituto superiore per la Conciliazione che vede tra i docenti Acone Modestino, dai vari ordini degli avvocati come quello di Taranto o da associazioni come la Fosviter di Benevento.

Se si riuscirà ad avere una formazione omogenea su tutto il territorio nazionale spetterà al Ministero verificarlo, mentre il problema più urgente a questo punto è capire chi diventerà conciliatore al termine della formazione. In alcuni casi infatti organi di mediazione e enti formatori coincidono, in questi casi è ragionevole pensare che chi “prepara” il proprio conciliatore, preferirà poi inserirlo nel suo elenco piuttosto che inserire un conciliatore formato da una società sconosciuta.

Ma quanti saranno i mediatori? I numeri non potranno crescere a dismisura, ovviamente e saranno proporzionali al numero delle controversie trattate, questo significa che prima di impegnarsi con un corso di formazione a pagamento bisognerà capire se effettivamente il sistema avrà ancora bisogno di mediatori, altrimenti si rischierà di avere più conciliatori che conciliazioni. Per il momento ad essere pronti ai nastri di partenza sono le Camere di commercio che, fino ad oggi hanno formato circa 7000 conciliatori, di cui 833 solo nel 2008, gestendo, tra il 1997 e il 2008 oltre 60 mila conciliazioni (dal sito Union camere, guida alla conciliazione).

Quanto costa una mediazione?

Gli atti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra spesa, tassa o diritto, dice il MinisteroPer una causa civile di 10 mila euro, ciascuna delle parti dovrà versare, per le spese di avvio (decreto ministeriale 180/2010) 40 euro al momento del deposito della domanda, poi 360 euro aumentate di un quinto in caso di particolare complessità del caso come da tabella allegata al regolamento. Cifra che però deve essere ridotta di un terzo quando nessuna delle controparti partecipa, a parte chi ha presentato domanda ovviamente. Questo significa che per una causa di 10 mila euro, se tutto filasse liscio il cittadino spenderebbe solo 400 euro per rientrare di un suo diritto. Poniamo però il problema che la controparte non si presenti, questo cittadino dovrà comunque pagare 280 euro ed aspettare quattro mesi prima di andare davanti ad un giudice e pagare comunque un avvocato.

La situazione si complica per cifre più basse: nel caso di una conciliazione di 5 mila euro, bisognerà pagare 180 euro che, in caso negativo diventano 130, la solita attesa di quattro mesi e quindi l’inizio della causa.

Sempre nel caso in cui si finisca davanti al tribunale, dice il sito del ministero: «All’esito del processo civile, se il provvedimento del giudice corrisponde interamente al contenuto della proposta conciliativa, il giudice esclude la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, relativamente al periodo successivo alla stessa, e la condanna al pagamento delle spese processuali della parte soccombente riferite al medesimo periodo, nonché al pagamento del contributo unificato».

Infine, le tabelle delle indennità degli enti pubblici sono fissate da decreto, gli enti privati, invece le possono stabilire liberamente, anche se si sta pensando ad un limite anche per queste ultime. Anche in questo caso però le incongruenze sono diverse. Contrariamente a quanto suggerito dai pareri delle commissioni parlamentari, nel provvedimento non è stato inserito un vincolo territoriale; questo significa che la controparte, magari molto più facoltosa di me, per una Conciliazione potrebbe trascinarmi da Marsala a Bolzano. Non solo. Sempre nel caso in cui io mi trovi di fronte una controparte ricchissima, questa potrebbe anche “portarmi” a conciliare davanti ad un ente privato più “caro” innescando un meccanismo piuttosto perverso… L’unica via d’uscita potrebbe essere rappresentata dal patrocinio a spese dello Stato, a patto che ci siano le condizioni economiche tali da beneficiarne.

L’intento del provvedimento era deflattivo, di sicuro l’obiettivo verrà raggiunto, resta sempre da vedere a quali condizioni. Se il passaggio obbligato della conciliazione significherà spendere comunque una cifra iniziale ed aspettare quattro mesi per una mediazione che sappiamo già non arriverà mai (pensiamo ad esempio ad una causa riguardante una eredità, magari con una delle parti economicamente molto più forte), probabilmente qualcuno sarà autorizzato a sentirsi sconfitto in partenza. Con buona pace dei diritti costituzionalmente garantiti.

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