Roma 16/3/2012. Rischia di essere molto costosa la scelta di agganciare il nuovo welfare alla disciplina dei licenziamenti: toccare la pietra angolare dell’articolo 18 potrebbe costare di più per tutto il sistema economico piuttosto che garantire i risultati attesi in termini di efficienza. L’invito al Governo alla cautela, all’indomani dell’annuncio dell’accordo politico sullo Statuto dei lavoratori tra il premier Monti e i capi dei partiti politici che sostengono l’esecutivo, giunge dagli avvocati, riuniti fino a domani a Roma su iniziativa del Consiglio nazionale forense per il VII Congresso giuridico-forense per l’aggiornamento professionale, che vede la partecipazione di 2500 avvocati di tutta Italia. Al Congresso si discute di questioni tecniche relative agli effetti dell’abrogazione della tutela dell’articolo 18 per i licenziamenti disciplinari o economici, che avrebbero ricadute sul regime della prescrizione dei diritti dei lavoratori e quindi si ripercuoterebbero sui costi delle imprese “Il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, garantita dall’articolo 18, comporta che il lavoratore può far valere le sue pretese solo con riferimento agli ultimi cinque anni di lavoro”, spiega Bruno Piacci, consigliere Cnf che ha coordinato oggi la tavola rotonda “Precari a vita?” “Diversamente avverrebbe se venisse meno la norma che garantisce il reintegro: a quel punto il lavoratore potrebbe avanzare pretese relative a tutto l’arco temporale del rapporto, con notevole aggravio dei costi per le imprese, nell’ipotesi di vecchie inadempienze”. In generale, ogni rapporto di lavoro diventerebbe “più conflittuale”, e il lavoratore maggiormente esposto a possibili arbitri da parte del datore di lavoro . Per gli avvocati, infine, altre questioni critiche dipendono dal fatto che sarà molto difficile provare la “discriminazione”, senza contare che comunque al licenziamento discriminatorio sarebbe applicabile la nullità. Insomma, quello che rimarrebbe dell’artico 18 sarebbe praticamente inutile. “Affidare poi al giudice la scelta della sanzione tra reintegro e risarcimento è inaccettabile perché si creerebbe diversità di decisioni in situazioni identiche, con eclatante violazione del principio di uguaglianza”, conclude Piacci.