Per uscire dalla crisi economica c’è bisogno anche di democrazia, di tutela dei diritti e del rispetto dell’autonomia e indipendenza dell’avvocatura. Ma il legislatore, sancendo il primato dell’economia sul diritto, sta affrontando la questione con le sole categorie economiche, che finora peraltro non hanno evitato il disastro economico.
Nella amministrazione della giustizia si sta assistendo a uno svilimento dell’Avvocatura e alla trasformazione del sistema giudiziario in un percorso ad ostacoli.
E’ accorata l’analisi contenuta nella relazione di apertura del nuovo anno giudiziario forense, pronunciata ieri dal presidente del Cnf Guido Alpa, davanti alle più alte cariche dello stato e al ministro della giustizia Paola Severino. “L’avvocatura sta conducendo il suo percorso di guerra dal 1994, anno al quale sono rimaste inchiodate le tariffe, da allora mai aggiornate. Le statistiche della Cassa forense segnalano una continua contrazione del reddito della categoria; ma la realtà è ancora più grave, perché il numero di chi svolge la professione è di gran lunga superiore a coloro che sono iscritti alla cassa. Gli avvocati vivono una situazione di precarietà, che sarà ancor più aggravata dal decreto ministeriale sui parametri per la liquidazione giudiziale delle spese legali. Eppure non gode di alcun incentivo o facilitazione per la conduzione dei propri studi legali”.
I diritti dei cittadini compressi dalle più recenti riforme. “L’Europa dei diritti”, rileva Alpa. “ non impone liberalizzazioni selvagge, e chi sostiene che le misure diverse da quelle necessarie a ridurre il debito pubblico e a rilanciare l’economia sono dettate dall’Europa fa un uso ideologico del diritto comunitario.
I diritti non sono merce perché non possono essere inscatolati in formule processuali compresse come se fossero rinchiusi dentro una bottiglia. I diritti non sono merce perché non possono essere sviliti od ostacolati da alti costi di accesso alla giustizia o affidati a procedimenti coattivi di conciliazione per di più amministrati da persone non competenti. I diritti non sono merce perché non possono essere difesi da avvocati asserviti a soci di capitale. I diritti non sono merce perché non possono essere trasportati da presidi giudiziari territoriali a centri di smistamento regionali o provinciali senza adeguate garanzie”.
La professione. Alpa è diretto: si sta assistendo a uno svilimento dell’Avvocatura e delle professioni in generale. “Se liberalizzare significa rispettare le autonomie, non si comprende perché le manovre finanziarie abbiano infierito sulle professioni con la imposizione di limiti di ogni tipo, inaugurando una stagione dirigista che esprime una linea del tutto opposta a quella pubblicizzata. Il legislatore italiano ha trasferito competenze del Consiglio nazionale forense al potere esecutivo; ha rimodellato il rapporto avvocato-cliente; ha inciso i codici deontologici stabilendone i confini per materia e per modalità operative; ha modificato le regole sull’accesso sottraendone il controllo agli Ordini; ha abolito alcune competenze degli Ordini, in particolare quelle volte a valutare la congruità del compenso. Questo eccesso di misure ha ridotto le garanzie dei cittadini”.
Per Alpa “Il quadro giuridico che si sta delineando nel nostro Paese in materia di professioni è unico in Europa, in contrasto con le direttive e con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea”. Il Parlamento europeo invoca invece una Avvocatura (Risoluzione 23 maggio 2006) indipendente, senza conflitti di interesse, che vede tutelato il segreto professionale.
L’attentato più grave è perpetrato con l’introduzione di società di capitale tra i professionisti: lo schema di regolamento ministeriale non reca alcun limite ai poteri gestionali di soci non professionisti, non prevede espressamente che la società tra professionisti non possano fallire o possano accedere alle norme sul sovraindebitamento. Anche gli aspetti fiscali sono carenti, rileva il presidente del Cnf, suggerendo che sarebbe opportuno chiarire che i redditi prodotti dalle società tra professionisti costituiscono redditi di lavoro autonomo e se il socio di capitali debba essere una persona fisica o anche una persona giuridica. Tutti profili di incongruità che il CNF ha segnalato alle Istituzioni competenti e che dovranno essere considerati nella redazione definitiva dei testi.
La riduzione del ruolo della difesa. Nel passare in rassegna gli interventi normativi sulla giustizia, Alpa ha sottolineato come “la parossistica idea di riduzione dei costi ha finito per ridurre il ruolo dell’avvocato nel processo, con una linea economicistica di dubbia costituzionalità e contraria ai principi espressi dalla Carta Ue dei diritti fondamentali. Si cerca di contenere il ruolo dell’avvocato, quasi che non si trattasse più di un necessario intermediario e del più valido collaboratore del giudice, ma di un personaggio eventuale, se non secondario in un processo che è dominato dal giudice”. E’ rimasta aperta la questione della equiparazione dei ruoli tra accusa e difesa.
Si sono introdotti espedienti, ricorrendo a molteplici modificazioni del codice di procedura civile, non sistematici ma “erratici” per la diminuzione dei termini per ridurre la durata del processo, la introduzione di sanzioni a carico dell’avvocato in caso di inesatta applicazione delle regole, termini di prescrizione e di decadenza, che hanno reso molto più complesso il ruolo del difensore. Per non parlare della mediazione: si è condizionato il processo a una fase conciliativa obbligatoria, dinanzi a conciliatori o mediatori non professionali, senza necessità di avvalersi di un avvocato. Alpa ricorda che “l’avvocatura crede fermamente nella giustizia alternativa ma con uguale fermezza è convinta che il suo successo passi attraverso la libera e consapevole scelta dei litiganti e di una sistema di giustizia togata affidabile ed efficiente”. Il Cnf peraltro ha contribuito a diffondere la cultura della conciliazione volontaria e dispiegato un notevole impegno per formare gli avvocati che difendono gli assistiti nei procedimenti di conciliazione obbligatoria e gli avvocati che intendono svolgere attività di conciliatore (gli gli Organismi di conciliazione istituiti presso gli Ordini forensi sono 107 e altri 20 sono in attesa. Dal 21 marzo 2011 al fine aprile 2012, i procedimenti definiti da questi Organismi sono stati 14.394, con un tasso di successo dei tentativi di conciliazione pari al 34, 5%, ndr).
La revisione della geografia giudiziaria si è tradotta nella soppressione dei tribunali minori, che pure assicurano la c.d. giustizia di prossimità, perché costituiscono una eccessiva spesa pubblica senza controllare voce per voce ma annullando la supposta fonte di spesa; si sono ridotti i riti processuali (ma in modo così contorto che nella sostanza i riti si sono moltiplicati), si è proposto di ridurre i gradi del processo, e persino le ragioni di accesso alla Corte di Cassazione; si sono ancora quadruplicati i costi per l’instaurazione delle cause. “Questa linea economicistica, che ritengo in contrasto con i principi costituzionali, appare anche in contrasto con i principi espressi della Carta europea dei diritti fondamentali, che proprio alla giustizia, e quindi all’avvocato, dedica importanti disposizioni. “
Le riforme in materia di giustizia. L’effetto finale di tutti i più recenti interventi è stata definita da un autorevole studioso di diritto processuale civile una “giustizia incivile”. Le disposizioni sono estremamente volatili; e abdicano al principio di coerenza. “ Anche per un avvocato è difficile inseguire gli interventi a raffica diretti a modificare questa o quella norma del codice di procedura civile”, dice Alpa. L’unificazione dei riti, con l’ambizione di ridurre da trenta a tre i modelli procedurale, ne ha aumentati a 35; si riducono i tempi del processo tagliando gradi, fasi, il testo delle sentenze; si puniscono i cittadini per gli “errori professionali” (condanna per lite temeraria, sanzioni per il mancato tentativo di conciliazione, sanzioni per l’esito negativo della istanza in appello per la sospensione degli effetti della sentenza impugnata, sanzioni per l’eccessiva durata del processo, sanzioni per la declaratoria di inammissibilità del ricorso e così via).
I dati su Procedimenti disciplinari e Esami. Nel corso del 2011 si sono tenute 33 udienze, sono stati esaminati 299 ricorsi e decisi 234, pari al 75% dei ricorsi esaminati, di cui 93 si sono conclusi con il rigetto (41,5%), 73 con declaratoria di inammissibilità (32,5%), 15 parzialmente accolti (6,5%) e 32 accolti (14,5%); quanto alle sanzioni disciplinari, che hanno costituito quasi il 61% dei ricorsi decisi (con 137 decisioni) e il 46% dei ricorsi complessivamente esaminati, è stata comminata in 5 casi la radiazione (4%), in 14 la cancellazione (10%), in 43 la sospensione (31,5%), in 31 la censura (23%) e in 28 l’avvertimento (20,5%). I ricorsi pendenti alla fine del 2011 erano 396.
Nel primo semestre del 2012 sono stati già decisi 91 ricorsi.
Quanto agli esami di abilitazione, gli ultimi dati completi riferiti al 2010 parlano di una contrazione del numero degli idonei: poco meno del 24% dei partecipanti (7.969 su 33.403 candidati presenti agli scritti); nel 2009 la percentuale è stata del 31,43. I Cassazionisti iscritti al 31 dicembre 2011 sono oltre 50.700