Tra i calanchi brulli si erge un’isola dove il tempo si è fermato: la chiamano “la città che muore”.
Civita di Bagnoregio si aggrappa faticosamente alla collina di tufo che la ospita, l’unica ancora in piedi, tra lo sprofondare piatto di quanto la circonda.
Frane ed erosioni, visto il terreno argilloso che la sorregge, sono il pericolo principale per quei pochi abitanti rimasti e consapevoli che le loro case sono destinate inesorabilmente a crollare, al ritmo di 7 centimetri l’anno.
Un posto così, fiabesco e precario, sembra uscito dalla penna di Calvino.
Ma altro che “Le Città Invisibili”, Civita di Bagnoregio svetta maestosa e suggestiva da qualsiasi angolazione.
Il paesino, in cui riconoscerete il borgo che fa da sfondo allo spot delle confetture Santa Rosa, è raggiungibile soltanto mediante un ponte pedonale nei pressi del quale troverete diversi parcheggi a pagamento.
Le tariffe non sono esose ma disponete anche di una seconda opzione: posteggiare gratuitamente a Bagnoregio e raggiungere Civita in una ventina di minuti a passo sostenuto.
Percorrendo il ponte vi accorgerete che a tratti si presenta abbastanza ripido ma, gambe in spalla e macchina fotografica alla mano, una volta giunti a destinazione ne sarete ripagati.
Vi accorgerete subito, infatti, che questo è uno dei rari casi in cui il patrimonio storico culturale italiano è ben lungi dall’andare in malora.
Il borgo, un vero e proprio museo a cielo aperto, si presenta minuziosamente curato e le sue dimensioni ne consentono una visita approfondita nel giro di un paio d’ore massimo.
A dare il benvenuto è la Porta di Santa Maria con un arco in peperino e una loggia sormontarla.
Ai suoi lati, due leoni realizzati in bassorilievo brandiscono tra gli artigli una testa umana: è un monito a non sfidare gli abitanti della cittadina, che vi aggiunsero questo particolare in ricordo della loro vittoriosa rivolta popolare contro i Monaldeschi di Orvieto.
Varcata la porta, si apre uno spiazzo su cui si affastellano palazzi signorili e edifici più modesti ascrivibili al periodo medievale e rinascimentale.
Proseguendo per un percorso sostanzialmente obbligato, sbucherete in Piazza San Donato.
Salta subito all’occhio l’assenza di pavimentazione, al posto della quale vi è un misto di breccia e terriccio.
Vi si affaccia Palazzo Alemanni, costruito in epoca rinascimentale e oggi sede del Museo Geologico e delle Frane, che racconta la storia di questa corsa contro il tempo.
Le case si stringono intorno alla Chiesa consacrata al santo che dà il nome alla piazza, una basilica romanica (forse costruita sui resti di un tempio pagano) in cui si può ammirare un affresco della scuola del Perugino.
La principale attrazione di questo ex- Duomo è però un crocifisso ligneo riconducibile agli allievi di Donatello.
Sembra che quest’oggetto sacro abbia contribuito a debellare l’epidemia di peste che colpì Civita nel 1499 e ancora oggi è portato in processione nella sera del Venerdì Santo nella vicina Bagnoregio, in cui il crocifisso può restare tassativamente solo fino a mezzanotte.
La piazzetta è teatro, nella prima domenica di Giugno e di Settembre, del Palio della “Tonna”, festività di retaggio medievale in cui le contrade bagnoresi gareggiano a cavallo di asini.
Dalla piazza principale si diparte una manciata di viuzze ricche di profferli ornati di fiori tra le quali viene voglia di vagabondare sino ad arrivare a strapiombo sui Calanchi.
Una di queste strette stradine vi porterà al Belvedere di Peppone: il terrazzo di una casa che offre la migliore vista sul panorama circostante.
In cambio di un’offerta all’anziano signore che la abita e che è solito richiamare l’attenzione dei turisti, potrete avervi accesso.
È invece gratuito l’ingresso a quella che è nota come la casa di San Bonaventura (teologo e filosofo di fama universale, nativo della cittadina).
Nei pressi dei resti di un convento francescano (crollato in seguito al terremoto del 1764), essa è in realtà una tomba a camera etrusca, anch’essa sul limitare del terreno già inghiottito dalla valle.
La storia di Bagnoregio infatti inizia proprio 2500 anni fa con la fondazione etrusca e di questa prima fase sono ancora visibili altri reperti come una piccola necropoli etrusca e il “Bucaione”, un tunnel che conduce dal villaggio ai calanchi.
Immersi in questa pace tra il tufo dorato, il verde di giardini ubertosi e botteghe in cui si svolgono ancora antichi mestieri, sarà bello rifocillarsi in uno dei tanti ristorantini dall’atmosfera casalinga ed intima di fronte a un bel bicchiere di vino e al piatto tipico del posto: le fettuccine con sugo di frattaglie di pollo.