“L’Italia deve favorire l’acquisto della cittadinanza per gli atleti stranieri che si sono distinti per alti meriti sportivi” ha detto qualche giorno fa la ministra delle Pari Opportunità e Sport, Josefa Idem, alla Commissione Cultura della Camera.
Una proposta di dare la cittadinanza per particolari meriti a chi è campione nello sport. Balotelli per esempio ha dovuto aspettare i 18 anni. L’ucraina Dariya Derkach, saltatrice, è diventata cittadina da poco. Tra questi, attendono di poter diventare cittadini fuoriserie dell’atletica come Yassine Rachik, di origini marocchine, tra i migliori in Europa sui 5000 metri. E poi Razine Marouan, Eusebio Haliti, Hassane Fofana…
L’idea non è nuova. Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, nel 1994 premiò il croato Ratko Rudic, commissario tecnico della pallanuoto azzurra. L’ha poi rilanciata Pescante nel novembre 2012, alla fine del Governo Berlusconi, sapendo ovviamente che non avrebbe mai avuto alcun seguito.
Quanto proposto da Josepha Idem rientra – in questo momento storico in particolare – in un qualcosa di ben più ampio e complesso come l’attribuzione di cittadinanza a chi nasce sul suolo italiano, già sollevata dalla ministra Cécile Kyenge, ossia la questione riguardante lo Ius soli.
Non si può però essere espressione di un governo di sinistra (al contrario di Mario Pescante, ex presidente del Coni e sottosegretario alla Cultura con delega allo sport del governo Berlusconi e poi deputato PDL) e soprattutto non si può – ancora una volta- rappresentare il dicastero delle Pari Opportunità e lanciare un’idea così ispirata a principi di disuguaglianza e discriminazione. E’ vero, la ministra ha lanciato la proposta nell’ambito delle politiche dello Sport. Ma allora perché chi si occupa di sport e si deve occupare di Pari Opportunità? Quale sarebbe il nesso?
La prestanza fisica – e l’opportunità per l’Italia di incassare medaglie d’oro – sarebbero dunque la via per un riscatto. Per non essere cittadino di serie b, si deve avere bei muscoli e un gran fisico. E siccome sei straniero, devi essere campione.
In un momento come questo peraltro in cui immigrazione e razzismo si saldano costantemente allo sport, non poteva essere pensata cosa più razzista, basata sulla potenza del corpo, sulla sua disciplina e sul talento naturale.
La Francia intende cancellare la parola “razzista” dall’apparato legislativo, proprio per impedire che l’esistenza della parola nella legge (e nella Costituzione) legittimi l’esistenza della “razza”, che non ha nessun fondamento scientifico ma è invece un’invenzione culturale. E se l’abolizione di questa parola è molto dibattuta e discussa nel parlamento francese, di sicuro, è sempre meno frequente nei quotidiani progressisti una classificazione degli individui in base alla provenienza o alla religione, contrariamente che da noi dove nel titolo c’è “africano, marocchino, cinese…”. Questo ovviamente non allontana la Francia dalla minaccia lepenista e dal razzismo nella vita quotidiana, ma almeno, contrappone all’aria dei tempi un blocco di critica a queste derive e lo immette nel dibattito quotidiano.
In Italia il principio di uguaglianza non sembra nemmeno percepito. Nessuno nei media si è sognato di commentare l’assurda proposta di Josepha Idem. Semmai qualche obiezione riguardava l’opportunità di far diventare cittadini dei figli di immigrati “così tutte le africane verranno a partorire in Italia” diceva un lettore di un quotidiano on line.
E se il merito – sportivo – vorrebbe essere il criterio per acquisire la cittadinanza secondo Josepha Idem, ministra delle Pari Opportunità (!) colui che, essendo nato in Italia da genitori stranieri è invece brillantissimo in tutte le materie a scuola, o ha delle straordinarie capacità artistiche, perché dovrebbe rimanere escluso dal concetto di merito che dà la cittadinanza?
Ma soprattutto, come si può ancora oggi avere delle idee così confuse del merito e connetterlo non all’ascensore sociale bloccato da anni, ma con i diritti civili?
C’è qualcosa più fascista di questo?
Nell’ambito della stessa giornata, alla commissione Cultura Idem ha detto:
“Non possiamo più tollerare che degli atleti, amatori e agonisti, non possono accedere a palestre per colpa di barriere architettoniche. Nel 2013 questo non è più accettabile. Per un paese civile non devono esistere gli atleti e le atlete diversamente abili: esistono gli atleti e le atlete».
Avendo appena affermato il principio appunto di abilità sportiva e di diritto alla cittadinanza. Esisterebbero dunque dei diversamente cittadini.
Ma il punto è anche un altro e sta tutto nella falsa idea di merito ripetuta come un mantra quando l’unica cosa che davvero non si fa ormai da anni è dare spazio alle competenze.
E cosa c’entravano le Pari Opportunità con lo Sport? Non doveva essere quello un ministero annesso al lavoro?
E non averlo capito rappresenta proprio il Pd : la medaglia, il nastro, la quota rosa, la donna olimpionica, la manifestazione contro la povertà, la promozione dei diritti con un bel convegno, la convenzione di Istanbul.
Niente di più falsamente progressista e tragicamente inutile.