Confronto al Senato sullo stato delle relazioni italo-cinesi: “Il Partenariato Strategico Globale può sostituire le opportunità della BRI?”
“Superare le difficoltà dettate dalle circostanze del momento, mantenendo un serrato dialogo con gli attori coinvolti, mediando le esigenze di tutti”.
E’ questo l’obiettivo che intende perseguire la senatrice Ada Lopreiato, del Movimento Cinque Stelle, nell’ambito del suo mandato di presidente della sezione bilaterale del Gruppo di amicizia Italia-Cina dell’UIP, l’Unione Interparlamentare.
Lo ha sottolineato intervenendo giovedì 28 settembre alla tavola rotonda tenutasi presso il Senato, nella Sala dell’Ex Barberia, in cui esperti e parlamentari si sono confrontati sul tema “Il futuro delle relazioni italo-cinesi. Il Partenariato Strategico Globale può sostituire le opportunità della Nuova Via della Seta?”.
La questione – di grande attualità alla luce della volontà del governo e della maggioranza di centro-destra di non rinnovare alla scadenza il Memorandum di adesione alla Belt & Road sottoscritto nel 2019 dal governo giallo-verde con la Repubblica Popolare Cinese – riveste una notevole importanza nell’attuale scenario internazionale, caratterizzato da una parte dalla ricostituzione di blocchi di paesi contrapposti e dall’altra da una crisi complessiva del sistema economico globale.
Secondo Marco Bettin, direttore generale dell’Italy China Council Foundation, nella cultura cinese “la faccia, la credibilità, sono fondamentali ed è per questo che ritirarsi da un simile accordo non ci fa fare una bella figura”, eppure la situazione non è irrecuperabile. La Cina ha investito, e continua investire, ovunque, anche in quei paesi che non hanno aderito alla BRI (Belt and Road Initiative), anche se l’accordo con un paese del G7 come l’Italia aveva un alto valore simbolico. L’apertura verso Roma, tuttavia, rimane, tanto è vero che proprio Pechino avrebbe proposto di inquadrare le future relazioni nell’ambito di un rafforzamento del Partenariato Strategico Globale siglato nel 2004 dal governo Berlusconi. Per Bettin, nel futuro, il perno della relazioni italo-cinesi dovranno essere le aziende, affinchè si possa “mantenere e approfondire il dialogo su progetti concreti e immediatamente realizzabili”.
Il presidente di Vision and Global Trends, Tiberio Graziani, ha evidenziato, da parte sua, come l’uscita dal Memorandum dell’Italia segnerà una “battuta d’arresto” nelle relazioni con la Cina, causata “dal vincolo esterno cui è soggetta la nostra politica estera”, ovvero l’appartenenza al blocco occidentale a guida statunitense. Anche secondo Graziani, tuttavia, la battuta d’arresto che si consumerà nei prossimi mesi non determinerà una crisi irreversibile delle relazioni tra i due paesi, grazie soprattutto alla “comprensione” dimostrata dai dirigenti cinesi nei confronti di un paese come l’Italia fortemente condizionato, proprio dal vincolo esterno, nella sua capacità di manovra sullo scenario internazionale, che tuttavia “potrebbe essere ampliata senza rompere gli equilibri dalla nostra diplomazia e dai nostri governi, come già avvenuto in passato”. In questo senso, l’utilizzo della cultura come volano potrebbe essere un formidabile terreno d’incontro anche con le realtà estranee, se non contrapposte, al cosiddetto Occidente allargato.
Anche il giornalista Thomas Fazi ha ribadito come la decisione, che presumibilmente sarà sancita dal Parlamento nelle prossime settimane, di non rinnovare l’adesione alla BRI, sia una scelta eminentemente politica, che poco ha a che fare con i risultati economici conseguiti dall’Italia in seguito alla sottoscrizione del Memorandum. “E’ grave rinunciare ad un accordo di amicizia con la Cina – ha affermato Fazi – tanto più oggi che il blocco atlantico non sembra essere militarmente ed economicamente forte come un tempo”. “Il sodalizio BRICS+ – ha continuato Fazi – si sta evolvendo velocemente e oggi conta oltre il 50% della popolazione mondiale e un Pil superiore a quello del G7”. “L’Occidente – ha proseguito – pensava di isolare la Russia, ma ha finito per isolare sé stesso. L’impero americano è in declino e legarsi a filo doppio con esso è un suicidio politico ed economico per l’Italia e per l’Europa”. “La neutralità sarebbe una scelta molto più saggia”, ha concluso.
Anche l’ex ambasciatore italiano a Pechino Alberto Bradanini sembra vederla così: “Non è una colpa aderire, come invece viene rappresentato. L’Italia rimane rallentata nel perseguire i propri interessi, mentre gli altri Stati non si fanno scrupoli di andare a Pechino e progettare investimenti e rapporti più approfonditi. Noi, invece, non ci riusciamo, siamo troppo vassalli”.
“I cinesi hanno capito che non siamo perfettamente autonomi – ha confermato il professor Fabio Massimo Parenti – e per questo hanno riesumato il partenariato del 2004, per continuare a mantenere i rapporti con l’Italia”. “Cina e Italia – ha ricordato Parenti – hanno firmato 64 trattati sulle più svariate materie, anche in ambito UE. L’UE stessa è il primo attore a mantenersi aperto con la Cina. Il partenariato, quindi, ha una sua logica temporale e continuativa. Il percorso storico Italia-Cina è stato sempre apolitico, tutti i governi hanno siglato accordi con loro”. E, in merito alla cosiddetta “Via del Cotone” lanciata da Washington in alternativa alla Via della Seta, nel tentativo di attenuare il riavvicinamento di India e Cina, favorito dallo sviluppo della piattaforma BRICS, se è vero, secondo Parenti, che “l’Occidente cerca di deglobalizzare l’economia per evitare l’emergere di nuove potenze, per Pechino, invece, c’è sempre stata la speranza che la Via della Seta fosse un esempio, per cui l’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), in realtà, è ben visto dai cinesi, perché non lo leggono in chiave competitiva, ma come un successo della loro progettualità”.
In conclusione, sebbene grazie al pragmatismo cinese sarà possibile riorganizzare le relazioni bilaterali su basi nuove, resta il fatto che, come rimarcato dal senatore Luigi Nave (M5S), stando alle dichiarazioni del governo e del Ministro degli Esteri Antonio Tajani rilasciate durante la recente visita in Cina, l’Italia “rinuncerà a partecipare ad un progetto di ampio respiro che avrebbe potuto portare investimenti, soprattutto in infrastrutture, ovvero ciò di cui il nostro paese maggiormente abbisogna viste le scarse risorse disponibili, per sostituirlo con il potenziamento di un accordo incentrato soprattutto sul rafforzamento dell’interscambio commerciale”. Un respiro di sollievo per le imprese italiane, ma un’occasione persa per la comunità nazionale nel suo complesso, che dovrebbe essere compensato dall’adesione all’IMEC, che per il momento, a differenza della BRI, resta un progetto annunciato i cui contorni sono ancora tutti da definire.