Choosy è senza dubbio la parola della settimana. Fino a qualche giorno fa era uno sconosciuto vocabolo inglese come molti altri, poi, improvvisamente ha fatto irruzione nella nostra vita portando con se aspre polemiche e infiniti dibattiti in tv e sui giornali.
Tutto ha inizio tre giorni fa ad un convegno di Assolombarda, a Milano, dal titolo “Riqualificare e ricollocare: esperienze a confronto per nuove prospettive”, dove il Ministro del Lavoro Elsa Fornero, principale relatore della giornata, è incespicata nell’ennesima dichiarazione infelice che stavolta ha fatto infuriare proprio tutti. A proposito dei giovani e della ricerca, sempre più difficoltosa di un posto di lavoro, la Fornero ha dichiarato, con la consueta schiettezza: “Non devono essere troppo choosy (esigenti, più che schizzinosi ) nella scelta del posto di lavoro. Lo dico sempre ai miei studenti: è meglio prendere la prima offerta di lavoro che capita e poi, da dentro, guardarsi intorno, non si può più aspettare il posto di lavoro ideale, bisogna mettersi in gioco”. L’indignazione per le parole del Ministro parte immediatamente sul web: da Twitter e da tutti i principali social network arriva una pioggia di critiche istantanea seguita, dopo poche ore, da un’accesa contestazione, questa volta dal vivo, durante un incontro pubblico in Piemonte dove la Fornero si era recata dopo l’infausto discorso. Il giorno dopo, sul Corriere della Sera il Ministro ha spiegato, in una lettera aperta al quotidiano, che “le affermazioni che mi sono state attribuite sono l’esatto contrario di quanto da me affermato”. Troppo tardi, la polemica divampa da giorni, esacerbata da una crisi sempre più nera.
Harvard chiama Italia
Da tempo la Fornero ci ha abituato alle sue uscite non proprio “sobrie”: dalle lacrime per la riforma delle pensioni, al lavoro che non è “un diritto”, fino alle recenti “paccate di miliardi” e “giovani troppo choosy”. Consigliare a dei ragazzi, appena usciti dall’università, di iniziare a fare esperienza nel mondo del lavoro, accontentandosi delle offerte disponibili, di per sé, è un consiglio di buon senso . Chi non sarebbe d’accordo? Sicuramente anche in questo caso i massmedia ci hanno messo del loro per montare la polemica, tuttavia è evidente che la Fornero ha di nuovo dimenticato di svestire i panni della professoressa intenta a dare consigli di vita ai propri studenti. Con una disoccupazione giovanile al 36%, che al sud sfonda quota 40%, ai massimi dal 1993, e con delle prospettive anche peggiori per il 2013, nessun Ministro, consapevole del suo ruolo, avrebbe potuto dimenticarsi che, quando parla, lo ascolta tutta l’Italia e non una classe di universitari della Bocconi. Certo la Fornero non è un politico, è un “tecnico” e spesso sembra essere affetta da quella sindrome di distacco della realtà che in questi anni è dilagata fra buona parte della classe dirigente italiana. L’immagine evocata dalla Fornero, di un Paese dove si inizia dal basso, dopo gli studi, accontentandosi di lavori umili per poi lanciarsi in una inarrestabile scalata sociale, semplicemente non esiste, o meglio non è l’Italia di oggi. Probabilmente l’inglesismo adoperato dalla ministra tradisce la convinzione che il nostro Paese sia diventato improvvisamente, da quando è governato dai tecnici, una succursale di Harvard dove dispensare una serie di buoni consigli in salsa altoborghese.
Il Paese è reale
Ma l’Italia non è Harvard è soprattutto non ha un mercato del lavoro come quello degli Stati Uniti o dei paesi anglosassoni, dove con un po’ di fortuna e con delle buone capacità c’è ancora la possibilità di salire sulla famosa “ascensore sociale” e passare dal classico “lavoretto” a un impiego soddisfacente e in linea con le proprie aspirazioni. I dati di una ricerca realizzata dall’Istituto Demòpolis, per conto dello Ial Nazionale – Innovazione Apprendimento Lavoro e della Cisl, dimostrano che il 71% dei giovani, sarebbe disposto a fare qualsiasi lavoro, a patto che sia retribuito (condizione oggi non più scontata). Secondo un altro studio dell’Istituto Tonioli e dell’Università Cattolica, il 45% dei giovani che lavorano non è soddisfatto del proprio lavoro, ma si adegua accettando stipendi più bassi rispetto a quanto considerato adeguato e si adatta a occupazioni che non rispondono alle proprie aspettative e non coerenti con il titolo di studio (47%). Altro dato inquietante che emerge da tutte le analisi effettuate negli ultimi anni è la sempre maggiore propensione degli italiani a cercare lavoro per canali legati alla famiglia o alle conoscenze (il 78% secondo il rapporto “Methods used for seeking work” di Eurostat).
Conviene ancora lavorare?
Sarebbe dunque opportuno che anche i “tecnici” ogni tanto facessero una full immersion nelle sensate esperienze, per dirla alla Galileo (visto che ultimamente gli piace citarlo a sproposito). La realtà del lavoro giovanile in Italia, è molto diversa da quella, astratta, descritta dalla Fornero. Ci si accontenta di tutto durante e subito dopo gli studi: call centre, fast-food ma invece dell’ “opportunità migliore” paventata dal ministro, nella stragrande maggioranza dei casi arriva, dopo alcuni mesi, la fine del contratto e ci si ritrova punto e a capo, di nuovo ad accontentarsi, con salari sempre più bassi fino ad arrivare all’assurdità concettuale di lavorare gratis per accumulare “esperienza” che, se inizialmente è troppo poca, in un batter d’occhio diventa troppa e si è “troppo qualificati”. La verità è che conviene a tutti che il mercato del lavoro sia così: per un ragazzo troppo choosy ce ne sono 10mila disposti a tutto. Oggi, nel nostro Paese, paradossalmente, ai giovani non conviene più lavorare: con uno stipendio di 5-600 euro ci si paga a stento l’affitto di una stanza in una grande città e si sottrae tempo alla ricerca di un posto di lavoro qualificato. Chi è stato choosy, negli ultimi anni ha lasciato l’Italia andando spesso a svolgere, all’estero, un lavoro per il quale era qualificato e contribuendo alla crescita, non solo economica, del Paese ospite. Dopo dieci anni e più, in cui il mercato del lavoro in Italia è stato letteralmente paralizzato, tutti hanno vissuto all’insegna del “chi si accontenta gode”, e oggi ci si ritrova oggi con condizioni di lavoro ancora più precarie e sempre meno retribuite, fino ad arrivare al paradosso di potersi considerare fortunati se si è pagati per il lavoro svolto. Probabilmente è giunto il momento di diventare un Paese molto più esigente sotto tutti i punti di vista, molto più choosy.
Basta accontentarsi del lavoro nero, del lavoro precario, di una classe dirigente mediocre e antiquata, di un sindacato che ha abbandonato una intera generazione a se stessa, di scendere a patti con le mafie e di tollerare una politica fatta da rubagalline o da “tecnici” poco attenti al Paese reale. Suggerire oggi, ai giovani italiani di “accontentarsi” equivale, letteralmente, a diffondere una vera e propria “morale degli schiavi”, mentre in realtà, non si uscirà dalla crisi se non sulle gambe di una nuova generazione. Proprio i più giovani, in cui si esprime il massimo della vitalità e della forza biologica, dovrebbero evitare di “accontentarsi” e aspirare al meglio. Se si aspira al massimo magari si otterrà almeno qualcosa. Dopo l’infelice uscita della Fornero a Milano, sul web è scattato immediato il paragone fra l’invito ai giovani ad “accontentarsi” del Ministro del Lavoro italiano e un analogo discorso tenuto da Steve Jobs davanti ad una platea di neolaureati : il fondatore della Apple invita i ragazzi a essere “folli” e affamati, in poche parole a non accontentarsi. Certo Steve Jobs non era un santo, né un politico né tantomeno un tecnico, tuttavia ha creato, quasi dal nulla, una realtà produttiva che oggi ha un Pil più alto di quello della Svizzera; se fosse nato in Italia, si sarebbe “accontentato” e probabilmente starebbe lavorando ancora in un call centre, come vuole la dottrina della vecchia (in tutti i sensi) classe dirigente italiana.