Mentre la rivista francese Charlie Hebdo torna in edicola con le sue vignette, per alcuni dissacranti e per altri offensive o semplicemente poco divertenti, quel che è certo è che il massacro dello scorso 7 gennaio nella redazione parigina del giornale ha avuto come principale effetto la diffusione mondiale delle vignette contestate, tanto che il nuovo numero è stato distribuito in 16 lingue diverse, con una tiratura di 5 milioni di copie.
Se l’obbiettivo del bieco attacco era quello di mettere a tacere la satira, i terroristi hanno certamente raggiunto l’effetto opposto trasformando gli sventurati disegnatori di Charlie Hebdo, contro la loro volontà, in veri e propri martiri della libertà d’espressione: evidentemente ogni tempo ha i martiri e i carnefici che si merita e, anche da questo aspetto, si rivela lo scarso livello di pianificazione del tremendo atto omicida che ha sconvolto la Francia. I due fratelli franco – algerini, Saïd Kouachi e Chérif Kouachi insieme a Amedy Coulibaly, che ha seminato morte e paura prima nella zona di Montrouge e poi all’interno del supermercato ebraico Kosher mentre i primi due sterminavano la redazione di Charlie, erano affiliati ad a una cellula jihadista esistente da tempo nella capitale francese e, a parte alcuni soggiorni in Yemen per l’addestramento terroristico, erano nati e cresciuti a Parigi.
Benché provenienti da ambienti sociali non certo facili, i tre erano francesi al 100 per cento: prima della conversione all’Islam radicale avevano un passato da piccoli criminali di periferia, figli del disagio e dell’esclusione sociale delle banlieue parigine, poi, ad un tratto, si sono trasformati in spietati carnefici capaci di compiere una tremenda mattanza per le strade di Francia. Al di là delle polemiche sulla facilità con cui tre, già noti da tempo ai servizi segreti e tutt’altro che impeccabili nel mettere in atto il folle piano omicida, siano riusciti a tenere sotto scacco un intero Paese per ben due giorni, ciò che salta all’occhio nella tragica vicenda è proprio la nazionalità dei tre attentatori. Finiti i tempi degli sceicchi del terrore e dei mujaheddin iracheni o afgani, a terrorizzare le città occidentali sono oggi “i terroristi della porta accanto” , come i fratelli Kouachi: ragazzi nati e cresciuti nei Paesi europei nell’era di Schengen e della globalizzazione che ora si rivoltano contro il loro stesso mondo, aderendo all’ideologia del terrore islamista. Si tratta dei famosi “foreign fighters”,ragazzi occidentali partiti per combattere, in Siria e negli altri scenari di guerra, che si uniscono alle formazioni estremiste. Tornati in patria iniziano spesso a pianificare attacchi terroristici sul suolo natio. Sarebbero quattro i “foreign fighters” italiani che si troverebbero ancora nei vari teatri di guerra all’estero.
Tutti giovani, di cui uno morto in Siria lo scorso anno, partiti per unirsi alla folle “guerra santa” proclamata dall’Isis contro l’Occidente. La domanda è dunque perché? Perché l’estremismo islamico sembra diventato improvvisamente così attrattivo per i cittadini di quegli stessi popoli che sogna, invano, di annientare?
Estremismo islamico e lotta di classe
La spiegazione è da ricercare nella trasformazioni avvenute negli ultimi decenni. Nell’Europa secolarizzata della fine delle credenze, sia religiose che politiche, a occupare tutto lo spazio ideologico è rimasto, negli ultimi vent’anni, soltanto il “Mercato” che, ad un certo punto ha iniziato a declinare se stesso al plurale e così abbiamo finito per rincorrere, senza per altro averne alcun beneficio pratico, i voleri e i capricci dei mercati, sacrificando sul loro altare secoli di storia, idee e valori.
Lo stesso mondo dell’istruzione in Germania, Francia, Inghilterra e oggi anche in Italia, ha rinunciato a formare cittadini, donne e uomini, preferendo dedicarsi ad “addestrare” personale per un mercato del lavoro che poi si è scoperto essere del tutto, o quasi, evaporato. Quello che sta avvenendo oggi sotto i nostri occhi è l’occupazione, da parte dell’Islam radicale, dello spazio delle rivendicazioni di “giustizia” sociale, spazio lasciato vuoto dalla politica dopo il crollo delle ideologie del ‘900. Prima c’erano i partiti di sinistra o estrema sinistra a coagulare la protesta e le rivendicazioni sociali oggi non ci sono più e quel terreno da gioco è occupato dalla nuova ideologia islamista. Un’ideologia che ha in sé un forte richiamo all’equità sociale e alla redistribuzione.
La stessa religione islamica, in realtà, è fondamentalmente legata a doppio filo con l’azione politica perché, se si va alle sue origini, si scopre che Maometto era a tutti gli effetti un capo politico e anche militare oltre che, ovviamente, religioso. Così nel 622 d.C. fu costretto ad abbandonare la Mecca riparando a Medina perché i magnati e i mercanti temevano che la nuova religione potesse sovvertire i rapporti socio-economici esistenti. Dopo l’egira (emigrazione) la Mecca viene riconquistata con facilità da Maometto e dai suoi seguaci attraverso quella che è senza dubbio un’azione militare e politica. In questa lotta iniziale probabilmente nasce anche il mito della guerra santa che ciclicamente trascina con sé alcune correnti poco o per niente moderate dell’Islam. È evidente che non c’è un solo Islam anzi probabilmente ce ne sono fin troppi però, resta da chiedersi se è possibile separare una religione dall’elemento sociale-politico che è il suo stesso fondamento.
Il “ritorno del sacro”
Le istituzioni laiche nate in Occidente sono una dato di fatto storico nato da un diverso rapporto fra religione e politica che tende a non mischiare i due campi tenendo distinti gli ambiti: nonostante le lotte “del” e “per” il potere che costellano la storia delle chiese cristiane, la strada indicata dal loro fondatore era, certamente, un’altra. Ritornare a riflettere sui fondamenti culturali dell’Europa vuol dire quindi anche analizzare razionalmente la sua specificità nei rapporti fra politica e religione che è un “unicum” nella storia umana e non un processo automatico a cui prima o poi pervengono tutti i popoli necessariamente. Credere che l’Islam sia solo ad un differente “stadio di sviluppo” è, quanto meno, presuntuoso: per la natura stessa del credo islamico potrebbe non arrivare mai un “Marsilio da Padova arabo”. Un’ipotesi molto probabile che bisogna iniziare a prendere in considerazione rivendicando, per l’Europa, le sue peculiarità storiche, religiose e culturali. Oggi la tecnocrazia burocratico-finanziaria ha occupato il posto lasciato vuoto delle rivendicazioni sociali: la politica non è più in grado di redistribuire diritti sociali e si limita ad ampliare quelli civili (unioni civili, matrimoni gay ecc.). Ma lo spazio lasciato vuoto dalla politica viene occupato, nuovamente, dall’estremismo religioso. Il problema dei terroristi islamici “fai da te” potrebbe dunque crescere a dismisura di pari passo con il retrocedere dei diritti sociali a cui stiamo assistendo. È chiaro che per invertire la rotta bisogna accantonare le politiche economiche e sociali che (non) si sono messe in campo negli ultimi dieci anni nel vecchio continente e riscoprire, mettendole a fondamento dell’Europa che verrà, le radici storico – culturali del continente per evitare un “ritorno violento del sacro” che, fino a qualche anno fa, tutti credevano definitivamente ridotto a fatto privato nell’ambito della sbandierata “Fine della Storia”. La Storia non è affatto finita ed il “sacro” risulta oggi un elemento determinante, in un modo o nell’altro, nelle dinamiche geopolitiche del nuovo millennio.
Del resto è ormai acclarato, tornando alle origini della cultura politica occidentale, che la polis dell’antica Grecia nacque e si sviluppò a partire dal santuario dedicato alla divinità greca di turno. Il primo luogo di aggregazione, di socializzazione e , quindi, di politica è dunque il tempio da cui poi nasce e si sviluppa la città – stato. Un elemento da tenere in considerazione prima di liquidare con troppa facilità le la cultura comune europea e soccombere all’estremismo religioso che torna a minacciare le nostre società ormai quasi completamente inaridite dall’ideologia e, a questo punto, dall’idolatria del mercato.