L’Epifania, si sa, tutte le feste porta via. Ma fino ad allora continueremo a trascorrere gran parte del tempo libero a tavola, tra una briscola e una tombolata passando di cenone in cenone. Perché per i menu delle feste non si risparmia.
Anzi, dovendo ridurre di necessità altre voci di spesa, in primis regali e viaggi, sul cibo non si scende a compromessi. Secondo i dati diffusi dalla Coldiretti, gli italiani, rispetto allo scorso anno, avrebbero persino incrementato del 10% le spese alimentari per un importo complessivo di circa 2,5 miliardi di euro. L’analisi condotta da Swg evidenzia inoltre che nel 54 per cento delle famiglie italiane la quantità di cibo avanzata è stata ridotta o modesta. Nel 21% delle case, addirittura, non sarebbe avanzato proprio nulla anche per effetto della crisi che ha spinto a contenere gli sprechi.
Nonostante la diffusione di questi dati, la fotografia dei consumi alimentari degli italiani rimane tuttavia alquanto sfocata. Quali sono le ragioni che hanno determinato un incremento del 10% delle spese alimentari? E’ lecito ipotizzare un ritorno di massa ai pranzi e ai cenoni preparati tra le mura di casa? Quanti hanno disertato quest’anno le tavole imbandite dei ristoranti? Gli italiani hanno scelto la qualità o la quantità? Hanno acquistato specialità gastronomiche dal prezzo più elevato o più semplicemente si sono ritrovati a sborsare di più rispetto allo scorso anno dato il carovita? Stando ai dati forniti da Coldiretti, si sarebbe infatti tentati di pensare: se gli italiani hanno speso di più, sprecando di meno, forse nel carrello della spesa hanno infilato meno prodotti, ma più cari, rispetto al passato.
Un’indicazione importante, e difficilmente confutabile, tuttavia dall’indagine emerge ed è quella relativa alla tendenza degli italiani a ridurre gli sprechi in cucina.
Attualmente poco meno di un terzo dei cibi in tavola nei cenoni finisce nella spazzatura; un quantitativo che, tradotto in costi, vale circa un miliardo e 200 milioni di euro su una spesa che Coldiretti ha stimato in 4,3 miliardi tra Natale, Santo Stefano e Capodanno. Ma il fenomeno non si esaurisce con le festività. Anche se in misura più contenuta, lo spreco di cibo rappresenta nella vita quotidiana una costante: i dati Fao relativi al 2011 parlano di poco meno di 1600 euro a famiglia su una spesa annuale di 5700 euro; lo spreco alimentare “vale” il 2,4% del PIL (a prezzi di mercato nel 2011) pari a circa 40 miliardi di euro. A contribuire al fenomeno vi sarebbero quattro fattori: acquisti eccessivi rispetto al fabbisogno, cattiva conservazione dei cibi, scarti eccessivi nella preparazione dei piatti e limitata propensione a riciclare gli avanzi.
Il dibattito tra gli esperti di alimentazione si concentra in particolare su quest’ultimo punto: l’utilizzo degli avanzi non è soltanto un rimedio per ovviare all’eccesso di cibo sulle tavola delle feste, ma una buona pratica da mettere in atto quotidianamente per risparmiare risorse (e di conseguenza denaro sonante). Tanto più che il fenomeno ha raggiunto dimensioni ragguardevoli a livello mondiale.
Nell’Europa a 27 la produzione annuale di rifiuti alimentari è di 89 milioni di tonnellate, 179 kg a testa. E le previsioni non sono rosee: nel 2020 il totale degli sprechi alimentari aumenterà del 40%, fino a raggiungere 126 milioni di tonnellate per anno.
Le dimensioni del fenomeno sono tali quindi da aver indotto il Parlamento europeo a introdurlo tra gli argomenti “caldi” della propria agenda già da qualche anno.
Il 28 ottobre 2010 durante i lavori della conferenza “Transforming food waste into a resource”, tenutasi presso il Parlamento Europeo a Bruxelles e organizzata dal Last Minute market, società con finalità di ricerca nata nel 1998 come spin-off dell’Università di Bologna, è stata presentata la “Dichiarazione congiunta contro lo spreco alimentare”. Illustrata a parlamentari e funzionari europei in presenza di organizzazioni non governative, giornalisti e membri della società civile, la Dichiarazione ha chiesto al Parlamento e alla Commissione europea di mettere in atto strategie e risoluzioni affinché lo spreco alimentare venga ridotto almeno del 50% entro il 2025.
Sulla base delle indicazioni previste dal documento è stata elaborata la Relazione su “come evitare lo spreco di alimenti: strategie per migliorare l’efficienza della catena alimentare nell’UE”, http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=REPORT&reference=A7-2011-0430&language=IT approvata dal Parlamento Europeo con larghissima maggioranza il 19 gennaio 2012. In questo contesto, per richiamare l’attenzione dei governi nazionali e per promuovere pratiche sostenibili di utilizzo del cibo, l’Unione Europea ha dato quindi il via libera per il 2014 all’“Anno europeo contro gli sprechi alimentari”.
Con questa decisione, che non si traduce per gli stati membri in un obbligo ma semplicemente in un invito, la UE promuove una serie di azioni che potrebbero avere di fatto interessanti risvolti sia per il pianeta, sia, molto più prosaicamente, per le tasche di molti cittadini.
Oltre infatti a diffondere una maggiore consapevolezza sul problema, attraverso corsi di educazione alimentare a livello scolastico e universitario per spiegare come conservare, cucinare e scartare gli alimenti, gli Stati membri potranno introdurre nuove forme di etichettatura con doppia scadenza, contenente sia la data di scadenza commerciale per indicare fino a quando il cibo può essere venduto, sia la data di scadenza per il consumo. In questo modo di fatto si va a limitare l’incertezza del consumatore riguardo la commestibilità o meno degli alimenti da acquistare e, conseguentemente, si riducono gli sprechi.
Per raggiungere tale scopo si potrà intervenire per migliorare l’uso degli imballaggi: viene incentivata l’offerta di confezioni di misura variabile, progettate in modo tale da mantenere il più possibile la freschezza dei prodotti e consentire ai consumatori di acquistarne solo la quantità richiesta.
La lotta agli sprechi, inoltre, potrà mettere d’accordo una volta tanto proprio tutti, consumatori e commercianti: gli alimenti prossimi alla data di scadenza potranno essere infatti distribuiti a un prezzo inferiore in modo tale da ridurre la quantità di merce invenduta.