Sono un po’ emozionato, lo ammetto. E’ passato esattamente un anno da quando ho cominciato a scrivere su Golem e una settimana fa ricevo da una cara amica divenuta un’assidua lettrice una richiesta.
Ohibò: vengo interpellato per un parere su di un programma: “Celi mio marito” in onda su Raitre. Questo è un lavoro per Andalù: sono diventato un supereroe per difendere la dignità dei teledipendenti parchè la televisione può essere cosa buona e giusta. Mi slaccio la camicia e una “A” fatta di peli esce prepotente a prendere una boccata d’aria… solco l’etere e mi imbatto… mi imbatto in qualcosa che in un universo evidentemente poco conosciuto deve avere un senso. In questo, ho percepito una sorta di posta del cuore molto radical chic ambientato, per motivi che afferiscono evidentemente al clima sobrio che il periodo di crisi impone e al quale la Rai si è ipocritamente sintonizzata, su di un terrazzo scenograficamente “popolare”.
“L’effetto Guardì” è destabilizzante … più di una volta ho avuto l’impressione che partisse una delle inconfondibili musichette o che spuntasse un Magalli e invece no, imperturbabile la conduttrice legge questi cinguettii proiettati su di un lenzuolo che fa tanto “trait d’union fra passato e presente” che forniscono spunti interessanti alla trasmissione del tipo: la competizione tra donne è vera, esiste o è un mito maschilista? Per avvalorare il tema, che in effetti ha spaccato in due l’attuale compagine governativa che non sa più su cosa spaccarsi, va in onda un video messaggio dove una giovane donna condivide con noi l’esperienza di un gruppo di amiche dove c’è un soggetto che, quando una del gruppo si fidanza fa la civetta, si butta addosso. La domanda, secca, mi ghiaccia il sangue nelle vene: fa parte della competizione che scatta tra donne o è l’insicurezza di questa amica che vuole avere conferma della sua femminilità? (Ma magari che sia un po’ zoccola? No, eh?)
Devo dire che grazie alla visione di questo programma ho vissuto l’esperienza definita del “corpo astrale”. Ho visto dall’alto il mio corpo immobile sul divano, ipnotizzato davanti allo schermo e levitare attorno alla mia testa delle lettere come la rappresentazione visiva di una sinapsi, di un pensiero: “MA STICAZZI?”. E’ durata solo un secondo ma è stato come nella scena di Matrix, quella dove Keanu Reeves schiva le pallottole.
Ma passiamo alla conduttrice: Lia Celi. E qui confesso la mia ignoranza: non sapevo chi fosse e quindi mi documento scoprendo che è una blogger di successo, ovviamente è una scrittrice ed è stata colonna portante di “Cuore” che ha allietato per anni le mie giornate da post adolescente fancazzista. Tanto di cappello: quel ragazzo che prendeva per il culo tutti sarà per sempre grato a quel progetto editoriale così innovativo ma la tv è un’altra cosa e l’imbarazzo che ho provato per quei silenzi, quell’incespicare, per quella lentezza e quella inutilità degli argomenti mi fanno pensare che la contaminazione degli ambiti si può praticare fino ad un certo punto e che non può sempre prevalere la logica della “parrocchietta”: Lia Celi sarà brava su carta e su twitter ma non lo è per fare un programma.
La signora sullo sfondo che realizza a mano un cappello con le strisce di giornale con una messa in piega “Capalbio style” si qualifica come art director di una agenzia di pubblicità in cerca di collocazione per la recente crisi. Eccola qua, la famosa crisi della sinistra. Poi arriva Barbara De Rossi per promuovere “Amore criminale”, altro programma della rete e il passaggio dal tema della competitività al femminicidio è stridente. Anche le marchette (intese come promozione), nel loro piccolo, hanno bisogno di una certa dimestichezza col mezzo: il cosiddetto “carpiato semantico”, il passaggio brusco da un argomento all’altro è uno specifico televisivo, non si può improvvisare, non è per tutti.
Il filmatino del gruppo corale sardo mi schiaffeggia in pieno volto: non solo non riesco ad intravedere la logica perversa del programma (ma lo è? Perché il significato stesso di “programma” implica, cito dal dizionario: la definizione dei propri intendimenti riguardo a un’attività, precisando anche modi e tempi di svolgimento e qui di tutto ciò si vede ben poco soprattutto per quanto riguarda i tempi) ma mi annoio anche mortalmente.
Ma il colpo di grazia me lo ha dato il logo del programma: una specie di bollino di colore ignoto/ignobile con tre lettere, decentrate e messe senza alcun criterio: “C M M”. La fantasia ha immediatamente prodotto senza alcuna remora un “ChiveMMuort” così, senza voler offendere, alla Andrea Pazienza.
Forse sto invecchiando e sono diventato brontolone ma i tempi stanno cambiando, le logiche stanno cambiando, la Rai sta cambiando: pagine storiche di TV vengono messe da parte con la scusa di far quadrare i bilanci (penso al recente tentativo di pre-pensionare il vicedirettore di Raiuno Daniel Toaff, il motore di “Vita in diretta”, da 20 anni corazzata inaffondabile del pomeriggio della rete ammiraglia) e intanto 20 minuti di palinsesto vengono affidati a Lia Cieli. Mi illumino: leggo di nuovo il titolo. “Celi mio marito”… ma allora la colpa è sua.