La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6913 dell’8 maggio 2012, ha stabilito che, nel caso in cui una cassetta di sicurezza custodita nel caveau della banca sia stata svaligiata, la sentenza che non riconosce il diritto al risarcimento del danno in favore del cliente, risulta affetta da violazione di legge e vizio della motivazione se non ha tenuto conto di una serie di fatti controversi e decisivi per il giudizio, emersi all’esito del procedimento penale.
Dalla lettura della sentenza: un cliente di un istituto di credito aveva citato in giudizio la sua banca per ottenere il risarcimento danni a seguito del furto avvenuto nel caveau dell’istituto di credito dove custodiva valori in una cassetta di sicurezza. La domanda di risarcimento veniva respinta dal Tribunale e la sentenza veniva poi confermata dalla Corte d’appello.
Il procedimento penale dal quale aveva avuto origine quello civile, s’era concluso con il riconoscimento della responsabilità della banca, ma non potendo provare il preciso ammontare del danno (dagli atti del procedimento penale era emerso solo un appunto depositato presso la stazione dei carabinieri, nel quale vi era l’elenco delle cose depositate nella suddetta cassetta di sicurezza) il risarcimento di fatto era stato escluso.
Nella condanna emessa in sede penale, invece, si ricava che il giudice civile avrebbe dovuto accertare l’esistenza e la misura del danno e non respingere il risarcimento. La Cassazione quindi, accogliendo il ricorso dell’uomo, ha spiegato che (semplificando il giuridichese…): si deve ritenere non condivisibile la scelta del giudice civile che ha escluso del tutto l’esistenza del pregiudizio (cioè della responsabilità della banca), e non ha tenuto conto della regola secondo cui il danno, se non può essere provato nel suo preciso ammontare, deve essere liquidato dal giudice con valutazione equitativa. Cioè con una cifra forfettaria decisa insindacabilmente dallo stesso giudice.