La Corte di Cassazione con la sentenza n° 4927 del 15/02/2022 è tornata sull’argomento dei contrasti tra regolamenti comunali che sostanzialmente cercano di porre un freno alla prostituzione sulle strade ed il diritto alla libera prostituzione che pur essendo contrario al buon costume, non costituisce giuridicamente un’attività illecita.
INTERVENTO DELLA POLIZIA LOCALE
La questione nasce dal fatto che una pattuglia della Polizia Comunale di Brescia, impegnata in un servizio di contrasto della prostituzione su strada, contestava ad un automobilista che si era fermato con la prorpia vettura, la violazione dell’art. 7 del Regolamento della Polizia Locale perché l’uomo a bordo del mezzo, arrestata la marcia, aveva fatto salire nell’auto una donna dedita all’attività di meretricio su strada e con lei si era allontanato in un luogo appartato per consumare il rapporto.
Veniva quindi notificato all’interessato il verbale della violazione con l’ingiunzione di corrispondere la somma di ben € 500,00 ai sensi del Regolamento di Polizia Locale.
Veniva tuttavia proposta opposizione in quanto, secondo il cliente della prostituta, il Regolamento di polizia andava disapplicato ledendo tali norme locali i diritti soggettivi delle due parti interessate al rapporto fisico e contrattuale.
Di contro il Comune di Brescia rilevava che già si era pronunciato sul punto il TAR della Lombardia con la sentenza n° 1519 del 2011 con il quale il Giudice Amministrativo aveva respinto un ricorso analogo tendente all’annullamento dell’art. 7 del regolamento.
LE TESI CONTRAPPOSTE
La questione sfociava alla fine alla Corte Suprema in quanto, l’utente rilevava che il Regolamento di polizia era in conflitto con una norma di tipo primario, dal momento che la prostituzione, seppure contraria al buon costume, tuttavia non costituiva un’attività illecita, anche se non regolamentata.
Conseguentemente doveva ritenersi preclusa la possibilità di porre delle regole che creassero ostacolo o intralcio allo svolgimento dell’attività suddetta che, in fin dei conti, confluiva nella libera iniziativa economica di ciascuno.
Ciò sempre ché non intervenissero leggi statali tese a regolamentare la prostituzione norme che tuttavia allo stato non esistevano.
Da parte del Comune viceversa si rilevava che il Regolamento di Polizia rientrava perfettamente nei poteri del Sindaco.
Infatti spettava al Sindaco adottare i provvedimenti a contenuto normativo, anche ad efficacia a tempo indeterminato, al fine di prevenire ed eliminare i pericoli alla circolazione ed alla sicurezza urbana.
Dunque sostanzialmente il provvedimento non mirava altro che alla regolamentazione della circolazione stradale evitando intralci che venivano provocati dalla sosta di auto lungo la strada, soprattutto se tali fermate venivano poste in essere improvvisamente al solo fine di contrattare le prestazioni sessuali a pagamento, con pericolo per gli utenti che provenivano dalle altre direzioni.
LA DECISIONE DELLA CORTE SUPREMA
La Cassazione rileva innanzitutto che la decisione pronunciata a suo tempo dal TAR aveva efficacia esclusivamente fra le parti di quel processo e non costituiva un precedente giurisdizionale che potesse convincere la Suprema Corte in senso conforme.
Viceversa la tesi del Comune secondo la quale il divieto dell’esercizio della prostituzione in tutto il territorio comunale non riguardava il diritto del meretricio in sè per sè, ma solo quello esercitato sulle vie pubbliche la cui tutela spetta all’ente locale che ne è proprietaria, non appariva convincente.
Infatti, se il Comune ha sicuramente il diritto di regolamentare l’uso del demanio stradale comunale prevedendo che la circolazione avvenga in condizioni di sicurezza, tuttavia non sembra che la finalità perseguita dal Comune sia questa.
Va tenuto conto per altro della pronuncia della Corte Costituzionale che con la sentenza n° 115 del 2011 aveva dichiarato l’incostituzionalità del Decreto legislativo n° 261/2000 con il quale veniva consentito al Sindaco di adottare provvedimenti a contenuto normativo a tempo indeterminato per prevenire o eliminare i pericoli della sicurezza urbana, ma non fosse consentito alle ordinanze sindacali, pur rivolte al di fine di fronteggiare i gravi pericoli per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, derogare a norme legislative vigenti.
Nel caso specifico rileva la Cassazione manca la finalità dichiarata di regolamentare la circolazione stradale onde evitare intralci al traffico, mentre viceversa il provvedimento sindacale va ritenuto viziato da eccesso di potere.
Infatti il sindaco ha emesso un provvedimento apparentemente finalizzato alla regolamentazione della circolazione stradale degli autoveicoli, ma in realtà finalizzato a vietare il meretricio sessuale in modo indiscriminato su tutto il territorio del Comune.
Quindi in sostanza con il provvedimento non si è voluto imporre il divieto di fermare gli autoveicoli in relazione alle esigenze di traffico, bensì sanzionare in modo indiretto l’attività riguardante la vendita delle prestazioni sessuali.
Va quindi confermato l’orientamento del Tribunale che già aveva disapplicato l’art. 7 del Regolamento della Polizia Urbana sia sul presupposto che la norma reca di fatto un’illegittima compressione della libertà di iniziativa economica facente capo alle persone dedite alla prostituzione, sia perché la norma non risponde alla finalità di regolamentare la circolazione degli autoveicoli per evitare intralci, bensì è posta all’evidente fine di contrastare le prestazioni sessuali a pagamento.
Il Comune in ultima analisi non ha il potere di bloccare un’attività che, pur ritenuta contraria alla decenza ed al buon costume, tuttavia non va considerarta illecita sotto il profilo giuridico, non potendosi il Comune sostituire né legiferare in un tema che è riservato allo Stato.