È davvero difficile per un avvocato destreggiarsi nel mondo del diritto, allorché manchi un orientamento univoco su questioni anche banali.
Due casi identici: il proprietario richiedeva il rilascio del proprio immobile occupato da un familiare. Ma il Tribunale di Roma dopo aver inquadrato l’istituto giuridico quale comodato precario, giungeva a decisioni opposte.
Nel primo caso accoglieva la domanda condannando l’occupante abusivo anche ai danni parificati al valore locativo del bene.
Nell’altro caso la domanda veniva rigettata in quanto il proprietario non aveva dimostrato di aver registrato il contratto, sia pure verbale, del comodato.
La fattispecie è estremamente comune e si verifica allorché un immobile venga occupato da un altro soggetto, sia pure con il benestare del proprietario, ma, allorché questi lo richieda indietro, l’occupante rifiuta il rilascio.
La domanda viene inquadrata come azione di restituzione essendo incontestata la proprietà e normalmente il Tribunale, dopo una breve istruttoria, (si fa per dire, visti i tempi della giustizia), emette la sentenza di rilascio.
Il figlio rifiuta di lasciare la casa alla madre proprietaria
La prima sentenza n° 1457 depositata il 12 marzo 2012, emessa dalla VII Sezione Civile del Tribunale, giudice Loasses, accoglieva la domanda della madre.
Questa lamentava di aver concesso in uso l’appartamento al figlio e tuttavia, quando ne aveva richiesto il rilascio, il giovane si era rifiutato.
Proposta l’azione, il figlio sosteneva, ma senza fornire alcuna prova, che la madre si era impegnata a lasciarlo nell’immobile vita natural durante e comunque di averla aiutata economicamente in cambio dell’occupazione e quindi sostanzialmente chiedeva il rigetto della domanda.
La madre rilevava che l’istituto giuridico configurabile era quello del comodato precario e dunque il concedente ha facoltà di chiedere in qualsiasi momento la restituzione del bene ex articoìli 1803 e seguenti c.c.
Dal momento della richiesta, per consolidata giurisprudenza, l’immediata cessazione del diritto del comodatario alla disponibilità ed al godimento della cosa, comporta il diritto del comodante ad ottenere anche il ristoro dei danni.
Ciò in quanto dalla richiesta in poi la detenzione diviene senza titolo e cioè sostanzialmente abusiva (vedasi in tal senso anche Cassazione n° 5987/2000).
Poiché la controparte non forniva alcuna prova circa diversi accordi sussistenti tra madre e figlio e ritenendo il Tribunale che il presunto obbligo del mantenimento della madre in cambio della casa, dovesse essere dimostrato per iscritto ad substantiam, in assenza del documento, riteneva fondata la domanda della madre di riottenere l’immobile.
Risarcimento del danno
Anche la domanda del risarcimento del danno veniva accolta.
Infatti il giudice del Tribunale rilevava che, dal momento della ricezione della raccomandata con la quale si richiedeva il rilascio, in assenza di adempimento, il figlio doveva ritenersi inadempiente ed occupante sine titulo dell’immobile.
Dunque la proprietaria aveva diritto al risarcimento del danno per la perdita della disponibilità del bene e per l’impossibilità di conseguire dallo stesso l’utilità potenzialmente ricavabile, (vedasi anche Cass. n° 827/2006).
Tale danno veniva equitativamente determinato nella misura di 800 euro mensili in assenza di contestazioni sul valore locativo del bene indicato.
Conclusivamente il giudice del Tribunale di Roma condannava il figlio all’immediato rilascio dell’immobile nonché al pagamento in favore della madre dell’importo di circa 30mila euro oltre interessi e rivalutazione monetaria, a causa dell’occupazione abusiva del bene, accollando al convenuto altresì le spese di lite.
Caso identico decisione opposta
Pochi mesi dopo lo stesso Tribunale di Roma con sentenza n° 913/13 decisa il 14/11/2012, emessa dal giudice Russo della V sezione giungeva a conclusioni opposte.
Nella fattispecie, sostanzialmente identica alla precedente, era il figlio proprietario dell’immobile che chiedeva al padre, autonomo economicamente, il rilascio della casa.
Anche in tal caso il proprietario chiedeva al giudice la condanna dell’occupante, sussistendo evidentemente un comodato precario.
La controparte si opponeva sostenendo che vi sarebbe stato un accordo verbale secondo il quale il figlio si era impegnato a lasciare il padre nell’abitazione vita natural durante, ma senza fornire alcuna prova.
Per scrupolo il magistrato ammetteva delle prove testimoniali in tal senso ed emergeva che nessuno accordo diverso era stato previsto.
Il magistrato, così come in precedenza, rilevava sussistere un contratto di comodato, e l’azione proposta dall’attore doveva intendersi quale azione di restituzione, poiché da un lato era incontestata la proprietà del bene in capo all’attore e dall’altro la qualità di detentore del convenuto.
Contestualmente il proprietario affermava che era venuto meno il titolo giustificativo della detenzione per effetto del suo legittimo esercizio della facoltà di recesso dal contratto di comodato e chiedeva quindi la condanna al rilascio del bene.
La domanda non viene accolta
Singolarmente tuttavia il magistrato in tal caso, rigettava la domanda.
Infatti rilevava che a norma dell’art. 1 comma 346 della legge 311 del 2004 l’obbligo di registrazione del contratto, sia pure verbale, a pena di nullità è previsto con decorrenza dal 01/01/2005 anche per i contratti di comodato in ragione dell’ampio dettato della normativa che richiama oltre che i contratti di locazione anche i contratti che “…comunque costituiscono diritti relativi al godimento dell’unità immobiliare ovvero di loro porzioni”.
La norma precisa che in difetto dei requisiti di forma deve ritenersi nullo il contratto (ricordiamo che la legge era stata emanata per le locazioni per costringere i proprietari ed i conduttori a registrare il contratto ai fini fiscali).
Il magistrato tenuto conto che la Corte Costituzionale con sentenza n° 420/2007 aveva ritenuto che la norma fosse immune da censura di legittimata costituzionale, concludeva che il contratto di comodato doveva considerarsi appunto non azionabile avanti al tribunale per omessa registrazione.
Dunque la domanda doveva essere rigettata in quanto essa traeva il suo fondamento da un contratto, presupponendone l’esistenza o quanto meno la validità e l’efficacia.
Conseguentemente in assenza di tale onere fiscale, andava rigettata sia la domanda di rilascio che la domanda risarcitoria.
Per inciso la decisione veniva impugnata avanti la Corte d’Appello, provvedendosi tardivamente alla registrazione del contratto, rilevando che la sentenza risultava viziata su un punto fondamentale.
Infatti laddove si fosse ritenuto il contratto di comodato nullo, ne doveva discendere che mancava qualsiasi titolo e diritto per l’occupante a detenere l’immobile e quindi comunque il giudice avrebbe dovuto comunque ordinarne il rilascio.