E’ un uomo dall’accento romagnolo; ha il viso tondo e l’espressione bonacciona, ma ha anche occhi intensi, araldi di grandi messaggi.
Mario Muratori, è un uomo di quarantotto anni di Forlì ora è responsabile di una casa famiglia a Giarre, in provincia di Catania, dell’Associazione Papa Giovanni XXIII. La famiglia è composta di dodici elementi: Mario, la moglie Raffaella, Sara (la cugina di Raffaella), quattro figli naturali e cinque accolti (uno di questi è affetto dalla sindrome autistica), una famiglia allargata, dove si vive in armonia. La casa è sostenuta dai fondi in comune delle tante case famiglie dell’associazione, che sono circa 300 in tutto il mondo. Una grande succursale d’amore, dove tutte le case famiglia della Papa Giovanni XXXIII si sorreggono a vicenda con l’aiuto della provvidenza e il lavoro. Mario, quando comincia a parlare, ha modi da guascone, sembra quasi che stia prendendo in giro. Quando racconta la sua storia, però, si rimane in silenzio, rapiti dalla sua intensa testimonianza. “Nasco in una famiglia normale dell’Emilia Romagna- racconta Mario- ed ero un giovanotto di belle speranze con buone doti nel calcio. Intorno ai quattordici anni incomincio ad andare male a scuola, inizio a fumare le canne e punto solo a fare carriera nel calcio”.
Ma il sogno di diventare un calciatore per Mario non si realizzerà, a sedici anni la sua carriera s’interrompe. Senza obiettivi, Mario va alla deriva e comincia a fare uso di droghe pesanti e a diciannove anni è ormai un tossico totalmente dipendente. Incurante di tutto si droga fino a ventisette anni la vita di Mario si divide tra droga, spaccio, denunce, arresti e brevi periodi in carcere, fu obbligato dai servizi sociali a entrare in comunità e fu inserito proprio in una casa comunità della Papa Giovanni XXIII. In comunità, Mario fu impiegato al servizio di un ragazzo di quattordici anni idrocefalo e cieco. Sulle prime cercò in tutti modi di evitare il compito oneroso, ma se non avesse accettato l’incarico come punizione non avrebbe più fumato. Messo alle strette Mario accetta e qui la sua vita cambia.
Riccardo, il ragazzo idrocefalo sconvolge la sua esistenza. Nasce tra i due un rapporto forte, Riccardo mangia solo con Mario, lo riconosce quando sono vicini. Questa esperienza forte fa nascere seri dubbi nella vita di Mario che comincia a interrogarsi sulla fede, lui che era stato sempre un grande anticlericale. Conosce in quel periodo Don Benzi e altri sacerdoti della Papa Giovanni che incarnavano il Vangelo, uomini di fede che lo scossero ulteriormente. Finito il periodo obbligatorio in comunità, decide di rimanere come volontario per un altro anno e mezzo in un’altra casa famiglia. In seguito è impiegato come operatore in una comunità che accoglie tossicodipendenti, poi dopo qualche anno gli fu chiesto di fare la scelta definitiva: o diventare operatore per sempre nella Papa Giovanni XXIII o tornare nel mondo a fare una vita normale. Sulle prime Mario sceglie di tornare alla vita “normale” ma avvicinandosi la data di addio alla comunità, comincia a rendersi conto che il suo cuore aveva scelto di stare per sempre nelle comunità Papa Giovanni XXIII. Don Benzi voleva mandare Mario in missione in Zambia, ma “grazie” ai suoi precedenti penali non fu possibile e fu mandato in missione per un mese in Sicilia. Sono passati quindici anni e quel mese ancora deve trascorrere. Il giovane nel frattempo si è sposato con una siciliana e si occupa dei tanti ragazzi finiti in carcere minorile, ormai è un siciliano acquisito che lotta per un futuro diverso per i tanti figli emarginati.