A poche ore dall’apertura delle urne siamo già pronti a lasciarci alle spalle una delle campagne elettorali più brevi e probabilmente più brutte della recente storia italiana. Una campagna che non verrà certo ricordata per la ricchezza dei contenuti: se si escludono tasse e Imu, si è assistito solo ad un generico e ricorrente richiamo al tema del lavoro, invocato da tutti gli schieramenti con poche proposte concrete, che viste le condizioni economiche generali, difficilmente potranno risultare risolutive.
Se il confronto elettorale non ha brillato per le idee messe in campo, anche dal punto di vista della comunicazione sembra, a prima vista, non aver riservato grandi sorprese: se si escludono i comizi/show di Beppe Grillo e i (pochi) raduni di piazza del centrosinistra di Pierluigi Bersani, la campagna per le politiche 2013 si è svolta soprattutto in tv, con i candidati premier impegnati a occupare ogni spazio televisivo disponibile, in un estenuante duello “all’ultimo talkshow”. Molti hanno visto, in questa accorta spartizione di ogni spazio televisivo, una rivincita del tubo catodico, dato per spacciato e destinato all’estinzione politico-mediatica dal diffondersi delle nuove tecnologie digitali.


La politica scopre la rete
A ben vedere però le cose non stanno esattamente così. Se è vero che l’ennesimo ritorno di Silvio Berlusconi nell’agone politico ha costretto tutti i candidati premier all’arrembaggio televisivo, c’è da dire che questa volta anche la rete è stata letteralmente presa d’assalto dai partiti tradizionali: dagli ormai celebri tweet di Monti ai più prosaici messaggi elettorali su Facebook inviati dai candidati locali (che fortunatamente sembrano aver sostituito la classica telefonata), internet e i social network hanno costituito la spina dorsale della comunicazione politica della campagna elettorale. Basti pensare al continuo monitoraggio dei followers su Twitter o degli apprezzamenti su Facebook, divenuti una sorta di sondaggi paralleli, soprattutto dopo lo stop di quelli ufficiali. Se si considera il fatto che il movimento più in crescita è quello di Beppe Grillo, risulta evidente che l’utilizzo congiunto della piazza digitale e di quella “classica” può tranquillamente sostituire l’invasione televisiva. Certo il comico genovese non ha brillato per spirito democratico rifiutando ogni confronto televisivo con le domande dei giornalisti, tuttavia lo stesso confronto tv fra tutti i candidati sempre sognato e mai realizzato, non è un bell’esempio per un Paese civile.


L’avvento del Fact Checking
Ma al di là del mezzo scelto per la propaganda politica, l’utilizzo veramente innovativo della rete, è stato attuato, ancora una volta, dagli utenti e dal mondo dell’informazione piuttosto che dai partiti. La vera novità di questa campagna elettorale infatti è sicuramente costituita dalla comparsa, anche in Italia, del così detto fact checking. Il fact checking è una pratica da tempo diffusa nel giornalismo anglosassone che consiste, letteralmente nel “controllo dei fatti”, attraverso il metodo empirico, al fine di verificare se le dichiarazioni di politici o di altri protagonisti della scena pubblica sono effettivamente veritiere e dunque attendibili. Come si verificano i fatti? Attraverso la raccolta dei dati e il confronto delle fonti attuato quasi in contemporanea con l’uscita della dichiarazione o della notizia che si intende verificare. Attraverso il social networking è possibile collaborare con utenti per verificare la veridicità di dati e notizie utilizzando la rete in una specie di impresa collettiva. A conti fatti, funziona un po’ come Wikipedia dove gli utenti costruiscono assieme, collaborando nella ricerca e nella verifica dell’informazioni, le voci della nota enciclopedia internettiana.
Se nei Paesi anglofoni questa pratica è molto diffusa, come dimostra l’esperienza del sito americano PolitiFact.com, che ha vinto il Premio Pulitzer per due anni consecutivi, in Italia, i siti di “verifica dei fatti” si stanno diffondendo solo di recente: c’è, ad esempio, la piattaforma di Fondazione <ahref , che, previa registrazione al sito, consente agli utenti di proporre una notizia o una dichiarazione, citando autore e fonte e mettendola a disposizione della comunità per il fact checking. Dopo la verifica dell’attendibilità, ad ogni notizia viene attribuita una percentuale di veridicità.
Uno strumento molto utile per vagliare l’attendibilità delle dichiarazioni elettorali dei candidati di questa campagna elettorale si è rivelato il sito pagellapolitica.it che mette sotto la lente di ingrandimento i principali leader politici nostrani, vagliando le dichiarazioni e le affermazioni che contengono numeri o dati verificabili oggettivamente. Attraverso il monitoraggio in tempo reale delle principali testate giornalistiche (cartacee e online), delle agenzie di stampa, dei siti web istituzionali e dei profili twitter e facebook dei politici, ogni leader, assieme alle sue affermazioni, viene valutato in base al tasso di veridicità riscontrato e inserito in una delle cinque categorie: “vero” , “c’era quasi”, “nì”, “pinocchio andante” e “panzana pazzesca”. Fra le migliori “panzane del 2012” , secondo un sondaggio condotto dal sito ci sarebbe in testa , manco a dirlo, Berlusconi, “premiato” per la frase: “Il nostro debito non è così elevato come si vuole far credere. L’Italia ha un attivo di 6600 miliardi, è la seconda economia più solida dopo la Germania”. Al secondo posto, sempre secondo il sito, troviamo Beppe Grillo con l’affermazione: “È inutile spendere 2 miliardi di euro per risanare e far ripartire l’acciaio dell’Ilva, perché le più grandi acciaierie stanno chiudendo”.

Nuove tecnologie e apertura dello spazio pubblico
Al di là delle note di colore, l’introduzione dello strumento del fact cheking è forse la vera novità di questa campagna elettorale, che per il resto non ha riservato grandi sorprese. Testare l’attendibilità dei candidati per spingerli a un comportamento più autentico, c’è da giurarci, si rivelerà una pratica sempre più in uso anche per il futuro . Se è vero che a cominciare dalle primarie del centro sinistra di novembre, il fact chaking è entrato di diritto fra gli strumenti di lavoro dei media mainstreim,( Skytg24 verificò in diretta le affermazioni dei partecipanti al dibattito svoltosi in studio), c’è da dire che i passi da compiere verso la sua definitiva affermazione nel nostro Paese sono ancora molti. Nel caso recente dei falsi titoli di studio del candidato premier Giannino, ad esempio, tutte le informazioni che lo smentivano erano in rete da tempo, addirittura su Wikipedia. Ci sono sicuramente bugie ben peggiori, tuttavia si sarebbe potuto evitare il sospetto di imboscate dell’ultimo minuto nei confronti di compagni di partito e avversari politici.
In ogni caso quello che è certo è che la rete ha oramai aperto, nel bene o nel male, i confini dello spazio pubblico di discussione e, se usata adeguatamente, può contribuire a rendere più efficace il ruolo di controllo del potere che spetta, in una democrazia, all’informazione. I politici, c’è da scommetterci, saranno costretti ad un grado di coerenza e di affidabilità sempre maggiore nella certezza che le loro affermazioni non saranno più accettate acriticamente o contestate solo dalle opposte tifoserie politiche. Ne frattempo c’è da augurarsi che se in questa campagna elettorale ormai conclusa si sono limitati a occupare la rete, per il futuro non si limitino solo a “stare” in rete, ma comincino anche “a fare rete”, magari uscendo da salotti tv e social network ,e tornando a frequentare attivamente quei territori che aspirano ad amministrare.

 

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