La notizia era nell’aria da tempo, soprattutto dopo le conferme arrivate dal CERN di Ginevra nel 2012. Nei giorni immediatamente precedenti la premiazione poi, l’ipotesi si è trasformata in certezza e martedì 8 ottobre, come previsto, l’Accademia Reale delle Scienze di Stoccolma ha assegnato il premio Nobel per la Fisica al prof. Peter Higgs, britannico, classe 1929 in forze all’università di Edimburgo e al belga prof. Francois Englert, nato nel 1932 e docente presso l’università di Bruxelles.
Il merito dei due studiosi è quello di aver scoperto il Bosone di Higgs, noto ai più come “particella di Dio”. Già nel 1964 i due scienziati avevano teorizzato l’esistenza del “divino” bosone ma la conferma è arrivata solo lo scorso anno, grazie agli esperimenti condotti nel CERN di Ginevra, guidato, in quel periodo, dagli italiani Guido Tonelli e Fabiola Gianotti, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Il premio, secondo le motivazioni espresse dall’Accademia, è stato assegnato “per la scoperta di un meccanismo che contribuisce a capire l’origine della massa delle particelle e che è stata recentemente confermata attraverso la scoperta della prevista particella fondamentale dagli esperimenti ATLAS e CMS del Large Hadron Collider del CERN di Ginevra”.
Un riconoscimento ad un lavoro di squadra durato quasi 50 anni che ha portato alla scoperta di uno dei mattoni fondamentali del nostro Universo. Un premio più che meritato dunque per i due accademici e un riconoscimento, neanche tanto indiretto, al lavoro di tutti i ricercatori che hanno confermato, sperimentalmente, l’esistenza della particella.
Cos’è il bosone di Higgs
Il bosone di Higgs è stato per molto tempo il pezzo mancante del grande puzzle noto come “Modello Standard”, ovvero la spiegazione scientifica che, nel secolo scorso, ha rivoluzionato lo studio della fisica. Secondo questo modello l’universo è composto da quattro forze fondamentali (elettromagnetismo, gravitazione, interazione nucleare forte e interazione nucleare debole) e da numerose particelle primordiali (protoni, elettroni, bosoni ecc.). Quello però che il Modello Standard, fino a ieri, non spiegava era come fosse possibile che queste particelle infinitesimali potessero acquisire massa. Subito dopo il Big Bang, l’esplosione cosmica da cui è poi nato l’Universo, le particelle, fatte di pura energia, vagavano nello spazio ognuna per conto proprio, alla velocità della luce, senza possibilità di aggregarsi per formare la materia che ogni giorno vediamo attorno a noi. Se la situazione fosse rimasta tale, oggi non saremmo qui a parlarne. Fortunatamente però, nei concitati attimi successivi al Big Bang, è subentrato un campo di forza, il campo di Higgs appunto, che ha conferito massa alle particelle subatomiche. Non tutte gli elementi basilari dell’Universo assumono massa (i fotoni di cui è fatta la luce non ne sono dotati), ma solo quelle particelle che, interagendo con i bosoni di Higgs presenti nel campo di forza, rallentano la propria corsa acquisendo massa e trasformandosi nei tasselli che compongono la struttura dell’Universo. Trovata la tessera mancante del mosaico (il Modello Standard), la fisica delle particelle è ben lungi dall’aver esaurito tutte le domande. Resta da verificare come si comporta il meccanismo di Higgs: la sua azione è sempre uguale, o invece subisce delle variazioni a seconda delle circostanze? E poi ci sono tutte le altre particelle sfuggenti e le forze dietro cui si cela ancora il mistero della nascita del cosmo.
La “particella di Dio”
Proprio per questa sua capacità “creatrice” nei confronti della materia, il bosone di Higgs è stato soprannominato la “particella di Dio”. Senza l’interazione con questo bosone infatti le particelle subatomiche resterebbero, in un certo senso, immateriali e non potrebbero dar vita all’Universo. Il richiamo alla sfera teologica ha determinato il successo mediatico del soprannome. L’eventualità di rintracciare Dio in una particella e poter svelare, una volta e per tutte, il mistero della nascita del Cosmo, ha eccitato non poco la fantasia dei mass -media che, dalla formulazione della teoria ad oggi, hanno contribuito alla diffusione del mito dell’ormai celebre bosone.
Tuttavia a di là del marketing, il concetto di “particella di Dio” ha avuto il merito di sollevare interrogativi fondamentali. Scienziati, filosofi e teologi dibattono da tempo sul significato della scoperta: rappresenta il trionfo della ragione umana sulla vecchia idea di Dio o la dimostrazione di un intervento divino nella formazione dell’Universo? Probabilmente nessuna delle due. Chi si aspettava dalla particella di Higgs una risposta definitiva agli interrogativi circa le origini dell’esistenza sarà senz’altro rimasto deluso. Il bosone di Higgs non può essere considerato un sostituto di Dio né, d’altro canto, può rappresentare la prova di una volontà creatrice che ha plasmato l’Universo. La scoperta del bosone rappresenta un grande passo in avanti verso la spiegazione razionale dell’Universo, ma il rischio di utilizzare per fini ideologici, in un senso o nell’altro, i risultati dalla Ricerca è sempre dietro l’angolo soprattutto quando la scienza, tornando alle sue origini (i primi ricercatori della storia furono i fisici della scuola di Mileto nel VI sec. A.C.) cerca di dare risposte esistenziali, non più limitate ai singoli fenomeni. Né un rigido teismo creazionista né l’ateismo materialistico possono ritenersi delle spiegazioni valide del mondo.
Ciò che risulta evidente dal dibattito intorno alla “particella di Dio” sono piuttosto le inevitabili connessioni fra teorie metafisiche e teorie scientifiche. Spesso gli opposti estremismi hanno condotto, nel corso della storia, a posizioni di rigido dogmatismo anti scientifico da una parte, e al tentativo di bollare le spiegazioni non scientifiche del mondo come mere manifestazioni di ignoranza dall’altra. Oggi proprio le nuove scoperte della scienza confermano la stretta interdipendenza tra questi due ambiti della conoscenza umana.
Fisica o metafisica?
La stessa fisica quantistica sta dimostrando quanto sia labile il confine fra scienza e ontologia. Da Aristotele in poi la scienza aveva sempre considerato la Natura come un insieme di leggi rigorose, deterministiche e universali. Nonostante i notevoli passi in avanti, le prime teorie fisiche moderne conservavano la fede nell’immutabilità delle leggi naturali, la cui regolarità doveva essere provata dall’osservazione e dall’esperimento. Con la teoria atomistica del Novecento, nota come meccanica quantistica, tutte queste certezze sono state radicalmente rimesse in discussione: le particelle subatomiche non solo non sono prevedibili nel loro comportamento, ma non sono neanche “osservabili” direttamente. Secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg infatti, non è possibile osservare le particelle subatomiche senza influenzarne il comportamento e dunque falsificare i dati ricavati. Una differenza netta rispetto ai corpi macroscopici come animali piante e quant’altro eravamo abituati a studiare. Lo stesso bosone di Higgs non è stato osservato direttamente in natura, ma se ne è dedotta l’esistenza in base agli effetti della sua interazioni con altre particelle. Proprio per questo carattere completamente non deterministico della fisica dei quanti, molti scienziati autorevoli, fra cui Albert Einstein, rifiutarono di riconoscerla come una scienza tout court. Gli innumerevoli successi raggiunti dalla nuova fisica hanno smentito questo scetticismo.
È evidente dunque che una certa dose di “fede” è indispensabile anche in ambito scientifico. È innanzitutto necessario credere che l’Universo abbia un ordine razionale e quindi comprensibile dall’intelletto umano. Ogni teoria scientifica è poi, in origine, un atto di fede perché nasce come ipotesi speculativa e finché non trova conferma nell’esperienza sensibile rimane l’oggetto di una credenza più o meno fondate. Molte fondamentali scoperte scientifiche sono nate come tentativi di confermare o smentire teorie metafisiche. Basti pensare all’atomismo di Democrito ed Epicuro: nato come teoria filosofica nel IV sec. A.C, si è poi trasformato, nel corso dei secoli, in una realtà scientifica. Le interconnessioni psicologiche e storiche fra le teorie metafisiche e le teorie scientifiche sono dunque continue e si può dire che, in fin dei conti, hanno bisogno le une delle altre perché, per dirla con le parole di Karl Popper: “Noi non sappiamo, possiamo solo tirare a indovinare. E i nostri tentativi di indovinare sono guidati dalla fede non-scientifica (e quindi metafisica) nelle leggi, nelle regolarità che possiamo svelare, scoprire”.