Le decisioni del giudice del lavoro di Latina, relative ai lavoratori di un’azienda del gruppo assunti dalla sede locale e ceduti alla Marvecs (poi finita sotto inchiesta per bancarotta), rappresentano il punto d’inizio della “riscossa giudiziaria” di oltre mille dipendenti. Abbiamo chiesto un commento all’avvocato Francesco Siciliano, del Foro di Cosenza, che rappresenta diversi informatori scientifici vittime della “spericolata” manovra imprenditoriale.
Egregio Direttore,
rappresento molti ex informatori nella vicenda che dopo la notizia data da Il Venerdì di Repubblica (l’articolo è leggibile nei correlati a questo intervento, ndr)è stata definita la storia di Big Pharma.
In realtà non si stratta della storia di un’azienda, Big Pharma, o quella delle multinazionali del farmaco in Italia, quanto, semmai, della storia di uomini e donne “rottamati” dalle grandi aziende che si ritrovano oggi a dover vivere in precarietà o a riciclarsi in altri settori nonostante quello farmaceutico non sia in alcun modo in crisi.
Dal punto di vista umano è la storia di vite comunque destabilizzate o rivoluzionate dalla nuova situazione e, allo stesso modo, di famiglie e familiari che hanno visto e vedono ridimensionarsi di molto le loro prospettive di vita in una nazione in cui il livello economico a disposizione è diventato discrimine di scelte ed opportunità.
A margine del fatto giuridico e giudiziario, infatti, ci sono ragazzi che hanno cambiato sede universitaria, figli che hanno rinunciato a specializzazioni o masters ovvero professionisti che di colpo si sono ritrovati buttati in luoghi come il Centro per l’Impiego notoriamente esclusiva dei senza lavoro e dei bisognosi. Ma in Italia, si sa, la sofferenza è più facile da raccontare quando i protagonisti non sono professionisti in giacca e cravatta o tailleur.
A queste storie sembrano aprire una strada di speranza le ultime sentenze che da difensore ho ottenuto dal Tribunale di Latina: il Giudice del Lavoro ha sanzionato come illegittimo il metodo della rottamazione del personale attraverso la cessione ad aziende destinate alla decozione.
E’ questa infatti la nuova frontiera del mercato del lavoro: molte storie italiane raccontano di aziende che annunciano delocalizzazioni della produzione e chiusura di stabilimenti ovvero procedure di licenziamento collettivo per riduzione di personale che trovano quale soluzione salvifica l’individuazione di un nuovo datore di lavoro che, spesso con aiuti di Stato, rappresenta la speranza della prosecuzione di una normale vita lavorativa.
In questo contesto il Giudice del lavoro di Latina, aderendo proprio alla tesi proposta nei ricorsi da me patrocinati, ha posto dei punti fermi: la ricollocazione in nuove aziende di masse consistenti di dipendenti non può trasformarsi nella rottamazione del personale pena la condanna al risarcimento del danno.
Il Venerdì di Repubblica, articolo del 27 gennaio 2012