Se non proprio un boom, l’exploit di Grillo e del suo Movimento a 5 stelle alle ultime amministrative un bel po’ di rumore l’ha fatto di sicuro. Oltre al primo sindaco a 5 stelle della storia , il movimento del comico genovese ha portato a casa l’ottimo risultato di Parma (19,5%), il terzo posto a Genova, Verona, Piacenza, La Spezia (tutte tra il 9% e il 12%,) e la buona affermazione in altri centri minori del Nord.
Bel risultato, per un movimento di cittadini comuni che hanno fatto la campagna elettorale quasi a costo zero. E mentre Grillo può festeggiare assicurandosi per adesso un sindaco, cinque candidati al ballottaggio e un boom (questo sì) mediatico senza precedenti, il Pdl e la Lega nord fanno i conti con il disastro annunciato. Se il partito di Umberto Bossi ha tenuto a Verona e in altri centri del Nord, è solo grazie alla componente “maroniana” del movimento, mentre l’ala che fa riferimento al Senatur ne è uscita con le ossa rotte . Al Pdl è andata ancora peggio: dopo anni di vita all’ombra del Cavaliere, è evaporato assieme a lui e al suo governo. I risultati nella ormai ex roccaforte siciliana parlano chiaro: a Palermo il Pdl si è fermato al 12,5% ben lontano dal 48,6 del 2008. L’unico grande partito sopravvissuto alle macerie è il Pd, ma per il momento sembra incapace di decidere come e con chi candidarsi alla guida del Paese. Se è vero che è nata la Terza Repubblica, di sicuro non sa ancora cosa farà da grande.
Una rondine non fa primavera
Nonostante il numero di elettori chiamati alle urne fosse abbastanza ridotto (nessuna delle città maggiori era coinvolta nel voto), non si può negare il successo di Grillo e delle sue liste. Sopratutto non si può parlare di antipolitica perché il movimento, questa volta, si è affermato nel corso di una competizione elettorale democratica, proponendo programmi e persone che hanno sottratto voti ai partiti in crisi, in questo caso, sopratutto a destra. Tuttavia è ancora presto per parlare di una svolta. Dopo l’affermazione elettorale, i candidati del Movimento 5 stelle hanno sottolineato la loro indipendenza da Grillo, definito solo un “megafono” delle idee dei candidati. Infatti il successo delle liste a 5 stelle si è registrato sopratutto in quei comuni che hanno ospitato uno show elettorale del comico genovese a ridosso del voto, ma i candidati e i loro programmi non rispondono a una logica centrale e non potrebbe essere altrimenti visto la loro provenienza da liste civiche votate al territorio. Beppe Grillo, per sua stessa ammissione, non ha alcuna intenzione di candidarsi in futuro e il problema del Movimento a 5 stelle rimane il coordinamento su scala nazionale, indispensabile per poter passare dai comuni al Parlamento. Il movimento, per quanto forte a livello locale, rimane privo di qualsiasi elemento che possa compattarlo su scala nazionale in vista del voto alle politiche del 2013 (sempre che il Governo Monti non cada prima). Resta dunque improbabile che il Movimento di Grillo possa arrivare a governare il Paese, anche se riuscisse, alle prossime politiche, a far entrare qualche “grillino” in Parlamento.
Corsi e ricorsi del “qualunquismo”
Non mancano in Italia i precedenti in questo senso: nel 1946, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, in un’Italia impoverita e esasperata per alcuni tratti simile a quella di oggi, si affermò , nelle elezioni per l’Assemblea Costituente e nelle successive amministrative, il Fronte dell’Uomo Qualunque. Nato attorno all’omonimo settimanale fondato nel ’44 dal giornalista e commediografo Guglielmo Giannini, il movimento era caratterizzato da un linguaggio colorito e popolaresco, e alimentava, facendo leva sul malessere sociale, la sfiducia nei confronti dei partiti. Come Grillo attacca i politici di oggi storpiandone i nomi nei suoi show, anche Giannini nei suoi incontri pubblici sbeffeggiava i politici e i partiti, percepiti anche allora, come una casta corrotta, estranea all’uomo comune e ai suoi bisogni . Così al posto degli odierni “RigorMontis” o “Tremorti”, Giannini se la prendeva con “Fessuccio Parri” (l’allora capo del Governo) e “Caccamandrei” (Calamandrei), convinto che per governare “basta un buon ragioniere che prenda servizio il primo gennaio e se ne vada il 31 dicembre senza nessuna possibilità di essere rieletto”. Sembrano parole tratte da un recente comizio di Grillo e invece risalgono a più di mezzo secolo fa. Conoscere il passato può essere utile per provare a immaginare cosa potrebbe accadere in futuro. Nonostante la buona affermazione elettorale e i seggi in Parlamento, il nuovo partito non riuscì a reggersi sulle proprie gambe e tentò, senza successo, di confluire prima nel Partito liberale e poi nella Democrazia cristiana (dopo aver tentato di interagire anche con il Movimento sociale, il Partito comunista e quello monarchico). Un partito che finì per disperdersi in mille rivoli dopo l’affievolirsi della sua leadership. Da allora il termine “qualunquismo” è rimasto nel nostro linguaggio quotidiano, con un’accezione negativa, per indicare l’atteggiamento di sfiducia nelle istituzioni democratiche e nella politica. Ma il “qualunquismo” puntualmente ritorna, a dimostrazione di un profondo disagio che costantemente attraversa sottopelle la società italiana, pronto a riemergere nei momenti critici della nostra Storia. Un fattore troppo spesso rimosso dalla coscienza politica del Paese, ma con il quale è ormai necessario fare i conti.
L’antipolitica dei partiti
Oggi, forse ancor di più che nel 1944, i partiti politici vengono percepiti come dei comitati d’affari autoreferenziali. Tuttavia, quando possono, gli italiani si affidano ancora a politici di professione. Se infatti la politica ”fai da te” dei grillini la spunta in mancanza di alternative credibili, non sfonda quando si presentano personalità politiche percepite vicine ai territori e alle istanze dei cittadini piuttosto che alle logiche dei partiti. È ciò che è accaduto l’anno scorso a Napoli con il successo di de Magistris e quest’anno con la riconferma di Tosi a Verona e l’affermazione di Orlando a Palermo.
Probabilmente anche queste “personalità carismatiche” della politica non sono esenti da un certo grado di qualunquismo. Tuttavia è un dato di fatto che le persone scelgono uomini politici per amministrare la cosa pubblica, quando questi ultimi non sembrano “calati dall’alto”. Per questo motivo si ha l’impressione che in questi anni spesso l’antipolitica l’abbiano fatta i partiti stessi, non riuscendo più a interpretare le richieste dell’elettorato. Forse, negli ultimi tempi, i maggiori partiti italiani, si sono occupati troppo poco di politica e troppo di altre questioni. Trasformatisi in club più o meno esclusivi, estranei ai territori salvo poi invadere ogni spazio della società civile alla prima occasione utile. Da questo punto di vista, più che assenti, i partiti italiani sono stati fin troppo presenti, nel senso che hanno gradualmente “colonizzato” la società. Tutto o quasi è stato gestito dalla partitocrazia: a cominciare dalle candidature troppo spesso imposte dagli apparati a livello centrale, ai grandi appalti, dalle nomine ai vertici fino all’ultimo posto di lavoro nell’ultima azienda pubblica d’Italia. Tutto lottizzato con scrupoloso impegno. Altro che libero mercato! Perciò i partiti dovrebbero tornare a occuparsi di politica, tornare sui territori a contatto con la gente ed esprimere programmi e candidati che non siano percepiti come dei corpi estranei. Non è un caso che l’unico partito sopravvissuto al terremoto elettorale sia il Pd che, erede di due tradizioni politiche storiche (Pc e Dc), continua ad essere, nonostante faccia di tutto per perdere questo piccolo vantaggio, il partito più strutturato.
Fra il caos e la svolta
Quella appena trascorsa è stata senz’altro una settimana decisiva per le sorti dell’Europa: la Francia ha svoltato a sinistra con l’elezione del socialista Hollande, mentre la Grecia sembra essersi avviata verso il caos nel tentativo impossibile di formare un governo con l’estrema destra e l’estrema sinistra entrambe in parlamento. Sullo sfondo il rischio concreto dell’uscita dall’Euro o peggio ancora della guerra civile. E l’Italia? Alla luce dei risultati di un test elettorale importante, ma troppo limitato per poter fornire indicazioni certe, sembra che il Bel Paese sia ancora a metà strada fra la svolta a sinistra alla francese e il caos greco E’ probabile che il destino della stessa Europa sia ormai in bilico fra cambiamento e rovina e ciò che avverrà in Italia nei prossimi mesi sarà determinante per realizzare una di queste due opzioni. Certo sarebbe auspicabile seguire la strada della Francia piuttosto che quella della Grecia, ma per far ciò servirebbe una grande forza di sinistra capace di aggregare tutte le forze riformiste attorno a sé, e di trascinare il Paese fuori da una crisi senza precedenti. Un partito in grado di stare, finalmente, anche dalla parte della gente e non solo da quella dei poteri forti. L’unica forza che potrebbe svolgere questo ruolo in Italia sembra, per ora, essere il Pd , uscito da queste amministrative come “l’ultimo dei mohicani” della seconda Repubblica, ma il tempo per fare delle scelte nette e coraggiose è ,ormai, quasi scaduto. Speriamo bene.