foto di Paolo Maria Addabbo

Non basterebbe un volume di almeno un migliaio di pagine per ripercorrere la vicenda della Basf in via di Salone a Roma, l’unica industria pesante nella zona del Polo Tecnologico Tiburtino, ma non l’unica fonte di inquinamento e di pericolo per la cittadinanza: proprio tra le borgate di Case rosse, Setteville e Settecamini e vicino allo stabilimento della divisione italiana della multinazionale tedesca si trovano altri impianti come la “Mit Nucleare” che trasporta merci pericolose, o il campo-ghetto rom adibito a discarica e mini-inceneritore abusivi.

Ma forse con un articolo di circa diecimila battute si potranno raccontare le “stranezze” di quello stabilimento che le cronache romane hanno “eletto” inceneritore, e anche se molti particolari della storia della borgata “industriale” sono noti grazie ai comitati e agli attivisti che hanno il merito di aver tenuto alta l’attenzione sul tema e di aver ampiamente divulgato documenti in merito, ci sono anche tanti aspetti che sono sfuggiti ai più, a cominciare dalla stessa definizione dell’impianto fino alle promesse da marinaio dei politici e ai loro spot elettorali.

IL BOOM ECONOMICO E LA CRESCITA DELLE BORGATE
Lo stabilimento della Engelhard nasce nel 1956 e viene chiamato la “fabbrica dell’oro”: si pensava che fosse un’ industria galvanica. All’epoca era presente un unico insediamento abitativo, cioè la borgata di Settecamini, distante circa 1500 metri dall’impianto. Sono gli anni del boom economico e la produzione di merci esplode, ma mancano norme per lo smaltimento dei rifiuti. Producendo di più si accumulano anche più scarti, e si esauriscono i “catalizzatori chimici”, che non sono solo quelli che si trovano nelle marmitte delle automobili ma sono anche strumenti utilizzati dalle industrie che producono i diversi beni di consumo, in particolare quelle farmaceutiche e petrolchimiche. Per questo la multinazionale americana (che faceva lo stesso lavoro che fa attualmente la Basf, la multinazionale tedesca), oltre a produrre i “catalizzatori chimici” e a stipulare contratti per riavere indietro i catalizzatori, una volta esausti li prende di nuovo, poi li tratta recuperandone i metalli preziosi e bruciando gli scarti. Nel 1982 e nel 1988, vengono emanati due decreti del Presidente della Repubblica in materia di rifiuti, alcune norme vengono introdotte e altre cambiano: i catalizzatori esausti sono dei rifiuti speciali tossici e nocivi (secondo la definizione della legislazione allora vigente mentre oggi alcuni di quei rifiuti, cioè quelli contrassegnati da un apposito asterisco nell’elenco che comprende tutte le famiglie di rifiuti, possono essere definiti “pericolosi”) ma, nel caso della Engelhard, sono considerati una semplice risorsa dell’intero “ciclo di produzione”.

GLI ANNI 90: PROROGHE, DECISIONI “PROVVISORIE” E PRIMI INCIDENTI
Nel 1993, dopo altri cambiamenti legislativi, arriva la prima autorizzazione “provvisoria” (sarebbe dovuta durare sei mesi) della regione Lazio che dava l’ok a smaltire, stoccare, trattare e recuperare i catalizzatori. Fino al 1996, scaduti ampiamente i sei mesi dell’autorizzazione del ‘93, i cittadini hanno più volte chiesto di sapere quali autorizzazioni siano state date all’industria pesante, ma non c’è stata risposta. A febbraio del ’96 la Engelhard richiede formalmente l’ “autorizzazione sindacale per attività insalubre”. Nella domanda si parla della produzione di catalizzatori ma non si parla di rifiuti pericolosi e della presenza di quello che, di fatto è un inceneritore che smaltisce e fonde a elevate temperature metalli pesanti: forse questa omissione ha determinato anche specifiche scelte urbanistiche che hanno fatto popolare il “Polo” e che hanno determinato la crescita di altri quartieri e centri commerciali.
A marzo del ‘96, quindi un mese dopo la richiesta della Basf, il Comune e l’Asl danno l’autorizzazione e classificano lo stabilimento come una “industria insalubre di prima classe” e per questo non potrebbero esserci insediamenti nelle vicinanze (e a circa 300 m dello stabilimento è stato costruito perfino un asilo. Tra l’altro, nel 2009, un genitore dei bambini che lo frequentavano chiese all’ASL il “Nulla Osta” sanitario e gli fu risposto che questo documento non c’era, ma questo evento rappresenta solo una delle tante “stranezze” burocratiche del caso).

Nel Febbraio del ’98 un decreto ministeriale stabilisce che i catalizzatori possono essere definiti rifiuti “non pericolosi”, a patto che siano trattati debitamente per “disattivarli”… Nel 2000 l’azienda viene iscritta dalla Provincia nel registro delle imprese che trattano rifiuti, e deve comunicare informazioni sulla tipologia e sulla provenienza dei rifiuti e delle attività svolte, come previsto dal decreto succitato: se non fossero state rispettate tutte le regole stabilite nell’atto, la Provincia avrebbe dovuto bloccare l’attività…
L’azienda ammetterà solo successivamente di aver trattato anche materiali “tossico-nocivi” (che secondo l’attuale legislazione possono rientrare tra i cosiddetti “pericolosi”) e i comitati in varie occasioni, come nel loro ricorso al Presidente della Repubblica contro una precedente autorizzazione della Provincia (a maggio del 2010), hanno avanzato diverse denuncie sulla tipologia e sulla maniera in cui questi materiali venivano trattati.
Nel 1999 avviene un primo incidente nello stabilimento: si guasta un contenitore di acido muriatico; un anno dopo avviene un altro incidente, questa volta è un incendio.
Nel 2000 la vicenda dell’impianto arriva per la prima volta in parlamento dove sarà affrontata più volte dopo numerose lettere, la costituzione dei comitati ed esposti agli organi inquirenti.

LA FINE DELLA ENGELHARD E L’INIZIO DELLA BASF
Entriamo nel nuovo millennio e le autorizzazioni “provvisorie” continuano a essere rinnovate in maniera che, di fatto, provvisorie non sono più. E anche le emergenze, che dovrebbero essere un evento straordinario, si protraggono per anni.
Infatti a marzo del 2002 il vice-commissario delegato all’emergenza rifiuti, Marco Verzaschi (un ex democristiano passato da Forza Italia all’UDEUR e dimessosi da tutti i suoi incarichi tre giorni prima di essere arrestato per un’inchiesta sull’ASL di Roma) firma un documento che permetterà alla Engelhard la continuazione delle sue attività modificando, dove necessario, gli impianti per le diverse tipologie di rifiuto.
Nell’ottobre 2002, quando l’azienda convoca un incontro con i comitati, avviene l’amara scoperta: gli abitanti della zona vengono a sapere che quella vicina a casa loro non è l’innocua fabbrica dell’oro ma uno stabilimento che smaltisce rifiuti speciali appena regolarizzato dalla Regione nell’ambito della cosiddetta “emergenza”.
Nel 2003 i comitati, ancora più convinti dopo gli incidenti e l’amara scoperta, continuano la battaglia con diverse indagini e un’interrogazione parlamentare. La cittadinanza denuncia e controlla, e arriva anche una prima analisi epidemiologica dell’Asl: vengono studiate le malattie che hanno colpito la popolazione nella zona e si scopre che alcuni tipi di tumori potrebbero essere collegati con l’inquinamento dell’impianto, in quanto in quella zona risultano più frequenti della media capitolina.
Associazioni e comitati non si fermano e continuano contestando le procedure che riguardano lo smaltimento di acque reflue, le emissioni, le modalità dei controlli ambientali (in particolare gli “autocontrolli” e i “controlli su preavviso”), come stanno continuando a fare anche dopo l’ultima autorizzazione (AIA) concessa lo scorso dicembre. E tra le tantissime stranezze” burocratiche ce n’è una recente denunciata dai comitati di Setteville, Settecamini e Case Rosse: manca la certificazione CPI concessa dai Vigili del fuoco per la prevenzione degli incendi).
Poi nel 2004 un evento che spaventa la cittadinanza a distanza di un mese dall’adeguamento alle nuove norme che regolano i forni dove avviene l’incenerimento, e quindi nel momento in cui a rigor di logica doveva essere più sicuro: il pomeriggio del 9 febbraio si sente prima “il botto”, poi le sirene e poi il fumo denso che esce dall’impianto. La Engelhard si rivolge a un’equipe di sicurezza privata per domare le fiamme e intervenire sul posto: un forno si è surriscaldato ed è scoppiato. Se non fossero stati i cittadini a segnalare la questione alle autorità probabilmente l’evento non si sarebbe nemmeno saputo e adesso non sarebbe rintracciabile nelle emeroteche.

LE PROMESSE DA MARINAIO
Il 14 maggio 2006 stavano terminando i primi cinque anni dell’amministrazione Veltroni. Quel giorno, in piena campagna elettorale, esce un articolo in prima pagina sul quotidiano “La Repubblica” che titolava: “Tiburtina Valley, via il colosso USA”, con riferimento alla Engelhard. Perfino i comitati dei cittadini, oltre alle colonne locali del quotidiano, peccarono di eccesso di “Veltronismo”, e infatti intitolavano un volantino: “VIA la ENGELHARD da Settecamini Una GRANDE VITTORIA dei Cittadini”.
Il volantino e il quotidiano si riferiscono a un protocollo firmato tra la Engelhard e l’ex assessore all’urbanistica Morassut che prevedeva la delocalizzazione dell’impianto in cambio della concessione a costruire sul terreno della fabbrica 50mila metri cubi di palazzine e uffici: si potrebbe pensare che l’azienda venisse quasi “premiata”, come se si fosse comportata impeccabilmente e come se fosse normale che un’ “industria insalubre di prima classe” sia al centro di una delle zone più popolate della capitale.
Proseguiva così il volantino “esultante” firmato dai comitati di Case rosse, Settecamini e Setteville: “Il Comune di Roma ha firmato un protocollo d’intesa con la Engelhard finalizzato alla delocalizzazione di tutta la fabbrica chimica. QUESTA NOTIZIA E’ VERA, anche se data in piena campagna elettorale!!!!!! –e meno male che sono stati messi sei punti esclamativi, ndr– Non conosciamo i dettagli dell’accordo relativi ai tempi e ai modi, perché i COMITATI non sono mai stati consultati né tanto meno informati. Ma ciò non ci impedisce di esultare per l’evento che ci ha visti combattere questa difficilissima battaglia per diversi anni. Un particolare ringraziamento al Sindaco Veltroni a cui va riconosciuta la sensibilità e la volontà alla soluzione del problema”.
A fine mese Veltroni è per la seconda volta sindaco di Roma e ha vinto l’ultima tornata elettorale contro Alemanno. Nei mesi successivi la Basf rileva l’attività dell’Engelhard Internazionale: deciderà che da quel posto non ha intenzione di spostarsi e nemmeno di dare seguito al protocollo d’intesa firmato con il riconfermato assessore all’urbanistica (ex Ds e attualmente deputato del Pd), ma intanto il centrosinistra ha preso i voti ed è di nuovo al comune e nei municipi a “far danni”, e Veltroni che doveva andare in Africa ritornerà in parlamento dopo un paio di anni…

Continua quindi la storia dello stabilimento in via di Salone, infatti dopo quella del 2002 firmata da Verzaschi, sono seguite fino al 2009 le proroghe della Regione, prima della discussa e discutibile AIA concessa dalla Provincia di sinistra nel 2009 con il parere favorevole del comune di Roma. E’ infatti con questa autorizzazione che la divisione italiana della multinazionale ex-farmaceutica, le cui radici storiche sono intrecciate al nazismo e al fascismo (originariamente la Basf produceva il pesticida usato nelle camere a gas), continua le sue attività “insalubri” in un centro abitato.
Alla multinazionale nessun ente mette i bastoni tra le ruote e tutti i politici sono sempre in astinenza da voti, anche grazie a molti comitati che alimentano questa dipendenza e non nascono per difendere i cittadini, ma come studiati serbatoi elettorali che sfruttano chi vuole impegnare le proprie energie per tutelare il territorio e non per essere il paravento di qualche politico locale.

Prima lo fanno i Ds veltroniani, stringendo un patto “fasullo” con la Engelhard, e la Repubblica di De Benedetti gli fa perfino un bello spot elettorale nel pieno della campagna: i comitati, come fonte dell’attendibile notizia, allegano al volantino il prezioso articolo.
Poi il nuovo sindaco Alemanno, quando la Provincia dovrebbe concedere l’Autorizzazione Integrata Ambientale, potrebbe ancora opporsi in quanto direttamente responsabile della salute dei cittadini, ma non lo fa perché ha già un grattacapo con la Romeo Gestioni, e una possibile “contesa” in tribunale con la Basf, che può contare sull’appoggio di importantissimi studi legali internazionali, sarebbe molto di più di un grattacapo. Ma comunque Alemanno riesce a mantenersi la “faccia pulita”, almeno dal punto di vista politico, concedendo il suo parere favorevole a una condizione. Eccola, letteralmente: “Si chiede alla Soc. Basf Italia srl di procedere alla sperimentazione del metodo alternativo all’inceneritore denominato Acqua Critox/Acqua Cat, o di altro tipo di metodologia alternativa similare”. In pratica questa costosa tecnologia che abbatterebbe l’inquinamento non veniva imposta, come avrebbero voluto i cittadini, ma bastava solo “sperimentarla”. Ma almeno i comitati che hanno abboccato con troppa facilità all’amo di Veltroni, scrivono dure parole al sindaco che aveva provato a prendere due piccioni con una fava (non contrastare la Basf e far vedere ai cittadini che era sensibile alla loro salute ): “questo accordo permette alla Basf la possibilità di continuare a usare l’inceneritore semplicemente invalidando, dopo la sperimentazione di un anno, la nuova tecnologia AcquaCritox con qualsiasi banale motivazione”.

Infine si arriva allo scorso dicembre. Dopo che i comitati avevano diffidato il presidente Nicola Zingaretti dal concedere proroghe o autorizzazioni per quell’impianto, la Provincia concede una nuova AIA che dura sei anni, ma le promesse e le ipotesi di delocalizzazioni rimangono dietro l’angolo. Infatti cinque mesi prima dell’ultima autorizzazione i comitati locali hanno incontrato alcuni rappresentanti della Provincia perché, insieme al Comune e ai rappresentanti dell’azienda, si apra un tavolo per la delocalizzazione. E i comitati continuano comunque a sperare anche che Alemanno, in qualità di garante della salute dei cittadini, chiuda l’ “inceneritore” con un’ordinanza ad hoc, e continuano anche ad attaccarlo: gli unici controlli che per loro sono attendibili, sono quelli disposti dall’Istituto Superiore di Sanità e che il Comune si era impegnato a portare avanti, ma questi controlli non sarebbero mai partiti .

LO CHIAMAVANO INCENERITORE…
Quando si parla della Basf di via di Salone si fa sempre riferimento a un “inceneritore” ma nessuno mai riporta la definizione che la legge italiana dà di questa parola… E le differenze tra le definizioni legislative e quelle “comuni” di giornali e tg spesso non vanno d’accordo. E si tratta di differenze che valgono molti soldi e possono ingenerare confusione se non chiarite: per inceneritore si intende un impianto che smaltisce rifiuti e che ha come fine principale lo smaltimento di rifiuti (che possono essere urbani o provenienti da attività industriali), anche se magari dalla loro combustione se ne ricava energia elettrica. Invece se, per esempio, una centrale elettrica (e quindi un impianto che ha come fine principale la produzione di energia elettrica e non lo smaltimento di rifiuti) utilizza rifiuti per produrre energia si può definirla “impianto di coincenerimento”. La Basf sembrerebbe rientrare in quest’ultima tipologia, dato che smaltisce dei rifiuti anche se il suo fine principale è quello di estrarre metalli preziosi come il platino dai catalizzatori, e non quello di smaltire rifiuti: di fatto, nella comune vulgata, è un inceneritore perché ci sono dei forni che bruciano metalli pesanti, ma, come specifica la legge, questo tipo di impianto è tenuto a osservare altri limiti di emissioni e altre prescrizioni, diversi da un inceneritore come, ad esempio, quello di Acerra, sbandierato in Campania dal duo Bertolaso-Berlusconi, che serve a smaltire i rifiuti urbani, meno inquinanti di altri tipi, ma in quantità maggiori.

Inceneritore, industria più o meno salubre o coinceneritore che sia, la volontà dei cittadini è chiara, meno lo sono le promesse dei governanti, sia quelle dei politicanti locali “paurosi” verso i colossi economici, sia quelle di chi siede sui più alti scranni della politica e che dovrebbe imporre dei paletti per tutelare l’ambiente.

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