Messa in si minore
di Johann Sebastian Bach
La Capella Reial De Catalunya, Le Concert Des Nations, direttore Jordi Savall
Solisti: Céline Scheen, Yetzabel Arias Fernández, Pascal Bertin, Makoto Sakurada, Stephan MacLeod.
2 DVD + 2 SACD Alia Vox AVDVD9896
Composta a Lipsia, città su cui regnava Federico Augusto II, principe elettore cattolico di Sassonia, e poi re di Polonia, la Messa in si minore BWV 232 fu composta da Bach negli ultimi anni della sua vita. Un omaggio fatto al principe con la speranza di una nomina alla cappella ducale. Dalla concezione monumentale, questa messa fonde insieme elementi moderni e arcaici, frutto di un montaggio equilibratissimo di pagine originali, parodie, e adattamenti di pezzi anteriori. La grande fantasia della composizione e la spontaneità dell’eloquio che scaturisce da questa sapiente costruzione sono qualità messe in grande risalto nell’interpretazione di Jordi Savall (che, nel repertorio bachiano, ha già inciso delle versioni di riferimento dei Concerti Brandeburghesi, dell’Arte della Fuga e dell’Offerta Musicale). La sua è una lettura di ampio respiro e molto fluida, che si distingue rispetto all’intensa spiritualità di quella di Leonhardt, all’ebrezza sonora impressavi da Brüggen, al brio e allo slancio vitale dell’interpretazione di Herreweghe. Savall elimina le spigolosità, evita di staccare tempi troppo incalzanti. Tutto sembra sgorgare con estrema naturalezza dalla sua bacchetta, anche se ogni trama è cesellata nel minimo dettaglio, e resa con nitidezza e cura per l’equilibrio dei piani sonori. Si ammira soprattutto la perfezione vocale, anche nelle parti del coro, che sono di una complessità paragonabile se non superiore a quella delle parti solistiche. Savall ha selezionato 27 giovani cantanti (la Capella Reial De Catalunya) attraverso un concorso ad hoc, dando vita a un ensemble vocale omogeneo, di grande freschezza e molto duttile, capace di cogliere la profonda espressività di alcune pagine come il Crucifixus e tutta la brillantezza delle fughe. Nelle parti solistiche, l’angelico fraseggiare del soprano Céline Scheen seduce quanto il colore caldo del soprano Yetzabel Arias Fernández, e la grande omogeneità di emissione del tenore Makoto Sakurada. Questa esecuzione, che è anche un omaggio di Savall alla moglie recentemente scomparsa, il grande soprano Montserrat Figueras, è stata incisa live il 19 luglio 2011, al festival di Fontfroide, all’interno dell’omonima abbazia cistercense, che sorge a pochi chilometri da Narbonne. La ricca confezione proposta dall’etichetta Alia Vox comprende un libro con tre saggi, tradotti in diverse lingue, numerose foto a colori e patinate, che riproducono i manoscritti bachiani, e varie immagini dell’esecuzione; una registrazione in versione audio multicanale, in due Super Audio CD; un dvd della stessa esecuzione, con riprese ravvicinate che permettono di coglierne molti dettagli, e di ammirare gli strumenti d’epoca, ma anche carrellate di immagini che catturano il fascino dell’abbazia, i suoi chiostri, il magnifico paesaggio che la circonda; un lungo documentario che spiega come Savall ha affrontato la partitura bachiana, con alcuni frammenti delle prove che si soffermano sui solisti e sui musicisti dell’orchestra (Le Concert Des Nations).


HermannWasser

di Arnulf Hermann
Ensemble Modern, Schola Heidelberg, direttore Hartmut Keil
intepreti: Sarah Maria Sun, Boris Grappe
Ensemble Modern Medien EMCD-019
Wasser (acqua) è la prima opera per il teatro di Arnulf Herrmann, compositore di grande talento, ancora da scoprire al di fuori della Germania. Nato a Heidelberg nel 1968, ha studiato a Monaco, a Dresda, a Parigi (dove ha frequentato l’Ircam e studiato con Gérard Grisey e Emanuel Nunes), a Berlino (dove è stato allievo di Jörg Mainka, Gösta Neuwirth e Hanspeter Kyburz). Applaudita alla Biennale di Monaco 2012, poi approdata all’Opera di Francoforte, dove è stata registrata, Wasser è un’opera musicalmente raffinata, piena di invenzioni timbriche e strumentali, di sottili distorsioni armoniche, e caratterizzata da una sontuosa scrittura vocale, sia nella parti solistiche che nei concertati. E soprattutto efficace dal punto di vista drammatico, nella sua rappresentazione della irreversibilità degli eventi e di uno stato mentale in cui si mescolano ricordi e incubi, si evoca la sofferenza per la perdita di una persona amata, come in una rilettura del mito di Orfeo e Euridice. Protagonista della storia è Robert, un uomo che si risveglia, una sera, in una camera di hotel, completamente disorientato. Va nella lobby, dove c’è un party, ma dove tutto appare strano, distorto, fuori sincrono. Ha l’impressione di conoscere quella gente – ma non riesce a ricordare – forse anche una donna, Katja, che danza e canta in pubblico. Quell’immagine si sovrappone a quella della moglie scomparsa, generando in lui profondo turbamento, un riaffiorare confuso di sentimenti, un mondo di affetti inafferrabile, che alla fine si dissolve, come un sogno. Il librettista Nico Bleutge ha lavorato a stretto contatto con il compositore (come aveva già fatto per precedenti composizioni vocali di Hermann), dando forma a un testo intimamente legato alle idee musicali, un libretto articolato in tredici brevi scene che scorrono senza soluzione di continuità, fatto di versi brevi, spezzati, pieni di allitterazioni, che già da soli creano una dimensione di inquietudine e di smarrimento. Hermann ha creato una drammaturgia spiraliforme, con continui accumuli di tensione, cercando la massima integrazione tra testo e musica, costruendo alcune scene su un principio di rotazione, che mima il gioco a ritroso della memoria. Nella scrittura strumentale (destinata a venti virtuosi dell’Ensemble Modern, diretti da Hartmut Keil), ha cercato di dare a ogni scena una precisa caratterizzazione sonora e timbrica, sfruttando elementi molto connotati, linee melodiche (anche il canto di un bambino fuori scena, e un’aria del tenore, un po’ come quella del Rosenkavalier, cantata davanti a un microfono da Sebastian Hübner), ritmi di danza, sincopati jazz, strutture periodiche. Ma sempre sottotraccia, come parte integrante di un ordito complesso, che fa ampio uso dei fiati, con improvvise frammentazioni, con effetti di gocciolamento, con un continuo gioco di distorsioni armoniche e linee microtonali, con il live electronics sempre legato a specifiche situazioni drammatiche, soprattutto nelle scene di sogno. Il baritono Boris Grappe incarna molto bene il personaggio smarrito e angosciato di Robert, moltiplicato da quattro alter ego (membri del Vokalensemble Schola Heidelberg), che creano un gioco di specchi, tipico degli incubi, e un tessuto polifonico che suona come un corale di sottofondo. Katja è interpretata da un’impeccabile e sensuale Sarah Maria Sun.

DukasAriane et Barbe-bleue
di Paul Dukas
orchestra e Coro del Teatro Liceu di Barcellona, direttore Stéphane Denève
interpreti: Beatriz Jiménez, Jeanne-Michele Charbonnet, Patricia Bardon, Elena Copons
Blu ray disc Opus Arte OA BD7114 D
Spettacolo registrato al Gran Teatre del Liceu di Barcellona tra giugno e luglio 2011, ha premesso di riscoprire l’unica opera di Paul Dukas (messa in scena a Parigi nel 1907, cinque anni dopo il Pelléas di Debussy), Ariane et Barbe-bleue, basata su un libretto di Maurice Maeterlinck (al quale si era ispirato anche Béla Balàzs per Il Castello del principe Barbablù di Bartók). L’antica leggenda di Barbablù, raccontata anche da Perrault, viene qui letta in chiave simbolista: Arianna riceve da Barbe-Bleue, come dono di nozze sei chiavi d’argento, che le danno accesso a tesori preziosissimi, più una chiave d’oro, ma di una porta proibita. Ariane la apre, e scopre le cinque mogli che la hanno preceduta, imprigionate al buio. Offre loro una via di fuga, ma queste rifiutano e preferiscono la loro schiavitù familiare al peso della libertà. E Ariane se ne va in lacrime. La regia di Claus Guth non segue letteralmente il libretto, sfrutta le ambiguità di questa dimensione simbolica, evita soluzioni prevedibili e cliché, si concentra sulla volontà di Ariane di scrutare l’animo delle precedenti mogli di Barbe-bleue. Si mostra sicura che siano ancor vive, esamina i segreti di quel mondo oscuro, non solo aprendo le porte ma osservando anche attraverso la superficie del pavimento gli orrori che vi si celano sotto. La nitida scenografia di Jürgen Hoffmann trasforma il castello in un cottage di campagna, in uno spazio chiuso, su due livelli, con sei porte nel livello superiore e le prigioni in quello inferiore. Quando Ariane apre la settima porta, e la voce delle donne diventa udibile, lei scene in questa specie di inferno, dove le donne si muovono come dementi, spaventate di fronte alle sue domande. Ariane allora le conduce nella sala principale del castello, le pettina, cerca di entrare in confidenza con loro, e di convincerle a fuggire. Ma invano. Sul podio, Stéphane Denève mette in risalto la sontuosa orchestrazione, piena di effetti, anche se l’orchestra non è proprio di prima qualità. Coglie gli echi del Pelléas, del Parsifal, della Salome di Strauss, gli aspetti labirinitici e dark della partitura, gli impasti densi dell’orchestrazione, la suspense, la dimensione enigmatica nel conflitto tra la luce e le tenebre. Jeanne-Michele Charbonnet è calata molto bene nei panni della protagonista, mostra una con grande sensibilità espressiva in un ruolo difficilissimo e faticoso, nonostante gli acuti un po’ chiusi e l’ampio vibrato. La affianca un’ottima Patricia Bardon, nei panni della nutrice, un veterano come José Van Dam che interpreta Barbe-bleue (un ruolo importante dal punto di vista drammatico ma vocalmente episodico), e le bravissime cinque interpreti che danno corpo e voce alle cinque mogli (Ygraine, Mélisande, Bellangère, Sélysette, Alladine), due soprani, due mezzosoprani e una attrice, tra le quali spicca la Selysette di Gemma Coma-Alabert.

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