Lo scetticismo che accompagna l’attuale governo in carica, specie per quanto riguarda i temi economici, sta trovando conferma nelle prospettive poco edificanti che si stanno man mano formando tra gli osservatori. L’Italia, ancora una volta, sembra perdere il treno del rilancio economico e competitivo, persa nelle diatribe interne tra alleati di circostanza, che stanno condannando il paese ad un immobilismo decisamente inopportuno.
In vista delle prossime tappe economiche, prima tra tutte la stesura della legge di Stabilità da presentare a fine novembre, i segnali lanciati non lasciano certo presagire un autunno tranquillo: nonostante le mirabolanti promesse, il rischio di un inasprimento delle misure fiscali rimane particolarmente preoccupante.
Eppure, le buone notizie che giungono da Bruxelles dovrebbero infondere almeno un minimo di fiducia nel futuro. La fine della recessione nell’Eurozona, certificata in questi giorni dall’Eurostat con il segno positivo del PIL registrato nell’ultimo trimestre, non ha tuttavia intaccato le prospettive negative per l’Italia, che continua a perdere ricchezza. Il reddito nazionale, attestatosi a -0,3% tra aprile e giugno, rischia di essere rivisto al ribasso anche per quanto riguarda le proiezioni di fine anno, che già prevedono un calo par a -1,3%. Per inciso, il Belpaese è l’unico tra quelli appartenenti al G8 a mostrare una previsione di PIL negativo per il 2013. Così, mentre sulle principali piazze borsistiche europee si registra un segno positivo, Milano continua a perdere punti, vista anche e soprattutto l’incertezza politica sulla tenuta del governo.
Per completare il quadro, occorre citare anche l’aggiornamento della classifica mondiale sulla competitività, emessa dal World Economic Forum. L’Italia scivola al 49esimo posto, mentre i grandi paesi europei mantengono le posizioni (oppure le migliorano, visto che la Germania è diventata quarta). Come riportato da tutti i media, a pesare sulla perdita di competitività sono soprattutto gli indicatori di efficienza nel mercato del lavoro, per cui siamo quasi ultimi nel mondo (137esimi su 148). Le cause risiedono sia nella strana flessibilità all’italiana, per cui la mobilità è minima e le barriere in entrata sono massime, sia per lo scarso impiego dei “talenti”, soprattutto giovani laureati. I dati, asciutti ed impietosi, non hanno di certo interferito con la normale dialettica parlamentare di questi giorni, come se l’argomento non fosse sotto la responsabilità di chi legifera, ma piombi invece sulle nostre teste come il brutto tempo.
Mentre fuori la tempesta infuria, infatti, il Parlamento è impegnato a prendere una decisione sul futuro di Berlusconi, scegliendo come sempre di guardare la pagliuzza e non la trave che ormai ci rende quasi ciechi. Le scadenze tuttavia esistono, per cui qualunque decisione venga presa, tenendo conto delle eventuali conseguenze sul governo Letta, l’Italia dovrà presentare una legge di Stabilità ed approvare un bilancio dello Stato per il 2014. Volendo fare una stima di ciò che ci attende, gli scenari con o senza governo non presentano differenze enormi, visti gli impegni presi con Bruxelles, anche se alcuni provvedimenti annunciati potrebbero essere prontamente rimodulati. Con tutta probabilità si dovrà puntare ancora sulla strada del risanamento fiscale, anche se molto dipenderà dai mercati, il cui comportamento è determinante per mettere a punto previsioni efficaci sulla copertura necessaria per ripagare il debito pubblico.
La prima ipotesi da valutare riguarda la prosecuzione del governo attuale, anche se tale possibilità diventa ogni giorno più improbabile. Non essendoci il più pallido barlume di crescita in prospettiva, trovare i soldi per finanziare le promesse fatte sarà veramente dura. Le mancate entrate della prima rata dell’IMU hanno già incrementato il fabbisogno statale di circa 2 miliardi e mezzo, mentre un altro miliardo dovrebbe servire a coprire il mancato aumento dell’IVA. Inoltre, il governo si è impegnato a portare avanti la questione dei debiti della P.A. verso le imprese, intrapresa dall’esecutivo di Monti, ma ad oggi solo una piccola parte è stata pagata. L’insieme di queste misure richiede nei fatti uno sforzo fiscale immane, pena la destabilizzazione del sistema dei servizi pubblici, specie quelli regionali. Il ministro Saccomanni non si è ancora espresso in merito: una prima bozza potrebbe arrivare già nel mese in corso, con il documento di revisione delle stime del DEF, mentre per il momento dobbiamo accontentarci del generico riferimento alla service tax. Tale scenario potrebbe poi peggiorare qualora lo spread torni a crescere in modo sostenuto, possibilità non molto remota vista l’incertezza del governo ed il probabile sforamento del target di deficit.
La seconda ipotesi da tenere in considerazione è la caduta di questo governo, che potrebbe sopraggiungere da un momento all’altro non a causa dell’immobilismo legislativo, delle pessime prospettive economiche o della disoccupazione crescente, bensì per la decadenza di un singolo senatore. In questa eventualità lo scenario si presenta ancora più incerto, ma la legge di Stabilità qualcuno dovrà comunque farla. Nel caso di nuova maggioranza potrebbe anche verificarsi un improbabile dietrofront sull’IMU oppure sull’IVA. Un ritorno ai “tecnici” sarebbe altrettanto clamoroso, ma non impossibile qualora i mercati non prendessero bene l’ipotesi di nuove elezioni, facendo esplodere la speculazione sul nostro debito. Il rischio di finire come la Grecia, dove alla fine una maggioranza improvvisata si è genuflessa ai diktat di Bruxelles e Berlino, potrebbe diventare improvvisamente concreto.
Il punto è che a tornare sull’orlo del precipizio ci vuole veramente poco, gettando al vento due anni di sacrifici fiscali e riforme mal tollerate, come ad esempio quella pensionistica. Il fatto di essere usciti dalla Procedura per Deficit Eccessivo non giustifica, infatti, un allontanamento dell’Italia dagli obiettivi di medio termine su deficit e debito pubblico. Il problema è che le stime di crescita preparate due o tre anni fa erano particolarmente ottimistiche rispetto a quanto possiamo constatare oggi, per cui l’indebitamento netto sarebbe dovuto calare senza la necessità di ulteriori tagli. La mancata crescita, dunque, amplifica le conseguenze dei mancati introiti da IMU ed IVA, per cui oggettivamente mancano le adeguate coperture. La speranza è che il ministro Saccomanni riesca a convincere Europa e mercati che i soldi ci sono, esercizio particolarmente complesso quando non si ha la certezza nemmeno di essere al governo la settimana successiva.