Ignaro di essere stato fotografato dall’autovelox piazzato dalla polizia municipale, viene affrontato dalla moglie (alla quale era stata consegnata la multa e la documentazione fotografica) senza aver potuto… predisporre una giustificazione. Decide quindi di citare in giudizio il Comune per turbativa della pace familiare chiedendo un adeguato risarcimento. Il Comune rifiuta e la questione finisce sul tavolo del Magistrato.
Il caso di cui si è occupata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5023 depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2013 era fino a poco tempo fa piuttosto frequente.
In primo grado il Comune si difendeva oltre che nel merito della questione, eccependo che la Polizia Municipale quando eleva sanzioni agisce quale organo dello Stato e conseguentemente la domanda andava rigettata, essendo stato convenuto in giudizio il soggetto sbagliato.
Il giudice di primo grado tuttavia accoglieva la pretesa, seppur riconoscendo un modestissimo ristoro, all’epoca in 2 milioni di lire.
Il Comune appellava la sentenza insistendo per la carenza di legittimazione passiva, posto che il Sindaco nella sua veste di delegato della Polizia Municipale in tal caso agisce non quale dirigente dell’organo locale, ma quale rappresentante di un organo dello Stato.
La Corte di Appello accoglieva l’eccezione del Comune e rigettava la domanda del marito fedifrago.
Entrambi ricorrono in Cassazione
Pur trattandosi di un risarcimento estremamente modesto, entrambe le parti ricorrevano alla Corte Suprema.
Il marito, scoperto in sospetto adulterio, in quanto sosteneva di aver legittimamente convenuto in giudizio la Polizia Municipale e per essa il Comune.
Il Comune viceversa ritenendo che il giudice di secondo grado non aveva pronunciato sulle questioni connesse al diritto di accesso agli atti, sulla inapplicabilità delle norme a tutela della privacy e sulla inesistenza del danno.
La Cassazione decideva soltanto sul punto della legittimazione, ritenendo che giustamente era stato convenuto in giudizio il Comune e la Polizia Municipale ed aveva errato la Corte di Appello di Bologna nel ritenere estraneo l’ente locale alle conseguenze illecite dell’agire dei suoi dipendenti.
Infatti argomentava la Suprema Corte che, le conseguenze dannose, ex art. 2043 c.c. dell’agire degli agenti di Polizia si riversano sul Comune anche alla luce del disposto di cui all’art. 28 della Costituzione, il quale prevede come i dipendenti dello Stato e degli Enti Pubblici siano direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili ed amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti e la responsabilità civile si estenda allo Stato e agli Enti Pubblici relativi.
Richiamava inoltre la Corte anche il disposto di cui all’art. 2049 c.c. che riguarda come è noto la responsabilità dei committenti per i danni arrecati dai soggetti incaricati di incombenze per conto del mandante.
La questione della protezione dei dati personali.
Le foto dell’autovelox e l’intervento del Garante della privacy.
Dopo numerose segnalazioni, protesti e ricorsi al Garante da parte degli automobilisti che venivano immortalati con persone con le quali non si sarebbero dovuti trovare e per di più ignari della foto che veniva inviata al domicilio, attualmente è previsto che le immagini riprese dall’autovelox, debbano essere ritirate personalmente dal proprietario dell’autoveicolo presso gli Organi di Polizia che hanno emesso la contravvenzione.
Sulla questione il Garante della Privacy è tornato recentemente con il provvedimento n. 408 del 13.12.2012 estendendo la tutela e vietando di riportare immagini scattate dall’autovelox di soggetti non coinvolti nella documentazione fotografica comprovante la violazione del Codice della Strada.
Quindi il Garante ha così statuito: “Le risultanze fotografiche con le riprese video possono individuare unicamente gli elementi previsti dalla normativa di settore per la predisposizione del verbale di accertamento delle violazioni, il tipo di veicolo, il giorno, l’ora ed il luogo nel quale la violazione è avvenuta;, deve essere effettuata una ripresa del veicolo che non comprenda o in via subordinata mascheri, per quanto possibile la porzione delle risultanze video e fotografiche riguardanti soggetti non coinvolti nell’accertamento amministrativo (per es. pedoni o altri utenti della strada)”.
La storia si ripete
L’episodio ha fatto venire a mente dello scrivente, una situazione simile verificatasi moltissimi anni or sono nel periodo del praticantato legale. In quel caso l’imbarazzo aveva riguardato non un qualsiasi cittadino, bensì un pretore.
Il caso era finito nelle aule di giustizia, non per violazione della privacy (all’epoca non esisteva nulla del genere), ma per le contestazioni relativamente al soggetto che avrebbe dovuto procedere al risarcimento dei danni.
La vicenda era la seguente: il pretore stava percorrendo a bordo della propria utilitaria, a notte fonda, una strada notoriamente frequentata delle prostitute (del tutto casualmente, si intende).
Improvvisamente la vettura avanti a lui sterzava bruscamente, avendo evidentemente il conducente rinvenuto… un soggetto interessante, e il giudice, (il quale forse era distratto…), tamponava violentemente la vettura responsabile della manovra azzardata.
Poiché il giudice non voleva saperne di risarcire il danno, contestando la tesi avversaria, che si trattasse di un banale tamponamento, il soggetto presuntamente danneggiato (sia per l’auto, sia per la serata rovinata) notificava atto di citazione con ampia descrizione dei fatti, dei luoghi e delle circostanze, atto che veniva recapitato dall’Ufficiale giudiziario, in plico aperto (come si usava) alla moglie del pretore, con tutte le conseguenze nefaste immaginabili.
La causa venne seguita con interesse dal piccolo mondo giudiziario di quel periodo (all’epoca gli avvocati sull’albo di Roma non raggiungevano neanche il numero di 6mila contro i circa 25mila attuali).
Per la cronaca, per quanto mi ricordo, il processo terminò con una sentenza salomonica.
Le compagnie di assicurazioni si accordarono per un concorso di colpa al 50%.