Martedì 18 novembre nell’Aula Magna al secondo piano del Palazzaccio, si è svolta l’udienza delle Sezioni Unite civili della Cassazione nella causa numero 5 (Lorenzoni contro Senato). In contemporanea la IV sezione del Consiglio di Stato depositava la sentenza 4618/2014 riguardante una gara di appalto della Presidenza della Repubblica.
Ancora il principio dell’Autodichia, grazie al quale i palazzi del potere hanno massima libertà di manovra. Ancora una volta si procede in ordine sparso.
L’udienza delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione del 18 novembre 2014, sul caso Lorenzoni, è stata già descritta in termini sardonici dai radicali, sul blog in cui da anni seguono la questione: basta consultare ((http://autodichia.blogspot.it/2014/11/autodichia-unudienza-storica.html)) per risentire le note della fine del Don Giovanni di Mozart, con Leporello che sen va “all’osteria a cercare padron migliore”.
Ma chi – partendo dal teatrino inscenato dalla difesa del Senato – credesse che siano solo gli attori senatizi ad aver trasformato in pochade il più granitico dogma del parlamentarismo nostrano, rimarrebbe amaramente deluso: in quelle stesse ore, la IV sezione del Consiglio di Stato depositava la sentenza n. 4618/2014, con cui i giudici amministrativi hanno radicato giurisdizione su di una gara d’appalto della Presidenza della Repubblica di affidamento dello sportello bancario interno al Quirinale.
Già lo studio comparatistico condotto all’Ufficio studi della Corte costituzionale dal professor Passaglia – propedeutico alla sentenza n. 120/2014 ((www.cortecostituzionale.it/documenti/…/CC_SS_autodichia_062014.pdf)) – aveva dimostrato che l’estensione dell’autodichia ai rapporti con le ditte, decisa da Violante e Pera, andava in direzione opposta alla dismissione dell’autodichia anche per i dipendenti, riscontrata nelle principali democrazie straniere.
Eppure, qui il Consiglio di Stato trova il modo di sostenere che “la competenza “giustiziale” della Presidenza della Repubblica è stata confermata anche di recente, sia dal giudice ordinario sia da quello amministrativo, ma rispetto alle controversie in materia di rapporto di lavoro e di impiego con il Segretariato Generale, alle quali sono assimilate quelle da ultimo previste dall’art. 1, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 2008, n. 34/N (cfr., rispettivamente, Cass. civ., ss. uu., ord. 17 marzo 2010, n. 6529; Cons. Stato, sez. IV, 15 dicembre 2011, n. 6617)”.
È sul riconoscimento dell’autodichia “anche in settore diverso e ulteriore, quale quello delle gare e dei contratti”, che la IV Sezione trova tutto il suo coraggio. Novello Rodomonte, il Consiglio di Stato giudica “indiscutibile che, nell’attuale assetto costituzionale, l’autodichia non sia momento essenziale per assicurare effettività alla posizione di autonomia e indipendenza degli organi costituzionali (cfr. Cass. civ., ss. uu, n. 6529 del 2010, cit.).
Essa dunque esiste se e nella misura in cui l’organo, sul necessario fondamento costituzionale (esplicito o, come anche si sostiene, implicito), abbia deciso di farne uso”.
Qui però la Sezione si spaventa: non sia mai che si sia andati troppo oltre? E se questo significasse avallare la bestemmia del disegno di legge ordinario che dal 2009 invano chiede (senatori Maritati, Leddi e Bernardini prima, Buemi ora) l’abolizione tout court dell’autodichia?
Ecco quindi che il Rodomonte si trasforma nel causidico in polpe e pantofole: “anche ad ammettere che il potere di auto-organizzazione della Presidenza possa spingersi sino a derogare alla normativa comune, attribuendo a organi domestici la cognizione delle controversie tra il Segretariato generale e soggetti terzi anche al di là dell’ambito del rapporto di impiego, occorre anche rilevare che, in concreto, la Presidenza non ha comunque ritenuto di esercitare il potere in questione, diversamente da quanto hanno disposto, con specifici regolamenti, Camera e Senato, ampiamente ricordati negli atti di causa”.
Ma forse anche questo è troppo: la lotta dura senza paura si trasforma nella scoperta di un mero equivoco, “posto che gli organi del contenzioso della Presidenza della Repubblica sono stati istituiti espressamente per le controversie di pubblico impiego e non potrebbero certo autonomamente estendere le proprie competenze in ambiti che le fonti istitutive non contemplano”.
Non si credesse – cioé – che i terzi sono sottoposti ad autodichia, al Quirinale: non lo sono mai stati, visto che “il primo a non essere convinto del supposto difetto assoluto di giurisdizione sembra essere lo stesso Segretariato Generale, poiché – come bene osserva la B.N.L. – il bando e il disciplinare di gara, provenienti dal Segretariato, attribuiscono le eventuali controversie alla cognizione esclusiva del Foro di Roma, con ciò evidentemente escludendo qualunque riserva di giurisdizione interna”.
Arriviamo così alla levità di Cherubino, per restare in ambito mozartiano: in attesa della camera di consiglio delle sezioni unite della cassazione, l’autodichia perde un pezzo anche a palazzo Spada. Ma lo fa così, con eleganza, lasciandosi aperte tutte le porte per le possibili vie di fuga.
Hai visto mai….