L’automobile non nasce così come la conosciamo, con il motore a scoppio, ma elettrica. La “Jamais contente”, un siluro costruito e pilotato dal belga Camille Jenatzy, fu la prima vettura a superare i 100 km/h ed era elettrica. Stiamo parlando del 1899, con precisione del 1° maggio di quell’anno, ed il record stabilito era frutto di un concorso indetto da un giornale francese per vedere quale tra elettrico, vapore e scoppio fosse il miglior sistema di trazione per l’automobile.
Sono passati oltre 100 anni da quelle pioneristiche sfide che videro l’elettrico dominare la scena per poi essere messo da parte a favore dello scoppio. Tante possono essere state le ragioni di quella scelta, non ultima lo strapotere, già allora, delle lobby americane dei petrolieri, ma sta di fatto che da qualche anno a questa parte si sta ritornando alle origini, riscoprendo la trazione elettrica per le autovetture. Anche qui le motivazioni possono essere le più diverse e grande incisività è data dal sempre crescente prezzo del petrolio e dalle previsioni che, da qui a qualche anno, l’oro nero cominci a scarseggiare per prosciugamento delle fonti. Ergo: bisogna consumarne di meno per farlo durare di più.
Le auto elettriche moderne si dividono in elettriche pure ed ibride. Le prime affidano alle sole batterie che portano a bordo l’alimentazione dei motori elettrici che le spingono sulle nostre strade, le seconde abbinano alla trazione elettrica sino ad una certa velocità quella a scoppio tradizionale. L’abbinamento dei due sistemi sembra essere la scelta al momento preferibile, anche per far digerire al pubblico il passaggio epocale, riducendo al minimo i traumi, consentendo nel contempo di risolvere uno dei problemi di base dell’auto elettrica, la scarsa autonomia. Infatti, pur con tutti i passi avanti fatti dagli accumulatori, che oggi pesano la decima parte di quelli di venti anni fa ed hanno potenze immensamente superiori, l’autonomia in modalità puramente elettrica è molto limitata, raggiungendo raramente i 100 chilometri. Numero sufficiente per gestire il tragitto quotidiano medio casa-ufficio, ma psicologicamente limitante per chi pensa alla propria auto come ad un sistema di trasporto aperto a distanze maggiori. A questo limite permettetemi di aggiungerne un altro: finché la produzione di elettricità casalinga, la presa di corrente cui allacciare la propria auto elettrica per ricaricarne le batterie, sarà affidata in buona parte alle centrali termoelettriche alimentate a carbone o petrolio, non stiamo facendo altro che spostare il problema da un versante all’altro. Certo il solare e l’eolico avanzano, ma nel frattempo il nucleare arretra ed il conto è sempre più o meno in pari…
A questi ragionamenti si associano chiari intenti nella riduzione dell’inquinamento nei centri urbani, dove le ZEV (Zero Emission Vehicle) contribuiranno decisamente a ridurre le emissioni delle auto tradizionali. Quando saranno presenti in numero sufficiente sul territorio, naturalmente!
Tutto ciò perché nei giorni scorsi è stata consegnata al primo cliente europeo una Chevrolet Volt, vettura elettrica che sfrutta il motore a scoppio non in modo ibrido, ovvero per spostare la vettura quando si supera una certa velocità, ma per ricaricare le batterie quando il livello di carica scende al minimo dopo 80 chilometri percorsi. Una terza via, quindi, interessante e tutta da percorrere. La consegna è stata effettuata ad un manager di una nota azienda in Svizzera: una persona culturalmente evoluta, con buona disponibilità economica, in un paese che ha già grandissima attenzione per l’ambiente. Come far conoscere due persone già destinate a sposarsi. La sfida, permettetemelo, non è questa, ma quella di far accettare ed acquistare al cittadino medio europeo, nel nostro caso italiano, una vettura che sfrutti l’elettricità per avanzare, riducendo i consumi e l’inquinamento.
Tecnologicamente la spinta è molto forte, alcuni costruttori, come la Toyota, ci puntano da anni, passi avanti se ne sono fatti, ma tanto bisogna ancora fare affinché il grande pubblico arrivi a prendere in considerazione l’alternativa in sede di acquisto. Si tratta di rendere competitivi i prezzi rispetto ad un’auto tradizionale di pari dimensioni o di rendere recuperabile la differenza pagata all’acquisto in tempi brevi grazie ai consumi ridotti. O, ancora, di avere una scelta di modelli pari a quella alimentata a gasolio e benzina. Lo Stato italiano ha posto rimedio qualche anno fa al maggior costo di acquisto con degli incentivi che hanno sortito un piccolo effetto, visto che qualche ibrida si vede circolare. Ma all’epoca l’offerta era veramente scarsa e basata su modelli specifici non sempre belli da guardare. Riproporli oggi avrebbe più senso vista la maggiore quantità di vetture ibride presenti nei listini dei costruttori, tutti esteri.
A questo punto la domanda è d’obbligo, fatto salvo l’attuale stato di crisi dell’Italia, vuoi vedere che l’ostacolo maggiore al ritorno degli incentivi sia l’assoluta mancanza di auto ibride nel listino di Fiat? La casa italo-americana è oggi in fortissimo ritardo, pur potendo contare nel gruppo sulla tecnologia di Magneti Marelli. Il problema è crederci, così come fa Toyota da anni, oggi inseguita da Honda e dal Gruppo PSA che si prepara ad entrare sul mercato nelle prossime settimane.
Fiat o non Fiat l’elettrico dopo oltre un secolo è ripartito, l’offerta si sta moltiplicando, ma la strada da percorrere affinché la cultura dell’auto elettrica sia per tutti è ancora lunga. Bisognerà avere pazienza, ma ci dovremo arrivare!