“I senatori, gareggiando in zelo per rendere grandiosi i suoi funerali e onorare la sua memoria, emisero un gran numero di mozioni diverse; … Vi fu anche chi voleva che si desse al mese di settembre il nome di Augusto, attribuito al mese precedente, perchè questo lo aveva visto nascere, l’altro invece morire. Un altro propose che tutto il periodo compreso tra il giorno della sua nascita e quello della sua morte fosse chiamato secolo di Augusto e collocato sotto questo nome nei fasti.”
Secondo Svetonio all’indomani della morte di Augusto la sensazione generale era quella di avere attraversato una svolta epocale. (Augustus, 100). Un cambiamento storico che viene documentato e rappresentato ne L’arte del comando. L’eredità di Augusto, una nuova mostra allestita al Museo dell’Ara Pacis sino al 7 settembre. L’iniziativa, che si inserisce nelle celebrazioni del Bimillenario della morte dell’imperatore romano, è promosso da Roma Capitale e dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. L’esposizione, curata da Claudio Parisi Presicce Sovrintendente ad interim e Orietta Rossini Responsabile del Museo dell’Ara Pacis, approfondisce le politiche culturali e propagandiste attuate da Augusto durante il suo principato e che, in virtù della loro esemplarità, furono riprese nei secoli successivi.
Da Carlo Magno a Napoleone: gli eredi di Augusto
Grande capacità di ottenere consenso intorno alla sua persona ed esaltazione dei destini eroici di Roma furono le carte vincenti della sua politica. Una politica che gli permise di gettare le basi dell’immaginario imperiale e diventare fonte di ispirazione per i successivi imperatori fino ai regimi assolutistici del XX secolo. L’arte del comando di Augusto fu reinterpretata o semplicemente riproposta da imperatori come Carlo Magno, Federico II di Svevia e Napoleone. Sono esposti mosaici, monete, sculture, gemme, dipinti e incisioni, provenienti dai Musei Vaticani e da alcuni dei più importanti musei nazionali, come il Museo Nazionale di Capodimonte, la Galleria Borghese, il Museo Nazionale Romano in Palazzo Massimo, il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, la Pinacoteca Nazionale di Siena, la Biblioteca d’Arte e di Storia di San Giorgio in Poggiale di Bologna e tanti altri. Il percorso si snoda attraverso 12 sezioni divise per tema e periodo storico.
La prima sezione è dedicata alla propaganda del mito della discendenza divina della gens Iulia; segue una sezione incentrata sulla sopravvivenza del mito augusteo nella cultura cristiana ed una terza in cui è analizzata la fortuna di Augusto nel Medioevo. Nella quarta sezione, dedicata alla popolarità dell’imperatore tra Medioevo e Rinascimento, è narrata la leggenda dell’Ara Coeli. La leggenda narra di una profezia della Sibilla Tiburtina, consultata da Augusto, circa l’annuncio dell’arrivo “dal cielo di un re di sembianze umane che regnerà per secoli e giudicherà il mondo”. Poco tempo dopo all’imperatore, mentre si trovava nella sua camera, apparve una vergine su un altare con in braccio un bambino accompagnata da una voce che annunciava che quello era l’altare del “Signore del Cielo”. Augusto cadde in ginocchio in adorazione e rimase così impressionato dalla visione da far dedicare, nei pressi della sua camera, un altare a quel “Signore del Cielo”. Il nome “Ara Coeli”, cioè “Altare del Cielo”, deriverebbe quindi dall’altare costruito dall’imperatore, che costituirebbe così il primo nucleo della chiesa edificata qualche secolo dopo. A ricordo di questa leggenda, dentro la Basilica, sulla terza colonna della fila di sinistra è ancora leggibile in alto un’antica incisione: “A cubiculo Augustorum“. La quinta sezione analizza l’influenza romana sulla formazione dell’idea di impero a partire da Carlo Magno fino a Federico II di Svevia, mentre nella successiva se ne sintetizza lo sviluppo che ne diedero tre eminenti personalità del XIV secolo, Dante, Petrarca e Cola di Rienzo. Viene poi mostrata la recezione della figura di Augusto nel Rinascimento e spiegata l’importanza di Carlo V d’Asburgo, visto come il nuovo imperatore universale. La nona sezione tratta della riattualizzazione dei miti della propaganda augustea ad opera di Carlo IX di Francia, Elisabetta d’Inghilterra, Rodolfo II d’Asburgo e Ivan IV il Terribile di Russia. Segue una trattazione sulla ripresa del mito virgiliana d’Arcadia durante il secolo di ferro ed una sezione dedicata all’ultimo grande imperatore, Napoleone, la cui retorica riprende stilemi dell’impero Romano. La mostra è conclusa da una sezione dedicata alla ripresa mussoliniana della retorica romana, in cui il nuovo impero e il dux non sono altro che identificazione e riproposizione dell’impero romano e di Augusto. Qui sono esposti anche i numerosi frammenti dell’Ara Pacis che non fu possibile reinserire durante la sua ricostruzione nel 1937-38.
Il potere assoluto
Nel 31 a.C. Augusto, conseguito il potere assoluto, dovette far fronte al pessimismo imperante a Roma. Erano in molti infatti a credere che lo Stato fosse sull’orlo della rovina a causa della diffusa immoralità, del crollo degli antichi valori dissoltisi nelle crisi politiche e sociali della tarda repubblica. Roma usciva da oscuri decenni di guerre civili. Augusto capì che era necessario un programmo culturale di rinnovamento, fatto di immagini e segni, in cui si potessero rispecchiare le nuove esigenze morali e politiche. Ideò quindi un programma di ampio respiro e lo attuò con coerenza per più di venti anni ottenendo il rinnovamento della mentalità collettiva. Al lusso privato oppose la magnificenza pubblica, all’immoralità una campagna di rinnovamento religioso e morale, alle grandi celebrazioni dei generali sostituì il culto del sovrano eletto dagli dèi. Un simile programma richiedeva un nuovo linguaggio figurativo che riflettesse, e al tempo stesso influenzasse, l’evoluzione della mentalità. Augusto creò quindi un complesso di immagini in grado di esercitare un’influenza politico-culturale e in cui, come ha ben spiegato tempo fa Paul Zanker, anche “i rituali religiosi, le cerimonie ufficiali, l’abbigliamento in pubblico svolgevano un ruolo importante quanto le sculture, i nuovi templi e le pitture murali”. Augusto aveva bisogno inoltre di fare apparire ai contemporanei la sua ascesa al potere legittima ma soprattutto predestinata. Commissionò quindi una serie di opere che esaltassero le origine troiane di Roma e della sua stessa famiglia, la gens Iulia, il cui capostipite era non a caso l’eroe troiano Enea, figlio di Anchise e della dèa Venere. In questo senso furono concepiti gli arredi simbolici del Foro di Augusto, del Pantheon e dell’Ara Pacis. Svetonio scriverà che mentre Ottaviano stava tornando da Apollonia a Roma per reclamare i suoi diritti di figlio adottivo e di erede di Cesare “nel cielo limpido e puro apparve all’improvviso un cerchio, simile all’arcobaleno, che circondò il sole, mentre la tomba di Giulia, figlia di Cesare, fu colpita più volte da un fulmine. […] Tutti l’interpretarono come un presagio di grandezza e prosperità.” ( Augustus, 95). La predestinazione dell’ascesa di Augusto era ormai una certezza. Commissionò a Virgilio l’Eneide, considerata il manifesto letterario della sua politica, in cui l’età augustea veniva celebrata come la nuova età dell’oro, quando il tempo ricomincia un nuovo ciclo e riporta tra gli uomini semplicità, prosperità e pace. “Poeti e artisti dell’epoca parlano di un mondo felice, in cui un grande sovrano governa in pace un impero universale”, certo è che sotto Augusto Roma visse per quaranta anni nella pace e nella sicurezza, grazie all’istituzione dell’Impero, al programma di rinnovamento culturale e al grande slancio economico seguito. Con l’aiuto di capaci collaboratori, Augusto affidò l’elaborazione della sua stessa immagine ai migliori artisti del momento. Augusto aveva fatta della propaganda un’arte. L’arte del comando.