Nell’agosto del 2012 l’allora Ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali, Mario Catania presentò un progetto di Legge che intendeva proteggere il suolo italiano da sfruttamenti intesivi che tanti danni hanno provocato e provocano ancora oggi sotto forma di dissesto idrogeologico.
Il peggioramento della situazione è evidente al punto che bastano ricordi personali per inquadrare la situazione in Italia. Chiunque abbia confidenza con le previsioni del tempo, infatti, ricorda che in caso di pioggia le raccomandazioni che venivano date riguardavano la necessità di non dimenticare l’ombrello mentre oggi ci avvertono che è “stata allertata la protezione civile”.
Da parte loro organizzazioni “private” ma di fatto controllate dallo Stato, come le Ferrovie, ci avvisano che non saranno garantiti i servizi “in caso di condizioni meteorologiche avverse”. Tutto ciò avviene al di là di ogni evidenza europea dove i mezzi pubblici “in caso di condizioni meteorologiche avverse”, garantiscono ancora più servizi.
Che vi sia una connessione tra il disastro ambientale e la incapacità tecnologica è difficile da dimostrare, ma può essere considerata come le due classiche facce della medaglia. E comunque esiste un problema che è quello della mancata programmazione di alcunché che possa essere considerato un bene comune, come l’acqua, come l’aria, come il suolo, il paesaggio.
Addirittura abbiamo assistito a tentativi, non ancora del tutto abortiti, di privatizzare alcuni di questi beni, come l’acqua, mentre per il suolo non possiamo parlare da anni di tentativi, infatti ci sono riusciti benissimo.
Tutto ciò in una situazione in cui lo spazio è “stretto”, ovvero dove a parità di popolazione con la Francia disponiamo della metà del territorio. E’ anche inutile ricordare ai più, ma forse è utile ricordarlo alla politica, che in Italia si concentra quasi tre quarti del patrimonio archeologico mondiali, il settanta per cento delle opere d’arte europeo e l’ottanta per cento della biodiversità del vecchio continente, tralasciando Alpi, Appennini e coste.
La gestione di tutto ciò può creare problemi enormi che sono ogni volta ben evidenziati dai politici di turno che mai però parlano delle enormi opportunità che pure dovrebbero dare. La loro presenza infatti dovrebbe consentirci di “camminare sui dollari” e invece abbiamo la peggiore disoccupazione giovanile d’Europa, l’assenza di tutele di lavoro grazie a liberalizzazioni selvagge, una disoccupazione impensabile per un europeo normale nel settore dei laureati in archeologia, beni culturali, geologia.
E tutto ciò accade per scelte sbagliate che sono state fatte dagli anni del dopoguerra ad oggi. Facciamo qualche esempio concreto altrimenti non vale. La Sir a porto Torres, l’Ilva di Bagnoli, la stessa Alfasud, l’Ilva di Taranto, la cementificazione delle coste in nome dell’occupazione nel settore edile. Non siamo stati capaci nemmeno di fare rimboschimento in modo decente, eppure era facile bastava piante locali, e invece abbiamo messo pini marittimi sulle Alpi.
E di fronte a tutto ciò, di fronte agli sconquassi che da anni la politica provoca, semplicemente decidendo di non governare, l’unica azione degna di un atto di governo che riguarda il territorio, fatta appunto dal Ministro Catania, non viene presa in collaborazione né da Monti, né da quelli dopo.
Ma cosa proponeva la legge Catania?
Si tratta di un disegno di legge che tenta di porre un limite ai territori agricoli edificabili, limitando la cementificazione del territorio. Il disegno di legge è stato già analizzato dal passato Governo a metà settembre 2012 acquisendo anche il parere della Conferenza unificata dove le Regioni e gli Enti locali, tanto per non smentirsi, hanno proposto modifiche al testo, modifiche inutili fatte al solo scopo di ribadire un misero potere.
Comunque è arrivata l’approvazione del CdM e la legge avrebbe cominciare il suo percorso in Parlamento per diventare legge. Ma il Governo si è dimesso e nonostante sia rimasto in carica dalla presentazione della Legge per altri cinque mesi, non c’è stato tempo.
La domanda è cosa ha fatto il governo Monti di più importante nel frattempo? Personalmente non ne ho ricordo.
Eppure la proposta Catania ha avuto numerosi consensi, basti citare Legambiente, Greenpeace, o l’INU – Istituto Nazionale di Urbanistica – secondo il quale con la proposta “….le aree tutelate: non sono più solo e semplicemente quelle che rientrano nella classificazione di superficie agricola utilizzata ma tutte quelle non urbanizzate attorno alle città. Questo permette al provvedimento di fare un salto di qualità, diventando uno strumento che punta a ridurre il consumo di suolo in generale, non solo quello agricolo».
Da quel dì ne è passata di acqua sotto i ponti anche se è meno di un anno fa, ma si sa nelle società globali il tempo passa presto e anche l’acqua sotto i ponti, grazie al dissesto idrogeologico.
Allora a proposito di leggi che riguardano l’ambiente si potrebbe fare un appello alla neo ministra Nunzia De Girolamo e al governo Letta affinché approvino la proposta Catania in tempi non storici, possibilmente prima che arrivi l’ordine dello “sciogliete le fila”.
Possiamo anche capire che la legge elettorale, i provvedimenti per gli esodati, le misure per il lavoro, quelle sulla sanità abbiano maggiore urgenza rispetto al suolo, allora si può sopportare un rinvio, ma non mi sembra che al di là degli annunci di decreti e “decretini”, il Governo marci speditamente, anche perché ad oggi siamo alle proposte.
Ma si potrebbe però dire che l’introduzione della Autorizzazione Unica Ambientale è un passo in avanti.
Tralasciando tutte le “note menate” introduttive che già da sole fanno passare la voglia di leggere il testo e che sono composte da una miriade di “visto” come se il normale cittadino le andasse davvero a vedere, si arriva finalmente all”emana” e lì scopriamo che non si applica alle procedure Via (Valutazione di Impatto Ambientale) di cui non si sentiva parlare da anni, da quando cioè la Commissione fu sterilizzata da uno dei Governi Berlusconi e sostituita di fatto con decreto sulle Grandi opere, peraltro mai attuato e impugnato dalle Regioni.
L’articolo 2 è interessante nel senso che potrebbe essere oggetto di uno studio sociologico ad hoc o di un quiz televisivo del tipo “indovinate di che si parla?”
Siamo arrivate al cuore del business, l’articolo 3. A questo punto sorge una piccola domanda: “ma chi li scrive?” e andiamo al sito del ministero della Pubblica Amministrazione e della Semplificazione, creato apposta per cercare di far capire le leggi e qui qualcosa si capisce.
Infatti si legge: “Restano inalterati i necessari livelli di tutela ambientale, ma si riducono i costi: con l’AUA le piccole e medie imprese risparmieranno perché presenteranno una sola domanda e otterranno un’autorizzazione con un’unica scadenza, con un risparmio stimato di 160 milioni di euro all’anno. Saranno, inoltre, rese effettive le disposizioni, già esistenti, in materia di presentazione on-line delle domande e della documentazione con un risparmio stimato in circa 540 milioni di euro all’anno. La piena applicazione dell’autorizzazione unica ambientale comporterà, quindi, un risparmio stimato a regime in circa 700 milioni di euro all’anno per le PMI”.
Restiamo qui, per ora.
E’ chiaro che si riducono i costi, peraltro affermazione indimostrabile. Ma la parte veramente divertente è la prima dove si afferma che “restano inalterati i necessari livelli di tutela ambientale
Di quali livelli parla e relativamente a quali leggi o impianti tecnologici? Vuol dire che resta inalterata la storia di Malgrotta a Roma, dell’Ilva a Taranto, dei depuratori di Napoli, degli svessamenti di rifiuti tossici e radioattivi a Caserta, dell’amianto a Bagnoli, dello stupro edilizio sulle coste?
Credo che sia così, infatti la legge si applica a tutte le imprese non soggette ad Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) e a valutazione d’impatto ambientale (VIA) che abbiano necessità di ottenere almeno uno dei seguenti titoli:
a) autorizzazione agli scarichi di acque reflue;
b) comunicazione preventiva per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari e delle acque reflue provenienti dalle aziende ivi previste; c)autorizzazione alle emissioni in atmosfera;
d) autorizzazione di carattere generale alle emissioni in atmosfera;
e) documentazione previsionale di impatto acustico;
f) autorizzazione all’utilizzo dei fanghi derivanti dal processo di depurazione in agricoltura;
g) comunicazioni in materia di rifiuti di cui agli articoli 215 e 216 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152.

Finalmente siamo riusciti a capire anche gli ambiti di applicazione.
Resta la domanda iniziale: nella attuale situazione di disastro ambientale, parlare di emergenza ci sembra riduttivo, questa norma di presunti risparmi serviva davvero o magari era più utile una legge come quella che abbiamo descritto prima o semplicemente cambiare il sistema normativa italiano che in caso di provocato disastro ambientale condanna a delle multe irrisorie anche se con la recente sentenza Eternit sembra si siano fatti passi avanti dovuti all’azione della magistratura e non certo del governo.
In conclusione: giudizio sospeso ma l’impressione è che si tratti di oggetto inutile se non addirittura potenzialmente dannoso per l’ambiente perché qui il problema non è la semplificazione ma una seria politica di tutela ambientale, direzione verso cui certamente andava la proposta Catania.
Tutto il resto è materia da azzeccagarbugli.

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