La mancata comunicazione dell’assenza per malattia, se si protrae per un periodo di tempo normativamente significativo ai sensi della contrattazione collettiva, integra giusta causa di licenziamento.
La Suprema Corte, sezione lavoro, con la recente sentenza n. 10552, depositata il 7 maggio 2013, nel confermare le statuizioni della Corte territoriale, ha ritenuto legittimo il recesso datoriale intervenuto in ragione del mancato invio al datore di lavoro del certificato medico con la conseguente scopertura di quattro giorni lavorativi.
Nella fattispecie, la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da un dipendente di un’impresa di pulizia, che al termine del periodo di prognosi attestato nella certificazione medica ab origine trasmessa al datore di lavoro, non era rientrato in servizio, incurante della minor durata dell’assenza autorizzata dal medico curante, omettendo finanche di provvedere a comunicare tempestivamente alla società il protrarsi della malattia e, quindi, dell’assenza. Pertanto, all’esito del procedimento disciplinare conseguentemente intrapreso, la condotta oggetto di giudizio è stata sanzionata mediante licenziamento per violazione della disposizione del CCNL di settore, che prevede il recesso datoriale in ipotesi di assenza ingiustificata per almeno quattro giorni consecutivi, come si era verificato nel caso di specie.
Al riguardo, i giudici di Piazza Cavour avevano precedentemente avuto occasione di precisare che qualora la contrattazione collettiva preveda, quale giusta causa di licenziamento, l’omessa o tardiva presentazione del certificato medico in caso di assenza per malattia, la valutazione circa la legittimità del provvedimento espulsivo, motivato dalla ricorrenza della predetta ipotesi, non può conseguire automaticamente alla mera corrispondenza tra il comportamento del lavoratore e la fattispecie tipizzata contrattualmente, dovendosi in ogni caso accertare la riconducibilità della condotta de qua alla nozione legale di giusta causa (cfr. Cass. n. 4435/2004).
Negligenza del lavoratore e proporzionalità del licenziamento. Nella fattispecie in commento, gli Ermellini, condividendo le determinazioni assunte dalla Corte di merito, hanno non solo ritenuto integrata la condotta materiale addebitata al dipendente, sostanziatasi nell’assenza ingiustificata dal lavoro per più di quattro giorni, ma hanno altresì ravvisato nella suddetta omissione un comportamento gravemente negligente.
Ai fini del giudizio di proporzionalità del licenziamento, la mancata tempestiva informazione nei confronti del datore di lavoro circa l’impossibilità di ricominciare l’attività lavorativa configura, infatti, una violazione degli obblighi di correttezza e diligenza nello svolgimento del rapporto lavorativo, sempre che l’omessa comunicazione si protragga per un tempo che le parti sociali hanno, ragionevolmente, ritenuto significativo, ossia per almeno quattro giorni consecutivi.
Al riguardo, la Suprema Corte ha chiarito come la ratio della norma collettiva in questione risieda nell’esigenza di evitare che impedimenti nell’esecuzione della prestazione lavorativa, sia pure legittimi, possano cagionare alla controparte datoriale un ulteriore pregiudizio per effetto di inesatte comunicazioni che determinino un legittimo affidamento nella ripresa dell’attività lavorativa.
Ne consegue che, seguendo il ragionamento dei giudici di legittimità, non rileva tanto l’effettività della malattia quanto piuttosto la diligenza del dipendente, che si concreta anche nella corretta e tempestiva comunicazione in ordine al protrarsi dell’assenza – che deve dunque essere “giustificata” -, per cui l’onere probatorio gravante sul lavoratore attiene, in particolare, all’impossibilità per lo stesso di adempiere ai propri obblighi informativi, ai sensi dei quali è tenuto a produrre idonea certificazione medica.
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Suprema Corte conferma la proporzionalità della sanzione espulsiva irrogata, non solo in relazione alla specifica previsione di cui alla contrattazione collettiva bensì con riferimento al più generale disposto ex art. 2119 c.c., avendo la condotta in esame determinato un’irrimediabile lesione del vincolo fiduciario.