Il padre domandava al Tribunale di annullare l’assegno di mantenimento per il figlio che si dichiarava depresso, rilevando che ormai a trentadue anni non sussistesse più il diritto al mantenimento.
Per di più essendosi laureato in archeologia poteva provvedere alla ricerca di un lavoro ed al proprio sostentamento.
L’art. 337-septies nella formulazione introdotta dal Decreto Legge n° 154/13 stabilisce espressamente che il giudice, valutate le circostanze, possa disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il pagamento di un assegno periodico
DURATA DEL MANTENIMENTO PER I FIGLI
Questa è una delle questioni più dibattute in dottrina e giurisprudenza e cioè del momento in cui viene a cessare l’obbligo di contribuzione da parte del genitore tenutovi, tant’è che la soluzione trova in continuazione opposte valutazione da parte dei giudici
Diciamo subito che nel caso in esame del ragazzo laureato in ritardo in archeologia e depresso nel non trovare un lavoro, la Cassazione riteneva legittima la riduzione dell’assegno, ma non la totale revoca (Ordinanza Cass. n° 34421 del 21 Novembre 2019).
Va però detto che in casi similari il Tribunale di Roma al massimo a trent’anni comunque provvede all’eliminazione del mantenimento.
In realtà la problematica nasce dalla poca chiarezza della norma e dalla giurisprudenza stessa, laddove in linea teorica l’obbligo del mantenimento viene a cessare allorché il figlio maggiorenne diventi economicamente autonomo, ovvero la mancata autonomia sia a lui imputabile.
Dunque l’incapacità di autosostentamento del figlio, non deve essere un fatto solo temporale riferibile a motivi di studio pur proficuamente seguito, oppure dovuto a ragioni a lui non imputabili, ma deve derivare da una vera e propria colpa del giovane.
I CASI DI ESCLUSIONE DELL’ASSEGNO
In alcune ipotesi è pacifico che l’assegno possa essere revocato.
Ciò può avvenire per convivenza del figlio in un altro nucleo familiare o comunitario, per capacità di idoneo sostentamento mediante attività lavorativa, per mancato adempimento degli obblighi scolastici o per colpevole mancato espletamento di attività di lavoro.
Tuttavia a parte i principi è l’applicazione pratica che trova decisioni difformi tra Tribunale e Tribunale.
Per esempio è dubbio se il figlio abbia diritto al contributo anche se rifiuti di accettare un lavoro non conforme o adeguato ai propri studi o alle proprie aspettative e comunque è un dato di fatto che i giovani d’oggi, rispetto ai loro genitori, raggiungano l’indipendenza economica più tardi, rimanendo più a lungo a carico della famiglia d’origine.
LA CAUSA PER L’ANNULLAMENTO DELL’ASSEGNO
Si tenga conto che le cause finalizzate ad ottenere l’annullamento dell’obbligo di versamento del contributo mensile per il mantenimento dei figli, per inerzia di costoro nel reperire un lavoro, presentano sempre aspetti di estrema difficoltà, sia per la riluttanza dei Tribunali ad eliminare il mantenimento, come nel caso dell’ordinanza in esame, sia perché necessitano prove rigorose che devono vertere certamente sul comportamento presuntivamente colpevole del figlio, ma soprattutto sulle occasioni di lavoro disattese.
INDIRIZZO INCOSTANTE DELLA GIURISPRUDENZA
Se la giurisprudenza e la Cassazione ripetono gli stessi principi precisando che l’obbligo perdura sino a quando il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica non sia causato da negligenza o non dipenda da fatto imputabile al figlio, la casistica è molto ampia e la giurisprudenza è in continua evoluzione non infrequentemente come si diceva con sentenze contrastanti.
Se in genere il limite di età nel quale viene mantenuto l’assegno di mantenimento si attesta intorno ai trent’anni, va detto che sono ravvisabili sentenze che prolungano il mantenimento anche in età molto più avanzata (Trib. Roma decreto n° 3651/18, Cass. n° 7970/2013, Cass. n° 1585/2014 e n° 23673/2006 e 34421/19).
REVOCA PER AUTOSUFFICIENZA ECONOMICA E STABILITA’ DELL’ATTIVITA’ LAVORATIVA
I limiti del concetto di indipendenza del figlio maggiorenne fanno riferimento non a qualsiasi impiego (come nel caso di un lavoro precario) o ad un reddito qualsiasi, anche se non è sicuramente necessario un lavoro stabile, bastando un reddito tale da garantire un autosufficienza economica.
In merito alla professionalità è orientamento conforme quello per cui la coltivazione dell’aspirazione del figlio maggiorenne che voglia intraprendere un percorso di studi per il raggiungimento di una migliore posizione o carriera, non fa venir meno il dovere di mantenimento da parte del genitore.
In linea di massima, pur tenendosi conto dei limiti di età di cui si è detto, nella situazione attuale, in cui il rinvenimento di un’attività lavorativa conforme agli studi eseguiti è particolarmente difficile, la Cassazione ritiene che il figlio non debba essere ritenuto colpevole allorché rifiuti una sistemazione lavorativa non consona rispetto a quella in cui la sua specifica preparazione, le sue attitudini ed i suoi effettivi interessi siano rivolti.
Ciò tuttavia si ripete nei limiti temporali in cui dette aspirazioni abbiano ragionevoli possibilità di essere realizzate e sempre che tali atteggiamenti di rifiuto siano compatibili con le condizioni economiche della famiglia.